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Legge sull’AI, Italia prima in Europa. I dubbi degli esperti su Autorità, deleghe e tutela dei diritti


Il Senato ha approvato in via definitiva la legge italiana sull’Intelligenza Artificiale. Si tratta del primo quadro normativo nazionale in Europa che disciplina sviluppo, adozione e governance dei sistemi di IA nel rispetto dei principi costituzionali e dei diritti fondamentali e in piena coerenza con l’AI Act europeo.

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L’impatto della legge sulle Tlc

La nuova legge italiana sull’intelligenza artificiale avrà un impatto diretto anche sulla filiera delle telecomunicazioni. In primo luogo, perché introduce l’obbligo per la Pubblica amministrazione di privilegiare soluzioni basate su data center collocati sul territorio nazionale. Una misura che pone le Tlc al centro della strategia di sovranità digitale, imponendo scelte tecnologiche più rigorose ma anche aprendo opportunità di mercato per chi investe in infrastrutture locali.

In secondo luogo, il provvedimento assegna un ruolo centrale all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (Acn) come autorità competente. Poiché gli operatori Tlc gestiscono infrastrutture critiche, si troveranno ad affrontare standard di sicurezza più severi e controlli più stringenti, rafforzando al tempo stesso il loro posizionamento come garanti della resilienza del sistema-Paese.

Infine, la legge incide sull’innovazione dei servizi digitali. Le telco, che già utilizzano sistemi di AI per ottimizzare le reti, automatizzare i processi e migliorare la customer experience, dovranno assicurare che queste soluzioni rispettino i principi di trasparenza, non discriminazione e tracciabilità fissati dal nuovo quadro normativo. Un vincolo che, pur richiedendo adeguamenti, può contribuire a consolidare la fiducia degli utenti e a rafforzare l’offerta di servizi avanzati.

Butti: “Italia avanguardia in Europa”

“L’Italia è il primo Paese Ue con un quadro nazionale pienamente allineato all’AI Act – evidenzia il Sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti – È una scelta che riporta l’innovazione nel perimetro dell’interesse generale, orientando l’IA a crescita, diritti e la piena tutela dei cittadini. Alle imprese diciamo con chiarezza: investite in Italia. Troverete una governance affidabile, regole trasparenti e un ecosistema pronto a sostenere progetti concreti in tutti i settori chiave del Paese”.

AI, cosa prevede la legge italiana

Il provvedimento di 28 articoli suddivisi in sei Capi, delega il governo a emanare una serie di decreti legislativi in questo campo di cui detta i principi. Inoltre a livello di governance istituisce “il Comitato di coordinamento delle attività di indirizzo su enti, organismi e fondazioni che operano nel campo dell’innovazione digitale e dell’intelligenza artificiale“, e, designa Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (Acn) e Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) quali Autorità nazionali competenti.

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Ecco i principali contenuti del provvedimento:

Capo I – Stabilisce principi e finalità per l’uso dell’intelligenza artificiale, anche nei settori produttivi e di difesa, per “promuovere un approccio trasparente e rispettoso” dei diritti fondamentali.

Capo II – Disciplina l’applicazione dell’IA in ambiti specifici come il sistema sanitario, la ricerca scientifica, il lavoro, la pubblica amministrazione e l’attività giudiziaria, per promuovere la protezione dei dati personali e per regolare l’uso di questi strumenti per garantire che non si verifichino discriminazioni. Inoltre delega il Governo per definire la disciplina organica sull’utilizzo di dati, algoritmi e metodi matematici per l’addestramento dei sistemi di IA.

Capo III – Detta le misure per la redazione e l’aggiornamento della Strategia nazionale per l’IA, specificando che essa deve favorire le collaborazioni pubblico-privato e deve promuovere la ricerca e la formazione. Inoltre, l’Agenzia per l’Italia digitale (AgID) e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) sono designate quali autorità nazionali per l’intelligenza artificiale. Acn vigila – con poteri ispettivi – sull’adeguatezza e la sicurezza dei sistemi, AgID gestisce le notifiche e promuove casi d’uso sicuri per cittadini e imprese. Il Governo ha una delega per l’adeguamento della normativa nazionale all’AI Act varata dall’Ue.

