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etica, dati e tecnologia per un nuovo equilibrio digitale


Oggi si parla di Innovazione responsabile perché le aziende hanno iniziato a capire che l’adozione della tecnologia non è più solo una questione di efficienza e modernizzazione. L’innovazione è un equilibrio sistemico che include l’intero ciclo di vita di ogni soluzione: dalla progettazione all’adozione, dalla gestione dei dati alla trasformazione dei processi. Il che significa innovare considerando un impatto multidimensionale: economico, ambientale e sociale

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“Ogni decisione tecnologica ha conseguenze che vanno ben oltre l’IT – spiega Matteo Masera, Head of Digital Evolution di Var Group -. Ogni innovazione modifica gli equilibri organizzativi, influenzando ruoli, competenze e processi. La tecnologia non è mai neutrale: genera effetti economici, ambientali, sociali, persino etici. Ed è questo a richiedere una nuova forma di governance che non si limiti alla delivery ma sappia tenere insieme visione strategica e responsabilità operativa. L’IT da tempo non è più un mondo a parte nelle aziende. È un motore di business: deve produrre valore tangibile, contribuire ai ricavi e allo sviluppo aziendale, senza mai perdere di vista il contesto organizzativo, operativo e umano. La vera Innovazione responsabile si misura sulla coerenza delle scelte di innovazione, non sulla velocità di adozione”.

Normativa e compliance: la variabile indipendente della Innovazione responsabile

In un ecosistema tecnologico sempre più articolato, la Innovazione responsabile si innesta in un contesto normativo complesso e in continua evoluzione. L’Europa, in particolare, sta definendo un quadro regolatorio sempre più stringente (basti pensare a GDPR, AI Act, NIS2) che incide direttamente sulle scelte infrastrutturali e operative delle imprese. Non si tratta più solo di adempiere a obblighi formali: oggi la compliance diventa leva per governare i rischi, tutelare i dati, garantire trasparenza e affidabilità.

“L’adeguamento regolatorio è fondamentale ma rappresenta anche una vera e propria spada di Damocle per le aziende, perché può impattare in modo significativo sui processi e sui conti economici – aggiunge Matteo Pontremoli, Head of IT Consulting di Var Group -. In alcuni settori, i cambiamenti normativi hanno addirittura trasformato i modelli di business, richiedendo investimenti rilevanti e complesse riorganizzazioni. Questo porta a rovesciare il paradigma tradizionale: non è la tecnologia a delimitare i confini del cambiamento, ma il quadro normativo. Per questo, una Innovazione responsabile autentica deve includere la capacità di adattarsi a ciò che non si può prevedere, riducendo l’esposizione ai rischi grazie a modelli flessibili, trasparenti e tracciabili”.

Innovazione responsabile
Esempio di Shared Responsibility Matrix for Cloud Security 

Proprio in questa prospettiva si colloca la visione tecnologica di Var Group, che accompagna le aziende in un percorso strutturato: dalla modernizzazione delle applicazioni alla revisione delle architetture infrastrutturali, dalle migrazioni fino alle implementazioni private nei propri data center. Non una somma di soluzioni, ma una vera e propria roadmap di adozione tecnologica pensata per garantire continuità, sicurezza e compliance nel tempo. Tutti questi percorsi sono compliant by design, ovvero progettati nativamente per essere sicuri e allineati ai requisiti regolatori. Grazie a un approccio ispirato alla responsibility matrix tipica del cloud computing, Var Group si fa carico direttamente della gestione degli aspetti normativi e di compliance, liberando le aziende dalla necessità di districarsi in prima persona nella complessità regolatoria. Un modello che trasforma la compliance da vincolo a vero vantaggio competitivo, permettendo ai clienti di concentrarsi sul core business in un contesto normativo già presidiato.

AI, dati e competenze: un percorso per gradi

Rispetto a uno sviluppo tecnologico scandito dagli avanzamenti graduali di hardware e software, l’AI ha completamente ridisegnato la relazione Uomo-Macchina, avviando un cambiamento dirompente che investe dati, governance, competenze e cultura aziendale. Il suo ingresso nelle imprese ha spostato l’attenzione non solo sulla qualità delle soluzioni, ma anche s sul purpose dell’innovazione e della Innovazione responsabile.

