Bruxelles – Come accade sempre alla fine dei mandati istituzionali, anche al Comitato economico e sociale europeo (Cese) è tempo di bilanci. Oliver Röpke, il sindacalista austriaco che lo ha presieduto dall’aprile 2023, ha condiviso con Eunews le sue riflessioni sul lavoro svolto negli ultimi due anni e mezzo e sul prossimo futuro. Si chiude con oggi (18 settembre) la 599esima plenaria del Cese, durante la quale si è svolta ieri una cerimonia dedicata proprio alla fine del mandato quinquennale dell’organo consultivo, iniziato nell’ottobre 2020.
Il Comitato conta 329 membri da tutti gli Stati membri, suddivisi in tre gruppi per rappresentare altrettante parti sociali: i datori di lavoro (gruppo I), i lavoratori (gruppo II) e le organizzazioni della società civile (gruppo III). Röpke fa parte del gruppo II ed è stato eletto due anni e mezzo fa sulla base di un programma intitolato “Difendere la democrazia, difendere l’Europa”.
Secondo lui, il Comitato “è più che un organo consultivo, è la voce della società civile europea per la democrazia, la giustizia sociale e la sostenibilità”. Guardando indietro, il presidente uscente indica tra i principali successi del mandato appena concluso quelli legati all’allargamento dell’Unione e alla cooperazione internazionale, al consolidamento della democrazia europea, all’uguaglianza, l’inclusione e i diritti sociali, alla sostenibilità e alla competitività.
Today we close one chapter, but the story of the EESC continues: stronger, more visible, more united than ever.
This is what we built together. This is what we can be proud of.
Because we are the @EU_EESC . And we are Proud to be EESC.#EESCPlenary pic.twitter.com/EAtqeXmJ3z
— Oliver Röpke (@EESC_President) September 17, 2025
Sul tema dell’allargamento, in particolare, Röpke si è fatto promotore di un’innovazione istituzionale tesa a coinvolgere i rappresentanti della società civile dei nove Paesi candidati direttamente negli ingranaggi del processo politico europeo. La cosiddetta Enlargement candidate members’ initiative (Ecmi) è stata lanciata come progetto pilota nel febbraio 2024 e ha portato l’aggiunta di 146 nuovi membri al Cese: 18 dall’Albania, 15 ciascuno da Bosnia-Erzegovina, Georgia, Macedonia, Moldova, Montenegro e Serbia, 16 dalla Turchia e 23 dall’Ucraina.
Pur senza diritto di voto, questi rappresentanti hanno “contribuito attivamente alle attività del Comitato, fornendo un input determinante, nello specifico, in 21 risoluzioni nel solo 2024” sui temi più vari: dalla politica di coesione al cambiamento climatico, dal digitale allo Stato di diritto, dal mercato unico alla carenza di manodopera e competenze nel Vecchio continente. Si tratta, spiega il sindacalista, di “un’opportunità di plasmare dall’interno la politica dell’Ue“, ancora prima di entrare a farne parte.
L’ormai ex presidente del Cese è orgoglioso della “velocità record con cui è stata implementata questa iniziativa”, da lui stesso proposta a settembre 2023, e che recentemente “ha ricevuto il via libera dalla Commissione europea per diventare un elemento permanente” nei lavori del Comitato. Tra i risultati migliori, Röpke evidenzia “i contatti estremamente positivi con i rappresentanti dei Paesi candidati sul campo”, che hanno permesso di “facilitare e rafforzare il dialogo sociale” dentro e fuori l’Ue.
E c’è entusiasmo, dice, anche da parte dei beneficiari stessi dell’Ecmi. “Il feedback che abbiamo ricevuto è estremamente positivo“, racconta, e “non solo dalle autorità dei Paesi candidati ma anche dalle organizzazioni della società civile e dalle stesse istituzioni Ue”. Intervenendo ieri alla plenaria del Comitato a Bruxelles, il premier albanese Edi Rama ha rinnovato l’appello, già lanciato un anno fa, ad estendere analoghi modelli di integrazione graduale agli altri organi del club a dodici stelle. “Il Cese è dove gli albanesi si sono sentiti trattati come eguali“, ha dichiarato.
Röpke si premura di non pestare i piedi a nessuno: “Ciascuna istituzione deve stabilire autonomamente” come introdurre strutture simili, ragiona, ammettendo che “per noi, in quanto organo consultivo, è stato relativamente più semplice”. Ma secondo lui “qualcosa si sta muovendo”, ad esempio in seno al Consiglio e alla Commissione, dove esperti di policy dei Paesi candidati partecipano già ad alcune sessioni di lavoro settoriali.
D’altro canto, non mancano criticità e sfide. Una su tutte è la “sostenibilità strutturale e finanziaria” del tutto. È vero, ammette il sindacalista, che il Cese è riuscito a mettere in cassaforte le risorse necessarie per mantenere in piedi l’iniziativa anche nel prossimo mandato dalla Direzione generale per l’Allargamento e il vicinato orientale, il dipartimento dell’esecutivo comunitario che fa riferimento alla commissaria all’Allargamento Marta Kos (in viaggio nel Caucaso meridionale proprio in questi giorni).
Ma è altrettanto vero, lamenta Röpke, che la quota destinata alle politiche di allargamento nel prossimo bilancio pluriennale (2028-2034) “non è ambiziosa come dovrebbe“, considerati i costi dell’inflazione e degli interessi maturati sul debito del Next Generation EU. Il Cese è “deluso” non solo dalla dotazione insufficiente dei fondi ma anche della scarsa organicità tra i diversi strumenti settoriali.
Al suo successore (con ogni probabilità il suo vice Krzysztof Pater, del gruppo III), Röpke lascia in eredità un Comitato “più visibile, più rilevante e più unito che mai“, che grazie alle riforme degli ultimi anni si è ritagliato un ruolo come “difensore dei diritti fondamentali” nell’Unione. Ora, ammonisce, bisognerà continuare a “garantire che le scelte strategiche dell’Ue“, dalla competitività all’azione climatica, “siano saldamente radicate nelle voci dei cittadini, dei lavoratori, delle imprese e della società civile”.
Röpke, invece, appenderà le scarpe del Cese al chiodo. “Sarebbe difficile trovare un giusto ruolo nel Comitato dopo averlo presieduto”, confessa. Ma il suo curriculum non si fermerà qui. Per lui dal primo novembre parte un incarico da direttore dell’Ufficio per le attività dei lavoratori (Actrav) all’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), a Ginevra. Non proprio vicinissima alla sua Vienna, scherza, ma sicuramente meno distante rispetto a Bruxelles.
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