Capo IV – Sono previste misure per assicurare la tutela della privacy e dei diritti d’autore, mediante la regolamentazione dell’uso dell’IA per l’estrazione e la manipolazione di contenuti. È inclusa una modifica alla legge sul diritto d’autore per estendere la protezione anche alle opere create con l’ausilio dell’IA.

Capo V – Introduce modifiche al codice penale per punire l’uso illecito dell’IA. In particolare sarà penalmente perseguibile chi diffonde contenuti generati con IA in modo ingannevole, le cosiddette Deepfake, e per chi utilizza l’IA in modo da compromettere la sicurezza o l’integrità di persone o sistemi.

Capo VI – Le Disposizioni finanziarie contengono la clausola di invarianza finanziaria, nonché ulteriori disposizioni finali, tra cui la possibilità per l’Acn di concludere accordi di collaborazione con soggetti privati italiani e dell’Ue o anche, se autorizzati dalla Presidenza del Consiglio, di Paesi Nato.

Per accelerare competitività e adozione, la legge attiva un programma di investimenti da 1 miliardo di euro a favore di startup e Pmi nei campi dell’IA, della cybersicurezza e delle tecnologie emergenti, sostenendo trasferimento tecnologico e filiere strategiche.

Secondo Giorgio Resta, professore ordinario di diritto comparato presso l’Università di Roma Tre, la legge italiana sull’intelligenza artificiale presenta alcuni punti di frizione con l’AI Act europeo. “La scelta di individuare Agid e Acn come autorità nazionali solleva perplessità – spiega – poiché trattandosi di enti governativi e non di autorità indipendenti, potrebbe essere compromessa la tutela dei diritti fondamentali e si rischiano sovrapposizioni con il Garante Privacy. Inoltre, per via della sua approvazione accelerata, la legge italiana appare in parte come un provvedimento simbolico, più che una vera riforma strutturale”.

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“I primi articoli hanno carattere programmatico e ripetitivo, con disposizioni di dubbia efficacia, come l’obbligo del consenso genitoriale anche solo per l’uso dell’IA da parte di minori di 14 anni. Altri articoli conferiscono al Governo ampie deleghe regolative, considerate forse eccessive”.

Riccio: “Possibili freni sulla ricerca”

Sul fronte copyright interviene Giovanni Maria Riccio, professore di Diritto privato comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Salerno. “La norma stabilisce che un’opera realizzata con il supporto di strumenti di IA può essere protetta solo se vi è un contributo umano creativo, rilevante e dimostrabile – spiega a CorCom – In questo modo si ribadisce un principio già consolidato sia nella giurisprudenza europea sia in quella statunitense: l’autore, per definizione, deve essere una persona fisica, e l’originalità di un’opera non può prescindere da un atto creativo umano”.

“Accanto a questa precisazione, il legislatore introduce nuove disposizioni sul text and data mining (Tdm), recependo la Direttiva Copyright del 2019. L’articolo 70-ter limita l’eccezione al Tdm a enti di ricerca e istituti culturali, consentendone l’uso solo per finalità scientifiche e non commerciali – puntualizza – Più ampio è invece l’articolo 70-quater, che estende la possibilità di estrazione dei dati, ma riconosce ai titolari dei diritti la facoltà di esercitare un opt-out automatico. Ed è proprio qui che emergono le prime criticità: la norma, pur ben intenzionata, soffre dell’assenza di standard tecnici chiari che rendano concretamente attuabile il diritto di esclusione, con il rischio che resti in larga parte inapplicata”.