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«Quando si parla di AI – sottolinea Pontremoli – molte aziende tendono a trascurare il lavoro preparatorio. Prima di tutto servono dati coerenti, affidabili e governati. E questo non significa semplicemente accumularli tutti in un unico luogo: significa portare a bordo solo quelli che servono davvero, ripulirli, organizzarli e renderli utilizzabili. Da questa base solida si costruisce tutto il resto: si parte con modelli di machine learning, poi si innestano intelligenze più evolute, fino ad arrivare ad automatismi veri e propri. I primi modelli vanno corretti, testati e raffinati nel tempo. È un processo che richiede metodo e continuità: l’AI non è un prodotto che si compra e si installa, ma un percorso aziendale che va governato».

Proprio per questo è fondamentale avere al fianco un partner che non si limiti a rispondere in modo acritico alle richieste, ma che sappia valorizzare l’asset principale: il dato. È questa la base che permette di fare scelte consapevoli su come utilizzarlo, raccoglierlo e conservarlo. Solo così un progetto di AI può camminare su gambe solide, trasformandosi in investimento strategico e non nell’ennesimo spreco di risorse dietro all’ultimo trend.

Rispetto a uno sviluppo tecnologico caratterizzato da una dialettica tra gli avanzamenti progressivi dell’hardware e del software, l’AI ha sparigliato le carte della relazione Uomo-Macchina. Innescando un processo dirompente che coinvolge dati, governance, competenze e cultura aziendale, il suo ingresso nelle aziende è servito ad alzare l’attenzione sulla qualità ma anche sul purpose dell’innovazione e della Innovazione responsabile.

Quando si parla di AI – fa notare Pontremoli – molte aziende tendono a sottovalutare il lavoro preparatorio. Prima di tutto servono dati coerenti, affidabili, ben organizzati. Non basta accumularli: bisogna capire quali davvero servono, come vogliamo usarli e quindi come raccoglierli e conservarli. È un processo complesso, fatto di passaggi successivi: si parte da una base dati solida, si sperimenta con modelli di machine learning, si introducono progressivamente intelligenze più evolute fino ad arrivare agli automatismi veri e propri. I primi modelli vanno sistemati, testati, raffinati. E qui spesso il cliente inizia a comprendere che l’AI non è un prodotto da acquistare e installare, ma un percorso che richiede metodo, visione e continuità. Solo a quel punto smette di essere un progetto IT e diventa un progetto aziendale governato nel tempo, che evita sprechi di risorse, modelli opachi e automatismi incontrollati”.

Come sottolinea il manager, è fondamentale avere accanto un partner che non risponda in modo meccanico o acritico alle richieste, ma sappia guidare l’azienda in un percorso di consapevolezza, partendo dall’asset più importante: il dato. Non si tratta solo di centralizzare le informazioni, ma di selezionare e strutturare quelle davvero utili, costruendo un patrimonio informativo robusto e governato, su cui innestare modelli di AI che abbiano futuro e generino valore reale. Diversamente, c’è il rischio di inseguire l’ennesimo trend tecnologico, senza basi solide, con il risultato di disperdere tempo, budget e opportunità.

Innovazione responsabile e valore della partnership

Dalla gestione dei dati all’automazione dei processi, dall’AI alla compliance, dalla governance all’infrastruttura, la Innovazione responsabile richiede alle aziende un supporto diverso. È su questo terreno che Var Group si posiziona come partner evolutivo: un interlocutore che non si limita a fornire soluzioni, ma lavora a fianco delle aziende per trasformare ogni progetto tecnologico in un percorso di crescita sostenibile, misurabile e consapevole.

“La tecnologia non è solo un fattore abilitante sul piano operativo ma un motore che sta cambiando i modelli organizzativi – aggiunge Masera -: consente nuove forme di collaborazione, processi decisionali più distribuiti e strutture più snelle, aiutando le aziende a diventare più agili e reattive. Non basta introdurre strumenti evoluti: bisogna preparare le persone ad accoglierli. Se non si lavora su competenze e change management, anche la tecnologia migliore fallisce se incontra resistenze culturali o processi bloccati”.

È qui che entra in gioco il ruolo del partner: non si tratta di vendere una soluzione, ma di saper parlare con le varie linee di business coinvolte nel processo di trasformazione digitale. In questo senso, approcci come il Design Thinking e il Service Design diventano fondamentali per leggere i bisogni reali, costruire esperienze significative e generare valore.

