Per decenni abbiamo costruito come se il territorio fosse una superficie da plasmare al servizio dei bisogni umani: rendere più efficienti gli spostamenti, sostenere la crescita economica e facilitare l’accesso a energia, servizi e reti.
In parte è stato così, le infrastrutture hanno alimentato lo sviluppo, incrementato l’accessibilità e contribuito al miglioramento della qualità della vita.
Nel tempo, per valutare e ridurre l’impatto che queste opere possono avere
sull’ambiente, il settore ha compiuto passi significativi, adottando strumenti come gli studi di impatto ambientale e integrando criteri di sostenibilità in fase di progettazione.
Tuttavia, in quei casi in cui la logica costruttiva e la dimensione ambientale sono stati tenuti separati, gli interventi hanno generato impatti visibili sull’ambiente: dalla frammentazione degli habitat al consumo del suolo, fino all’alterazione degli ecosistemi.
Infrastrutture: è l’ora di promuovere una crescita sostenibile
Oggi, in un contesto segnato dal cambiamento climatico e dall’indebolimento degli ecosistemi naturali, ignorare questi aspetti non è più possibile e progettare senza considerare il valore del capitale naturale significa esporsi non solo a danni ambientali, ma anche a rischi economici e operativi crescenti.
Secondo il report “A Value-Driven Approach to Nature-Based Infrastructure”, realizzato da Bcg, in collaborazione con Quantis, è proprio dal settore infrastrutturale che può arrivare una risposta concreta al ripristino degli equilibri ecologici.
Lo studio di Bcg
I numeri lo dimostrano: da un lato, oltre il 25% della perdita globale di biodiversità è riconducibile allo sviluppo e alla gestione delle infrastrutture tradizionali; dall’altro, la natura produce ogni anno servizi essenziali, dalla regolazione del clima alla purificazione dell’acqua, per un valore economico stimato in oltre 150.000 miliardi di dollari.
L’erosione di questi servizi costa all’economia globale circa 5.000 miliardi di dollari all’anno, non si tratta più quindi unicamente di una questione ambientale, ma di una necessità operativa e strategica.
Un nuovo modo di intendere le infrastrutture: le nature-based
La buona notizia è che un altro modo di costruire esiste. Le cosiddette infrastrutture nature-based, orientate all’utilizzo dei processi naturali esistenti e alla rigenerazione degli ecosistemi, pensate per affrontare sfide complesse come il cambiamento climatico, la gestione sostenibile delle risorse idriche o la sicurezza alimentare, si integrano con l’ambiente, favorendo la biodiversità e generando benefici multipli nel tempo.
Spesso, queste infrastrutture si combinano con quelle tradizionali per dare vita a soluzioni ibride, che uniscono l’efficienza strutturale con il valore ecologico, dando vita a modello più flessibile e adattabile, capace di rispondere in modo integrato a esigenze operative e ambientali.
Una comunità rurale del Regno Unito
A testimonianza di queste evidenze, un caso emblematico arriva da una comunità rurale del Regno Unito, che ha sostituito un impianto per il trattamento delle acque reflue con una zona umida artificiale.
Il risultato? Un ritorno sugli investimenti più che raddoppiato rispetto alla media
delle soluzioni convenzionali. Ma non è solo una questione di numeri: il progetto ha rigenerato l’ecosistema locale, migliorato la qualità delle acque e favorito una maggiore condivisione da parte della comunità locale, grazie agli effetti positivi visibili sull’ambiente e sulla qualità della vita.
Altre infrastrutture per la crescita sostenibile
Non si tratta di un caso isolato. Soluzioni simili si stanno diffondendo anche in ambito urbano, dove micro-foreste e sistemi di drenaggio sostenibile contribuiscono a mitigare l’effetto isola di calore e a gestire in modo più efficace i fenomeni atmosferici intensi.
Inoltre, lungo le infrastrutture stradali, i corridoi ecologici possono essere integrati per consentire alla fauna locale di attraversare le opere senza compromettere gli habitat naturali.
Infine, nelle aree costiere, l’adozione di barriere vegetali sta progressivamente affiancando, e in alcuni casi sostituendo, quelle artificiali, offrendo al contempo protezione e rigenerazione dell’habitat circostante.
In tutti questi casi, il denominatore comune è un cambio di prospettiva. La natura non viene più percepita un ostacolo, ma come una risorsa da integrare e valorizzare fin dalla fase progettuale.
Una leva strategica anche dal punto di vista economico
Oltre al valore ambientale, le nature-based infrastructure rappresentano un’opportunità concreta anche sul piano finanziario.
Secondo lo studio, per sostenere la diffusione su larga scala di questo tipo di opere saranno necessari circa 1.200 miliardi di dollari l’anno in capitali privati.
Una cifra consistente, ma proporzionata alla posta in gioco: in media, i progetti di rigenerazione ambientale possono generare ricavi fino a 250 milioni di dollari annui per singola istituzione.
Eppure, nonostante il potenziale, l’adozione di questi modelli resta ancora limitata: oggi, solo il 30% delle aziende ha avviato strategie strutturate di rigenerazione ambientale, mentre l’80% continua a concentrarsi unicamente su misure di mitigazione, dall’efficienza energetica alla riduzione degli sprechi, che, per quanto efficaci, non sono sufficienti a innescare un vero cambio
di paradigma.
Riportare la natura al centro delle scelte progettuali
Affinché le soluzioni rigenerative diventino la norma anziché l’eccezione, è indispensabile agire su più fronti.
In primo luogo, è necessario formare figure professionali in grado di unire competenze ingegneristiche e conoscenze ecologiche, per progettare infrastrutture ibride capaci di rispondere sia a esigenze funzionali che ambientali.
Servono poi strumenti finanziari che riconoscano e misurino il valore generato anche oltre il breve termine, includendo benefici ambientali e sociali nei criteri di valutazione.
Infine, occorre aggiornare le normative, introducendo regole e incentivi che favoriscano l’adozione di modelli innovativi, anziché limitarsi a garantire la conformità a requisiti minimi.
Alcuni segnali incoraggianti provengono da alcune città europee che stanno sperimentando soluzioni come fitodepurazione, infrastrutture sostenibili e interventi di riqualificazione ambientale, con effetti positivi sulla gestione delle acque, qualità dell’aria e salute pubblica.
Per rendere questa transizione sistemica, serve trasformare gli esempi isolati in una pratica diffusa, condivisa e scalabile, insieme al coinvolgimento attivo di tutti gli attori in campo: enti pubblici, imprese, progettisti e investitori.
Integrare la natura nella progettazione non significa rinunciare alla tecnologia, vuol dire potenziarne gli effetti in una logica di lungo periodo.
Le infrastrutture del futuro non saranno solo più performanti, ma anche più intelligenti, più resilienti e soprattutto più coerenti con i territori che attraversano.
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