“In questo quadro, si inserisce una riflessione di più ampio respiro: l’attuale regolamentazione europea, con i suoi vincoli e la sua rigidità, appare meno flessibile rispetto ad altri sistemi giuridici, come quello statunitense, dove il principio di fair use garantisce maggiore libertà – conclude Riccio – Il pericolo è che questa impostazione finisca per frenare le imprese e i centri di ricerca europei, penalizzandoli nella corsa globale allo sviluppo dell’IA generativa e riducendo la loro competitività rispetto a contesti normativi più permissivi”.

Faini: “Possibili problemi attuativi per norme authority”

“L’approvazione della legge italiana sull’intelligenza artificiale, che abbraccia l’approccio europeo antropocentrico dell’IA e intende promuoverne un utilizzo corretto, trasparente, sicuro e responsabile, al fine di coglierne le opportunità e garantire la vigilanza sui rischi economici e sociali, merita un apprezzamento generale anche in considerazione dell’impatto pervasivo dell’IA sulla vita dei singoli e delle organizzazioni – sottolinea Fernanda Faini, professoressa associata di Informatica giuridica presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Telematica Pegaso – Ma, come ho avuto modo di evidenziare in audizione presso la Camera dei Deputati, nel testo sono presenti alcuni aspetti potenzialmente critici, su cui porre massima attenzione come il ruolo delle Università nelle azioni di promozione della cultura e nello sviluppo di adeguate competenze specialistiche in ambito pubblico e privato, che sarebbe stato opportuno prevedere e valorizzare in modo esplicito per mezzo di una disposizione dedicata; la governance duale che si articola nella designazione quali autorità nazionali di AgID e Acn con correlata divisione di competenze, foriera di possibili problematiche attuative, sovrapposizioni e conflitti”. Inoltre la clausola di invarianza finanziaria “rischia di portare a inattuazioni e problematiche applicative nel mondo pubblico e privato come già avvenuto in passato nell’implementazione e nell’attuazione di norme in materia di innovazione; l’assenza di meccanismi atti a garantire un coordinamento e un coinvolgimento attivo del sistema universitario pubblico e privato, dei diversi livelli di governo (anche regionali e locali) e di esperti in materia, aspetto assente anche nel previsto Comitato di coordinamento, la cui costituzione peraltro è accompagnata anch’essa dalla pericolosa clausola di invarianza finanziaria. Auspico che questi snodi cruciali siano affrontati nella prevista strategia in materia e nella fase attuativa delle norme, al fine di garantire un ruolo da protagonista all’Italia, che il nostro Paese ha sicuramente le competenze per svolgere”.

Lisi: “Provvedimento simbolico”

L’avvocato e presidente di Anorc Professioni, Andrea Lisi, pone l’accento sulla questione finanziaria. “Il Ddl si chiude con la consueta clausola di invarianza finanziaria che ribadisce l’assenza di nuovi oneri per lo Stato: le amministrazioni dovranno attuare la legge con le risorse già disponibili – dice a CorCom – Un segnale che conferma la cronica mancanza di veri investimenti pubblici nel digitale, soprattutto se confrontata con i colossali stanziamenti di Usa, Cina o Arabia Saudita”.

Il provvedimento apparirebbe quindi più simbolico che sostanziale. “Si limita a ripetere concetti noti, inserendo qualche ovvietà e nuove previsioni marginali (due autorità nazionali e alcuni illeciti penali in più), senza apportare contributi concreti al quadro normativo – sottolinea Lisi – La clausola finanziaria, pur ben scritta, riflette un contesto in cui il Pnrr ha generato spese disordinate e ora servirebbe maggiore chiarezza giuridica ed economica. Ordine che, però, non si intravede.

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In definitiva, conclude l’avvocato “abbiamo una bandiera normativa nazionale da sventolare più che una vera riforma: un atto che conferma la tendenza a moltiplicare norme e comitati, mentre la sostanza – investimenti, strategie e visione – resta carente”.

