Le emissioni delle 180 maggiori aziende produttrici di combustibili fossili e cemento, definite “carbon major“, sono direttamente responsabili di circa la metà dell’aumento dell’intensità delle ondate di calore a livello globale dal periodo preindustriale (1850-1900) ad oggi. A rilevarlo è una ricerca, pubblicata lo scorso 10 settembre 2025, la quale ha analizzato 213 ondate di calore estreme verificatesi tra il 2000 e il 2023, dimostrando che un quarto di questi eventi sarebbe stato “virtualmente impossibile” senza i cambiamenti climatici di “origine antropica”, alias: causati dall’uomo.
Lo studio
Il campo dell’attribuzione degli eventi estremi si dedica a quantificare l’influenza dei cambiamenti climatici sugli eventi meteorologici estremi. Tuttavia, tradizionalmente, gli studi si sono concentrati su singoli eventi e raramente hanno quantificato il contributo specifico di attori antropogenici alle emissioni. Questo studio colma una lacuna cruciale, fornendo un quadro per condurre analisi di attribuzione sistematiche su un ampio set di eventi e collegando quantitativamente le emissioni di singole entità, le cosiddette ‘carbon major’, agli eventi estremi.
La ricerca, intitolata “Systematic attribution of heatwaves to the emissions of carbon majors”, è stata condotta da un team internazionale di scienziati guidato da Yann Quilcaille dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Politecnico di Zurigo (Eth), con contributi da diverse istituzioni tra cui l’austriaco International Institute for Applied Systems Analysis e la Vrije Universiteit Brussel.
Il metodo si basa sull’espansione di un quadro ben consolidato di attribuzione degli eventi (promosso dall’iniziativa World Weather Attribution – Wwa). Gli scienziati hanno esaminato 226 ondate di calore riportate nel database internazionale dei disastri (Em-Dat) tra il 2000 e il 2023, coprendo 63 Paesi. Dopo rigorosi test di validazione della bontà dell’adattamento dei dati e della causalità statistica, 213 di questi eventi sono stati inclusi nell’analisi finale.
Per ogni ondata di calore, è stata caratterizzata la sua intensità (temperatura media durante il periodo e nella regione dell’evento). È stata stabilita una relazione statistica tra la distribuzione di probabilità dell’evento e il cambiamento nella temperatura media superficiale globale (Gmst) dal 1850. Questo ha permesso di calcolare la probabilità e l’intensità delle ondate di calore sia nelle condizioni attuali (con il cambiamento climatico) sia in un clima preindustriale (senza tali perturbazioni).
Per attribuire le ondate di calore alle ‘carbon major’, il team ha utilizzato un database che stima le emissioni di Co2 (anidride carbonica) e Ch4 (metano) di 180 aziende dal 1854 al 2023. Queste aziende rappresentano il 75% delle emissioni cumulative di Co2 da combustibili fossili e cemento dal 1850 al 2023. L’effetto totale del cambiamento climatico sull’intensità e la probabilità di ogni ondata di calore sono stati scomposti nei contributi delle singole ‘carbon major’. La metodologia ha combinato due approcci per tenere conto degli effetti non lineari: “All-But-One” (togliendo un contributore) e “Add-One-to-None” (aggiungendo solo un contributore), calcolandone la media per ottenere la stima più robusta.
La “responsabilità” delle aziende
I risultati mostrano che il cambiamento climatico indotto dall’uomo ha aumentato l’intensità di tutte le 213 ondate di calore analizzate. L’aumento mediano dell’intensità è passato da 1,4°C nel periodo 2000-2009 a 1,7°C nel 2010-2019, fino a raggiungere 2,2°C nel 2020-2023 rispetto ai livelli preindustriali.
Inoltre, il cambiamento climatico ha reso queste ondate di calore molto più probabili. Dal 1850-1900, la probabilità mediana degli eventi è aumentata di circa 20 volte nel periodo 2000-2009 e di circa 200 volte nel 2010-2019. A preoccupare è il dato che 55 delle 213 ondate di calore (il 26%) sono diventate almeno 10.000 volte più probabili, il che significa che sarebbero state virtualmente impossibili senza l’influenza antropogenica.
Per la prima volta, la ricerca quantifica il ruolo diretto delle ‘carbon major’. Le emissioni di queste aziende hanno contribuito a circa la metà dell’aumento dell’intensità delle ondate di calore rispetto all’epoca preindustriale, e questo contributo è in crescita. Le 14 maggiori ‘carbon major’ (tra le quali i Paesi dell’ex Unione Sovietica, la Repubblica popolare cinese per il carbone, Saudi Aramco, Gazprom, ExxonMobil, Chevron) hanno contribuito tanto quanto le altre 166 aziende messe insieme. A livello individuale, anche le aziende ‘carbon major’ più piccole hanno avuto un impatto significativo: le loro emissioni hanno reso possibili tra 16 e 53 di queste ondate di calore, che altrimenti sarebbero state impossibili in un clima preindustriale. Ad esempio, le emissioni dei Paesi dell’ex Unione Sovietica, il più grande emettitore, hanno reso almeno 10.000 volte più probabili 53 ondate di calore (il 25% del totale analizzato).
Un monito per l’Italia e il futuro
Anche se lo studio non si focalizza specificamente sull’Italia, è fondamentale notare che tra le ondate di calore analizzate figurano eventi che hanno colpito l’Europa e che sono rimasti impressi nella memoria collettiva, come l’ondata di calore del 2003 in Francia. Quell’estate è stata devastante anche per l’Italia, causando migliaia di vittime e forti impatti sull’agricoltura e sui sistemi sanitari. Lo studio conferma che eventi come quello del 2003 sono diventati molto più probabili e intensi a causa del cambiamento climatico indotto dalle emissioni, e che questa tendenza è in aumento.
L’Italia, con la sua posizione mediterranea, è un Paese particolarmente esposto ai fenomeni di calore estremo. Comprendere che non solo il cambiamento climatico in generale, ma attori specifici ne sono responsabili, è cruciale per la consapevolezza pubblica e per le future strategie di adattamento e mitigazione nel nostro Paese.
In sintesi, la ricerca sistematizza l’attribuzione degli eventi estremi, dimostrando che il cambiamento climatico ha reso tutte le ondate di calore analizzate più intense e probabili, con un’influenza crescente nel tempo. Per la prima volta, si stabilisce un chiaro legame causale quantificato tra le emissioni delle singole ‘carbon major’ e questi eventi. Questi risultati non sono solo un passo avanti significativo per la comunità scientifica, ma hanno profonde implicazioni per la politica climatica, le azioni legali e gli sforzi più ampi volti a stabilire la responsabilità aziendale per i danni climatici. Il rafforzamento delle prove scientifiche apre nuove strade per valutare le responsabilità legali e guidare azioni più ambiziose per affrontare la crisi climatica.
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