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Un cliente resta con te se sei un partner che porta valore, se entri nei processi, se parli la sua lingua – ribadisce Pontremoli -. Devi saper ascoltare, interpretare le esigenze, coinvolgere le diverse funzioni aziendali, aiutare a fare chiarezza su priorità e soluzioni possibili, costruire percorsi condivisi. La vera differenza sta nella capacità di progettare con il cliente, non per il cliente. Dobbiamo essere capaci di leggere i contesti, collegare dati e dinamiche, condividere esperienze e buone pratiche anche da altri mercati. Questo è il valore del nostro ruolo: creare fiducia nel tempo, attraverso un confronto continuo e relazioni basate su trasparenza, competenza e impatto reale”.

Cloud sovrano e residenza del dato: infrastrutture per la fiducia

La Innovazione responsabile richiede anche infrastrutture solide, trasparenti e vicine al contesto in cui operano le aziende. Questo significa affrontare con decisione il tema della residenza del dato e della sovranità digitale: sapere dove risiedono le informazioni, chi può accedervi e con quali garanzie normative.

“Fino a qualche anno fa, le principali preoccupazioni dei clienti sul cloud riguardavano la sicurezza – sottolinea Pontremoli-. Le domande erano: dove sono i miei dati, chi li vede, quanto è sicuro? Oggi è emersa una nuova sensibilità: la sovranità dei dati. Le aziende vogliono sapere dove sono fisicamente le loro informazioni, vogliono poterle controllare. È un tema che non riguarda solo la tecnica, ma la fiducia, soprattutto in Italia, dove moltissime PMI che sono fornitori che lavorano con aziende su una scala globale stanno maturando una nuova consapevolezza geopolitica e giuridica che qualche anno fa era impensabile”.

Per rispondere a queste esigenze, Var Group mette a disposizione un’infrastruttura proprietaria basata su data center italiani di ultima generazione, che assicurano pieno controllo e residenza nazionale dei dati, garantendo alle aziende un presidio diretto, concreto e verificabile. Un modello di private cloud che offre il massimo in termini di governance e che diventa un vero e proprio acceleratore di fiducia. Allo stesso tempo, grazie alle partnership consolidate con i principali hyperscaler, Var Group integra anche soluzioni public cloud che oggi possono contare su region localizzate in Italia e in Europa, permettendo così di calibrare architetture ibride o multi-cloud che rispettano i requisiti di territorialità e compliance. In questo modo ogni impresa può scegliere la configurazione migliore, sicura del fatto che i propri dati restano sempre governati entro perimetri geografici e normativi ben definiti, con la tranquillità di avere accanto un partner che presidia in prima persona questi aspetti cruciali.

Tecnologia e impatto: la sfida della responsabilità infrastrutturale

Non a caso, in Italia sta crescendo notevolmente il numero di data center distribuiti sul territorio, segnale evidente che, a differenza delle scelte mancate dal punto di vista dell’energia, non si sta perdendo il treno della potenza elaborativa. Investire in nuovi data center Tier 4 si conferma una scelta strategica per garantire la competitività del Paese. In particolare, con l’avvento pervasivo delle tecnologie IoT, le infrastrutture di prossimità permettono di ridurre la latenza, migliorare l’efficienza e mantenere la governance in linea con le regole europee.

“Se parliamo di edge computing e di IoT, il discorso si amplia ulteriormente – conclude Pontremoli -: miliardi di dispositivi generano microtransazioni che richiedono latenza minima e massima affidabilità. E qui l’Italia, pur con tutte le sue complessità, è molto più avanti di quanto si pensi: abbiamo banda, fibra e un’infrastruttura solida, reale, su cui costruire. La potenza elaborativa ha un costo, anche ambientale. È vero che i grandi provider investono in data center green, ma l’energia va comunque prodotta. Il bilancio tra efficienza e impatto è ancora lontano da un punto di equilibrio. Le prossime tecnologie dovranno considerare questo fattore fin dall’origine: non è solo un tema tecnico, è una questione di visione e responsabilità collettiva. Non possiamo demandare tutto alla tecnologia: serve una strategia infrastrutturale che tenga conto del contesto, delle normative, della sostenibilità nel lungo periodo. È su questa base che si possono sviluppare modelli di Innovazione responsabile pronti a rispondere alle sfide del futuro”.



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