Epifani: “Luci e ombre”

Stefano Epifani, Presidente di Fondazione per la Sostenibilità Digitale, evidenzia luci e ombre della legge. Tra le criticità, “controlli deboli rispetto alla rapidità dell’evoluzione tecnologica, definizione ancora ambigua dei sistemi ad alto rischio, eccessiva delega al Governo, tempi di attuazione lenti e il rischio che le norme sui deepfake limitino anche satira e critica”.

“Sul fronte positivo, l’Italia si pone da apripista, riaffermando la centralità dei diritti umani e dei minori, prevedendo risorse per ricerca, innovazione e cybersecurity, e introducendo obblighi di trasparenza a beneficio della fiducia dei cittadini – spiega Epifani – Resta però debole l’attenzione all’istruzione e alla consapevolezza, elementi indispensabili per rendere effettiva qualsiasi normativa. La vera sfida sarà tradurre i principi in pratica, integrando la regolamentazione dell’AI con le politiche di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, senza le quali il digitale rischia di diventare più problema che soluzione”.

La reazione della politica

”Con l’approvazione definitiva del disegno di legge sull’Intelligenza Artificiale, l’Italia diventa il primo Paese dell’Unione Europea a dotarsi di un quadro normativo nazionale, pienamente allineato all’AI Act europeo. Si tratta di un traguardo storico che conferma la volontà del Governo guidato da Giorgia Meloni e del Sottosegretario Alessio Butti di fare dell’Italia un punto di riferimento in un settore strategico e in forte espansione- dice la deputata di Fratelli d’Italia, Beatriz Colombo, relatrice del provvedimento – La legge non si limita a fissare regole, ma costruisce un ecosistema favorevole alla crescita, all’innovazione e alla sicurezza, garantendo sempre la centralità della persona. Con oltre 1 miliardo di euro destinato a sostenere startup e Pmi, l’Italia si candida a essere traino in Europa per l’impresa, il lavoro, la salute, la difesa, la ricerca, la pubblica amministrazione, la giustizia e lo sport. Una governance affidabile e trasparente, con il coinvolgimento dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale e dell’AgID, assicurerà lo sviluppo sicuro e antropocentrico delle nuove tecnologie, nel rispetto dei diritti fondamentali e della riservatezza dei cittadini. Il Governo Meloni ha il coraggio e la capacità di essere capofila in Europa su sfide decisive per il futuro. L’Italia torna protagonista e indica la rotta”, conclude Colombo.

 Di tutt’altro tono il commento di Lorenzo Basso, senatore del Pd.  “552 è il numero del fallimento del governo Meloni sull’intelligenza. 552 giorni. Questa è una legge che nasce già vecchia e che non stanzia risorse: vengono solo introdotti nuovi reati invece di adottare incentivi per privati e pubblica amministrazione – sottolinea – Mentre il governo perdeva tempo altri invece hanno agito, giusto per fare un esempio in Gran Bretagna vengono investiti 22 miliardi di euro e in Francia 10 mld. Ecco la differenza tra annunci e decisioni. L’Italia è rimasta ferma ed ha festeggiato i dazi americani, nonostante nel passato sia stata all’avanguardia del progresso tecnologico e industriale. Il governo la smetta di dire che la colpa è di chi c’era prima e si assuma le proprie responsabilità. L’Italia, per colpa del governo Meloni, si presenta a questa sfida epocale senza risorse e senza visione”.

Per Licia Ronzulli (FI) con questa legge l’Italia scrive la sua costituzione. “L’intelligenza artificiale non è neutrale, può salvare vite o minacciare libertà, può creare lavoro o esclusione, può rafforzare la democrazia o destabilizzarla. Con questa legge stiamo scrivendo la Costituzione digitale dell’Italia. Scegliamo di guidare il cambiamento, di arginare gli abusi e moltiplicare i benefici”.

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