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Cure e cibo troppo costosi per cani e gatti. Tutti d’accordo sulla riduzione del peso fiscale, ma non ci sono coperture | Corriere.it


Mantenere un animale domestico è un grande onere per le famiglie. Ma visto che cani e gatti ne sono membri a tutti gli effetti, è giusto riconoscerne il ruolo sociale anche dal punto di vista del welfare. In altri termini, servirebbero agevolazioni fiscali o di altro genere per dare agli italiani la possibilità di garantire ai loro amici a quattro zampe un adeguato standard di accudimento, dal punto di vista dell’alimentazione ma anche e soprattutto in tema di salute e prevenzione. È stato questo il filo conduttore riecheggiato in diversi panel del’Italian Pet Summit 2025, l’evento del Sole 24 Ore che ha chiamato a raccolta al Magna Pars di  Milano aziende, professionisti, associazioni, organizzazioni del volontariato e rappresentanti del mondo della politica per fare il punto sull’andamento di un settore che da diversi anni sembra non conoscere crisi.

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Il mercato del  pet food e del pet care continua a dare segnali di crescita e aumenta la propensione all’acquisto dei proprietari. Ma il fatto che tutti i beni e tutte le prestazioni che riguardano gli animali sono soggetti all’aliquota Iva del 22% rende la gestione quotidiana alquanto onerosa, soprattutto per le famiglie a reddito più basso. Con il rischio che nella ricerca del risparmio si finisca per scegliere prodotti di minore qualità o col rinunciare alla prevenzione sanitaria. Per dirla con le parole di Giusy D’Angelo, vicepresidente nazionale dell’Ente nazionale protezione animali, sarebbe grave la prospettiva di una società in cui avere un cane o un gatto rischia di diventare roba da ricchi: «Tutti hanno il diritto di adottare un animale, non solo chi ha disponibilità economica. Un intervento pubblico non è più rimandabile». 

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Di qui l’appello unanime alle istituzioni per interventi sul fronte fiscale che consentano di alleggerire il carico sulle famiglie. Sulla carta sono tutti d’accordo: lo chiede Assalco, l’associazione che riunisce le aziende del settore; lo chiedono l’Anmvi e la Fnovi, che rappresentano i veterinari italiani; lo chiedono le associazioni animaliste; e lo chiede anche la politica, almeno una parte di essa. A cui spetta però il compito più gravoso, vale a dire trovare una soluzione. E fare quadrare i conti. Perché è vero che in Parlamento ci sono deputati e senatori di varie aree propensi a sostenere un’operazione di questo genere. Ma resta il nodo dei numeri. 

Una ricerca Nomisma diffusa la scorsa settimana ha quantificato in circa 900 euro il costo medio di mantenimento annuo di un animale domestico in Italia, di cui quasi 400 sono la spesa media per le cure veterinarie. Il 22% dell’intera somma, quindi quasi 200 euro, è rappresentato dall’Iva che va allo Stato. Nelle case degli italiani, stando ai dati del rapporto Assalco Zoomark, vivono circa 9 milioni di cani e 12 milioni di gatti, quindi 21 milioni in totale e senza considerare altre specie. Che garantiscono un gettito erariale – a spanne basterebbe moltiplicare l’Iva media per il numero di animali, in realtà entrano in gioco altri fattori per cui non è facile dare una stima precisa –  a cui difficilmente si potrebbe rinunciare e la cui eventuale diminuzione dovrebbe comunque trovare copertura.

Lo riconosce, in collegamento da Montecitorio, anche l’on. Rosaria Tassinari, deputata di Forza Italia, che con la collega Rita Dalla Chiesa ha presentato un progetto di legge per la riduzione dell’Iva al 10% sulle prestazioni veterinarie e al 4% sui prodotti per l’alimentazione degli animali da compagnia. Il testo è attualmente in prima lettura alla Camera, ma è ancora fermo in commissione. Il testo depositato stima in circa 30 milioni di euro la copertura necessaria, sottostimata rispetto ai numeri citati sopra. «È il nodo su cui stiamo lavorando – spiega la parlamentare -. Su questa iniziativa ci sarebbe anche un consenso bipartisan, ma prima va affrontato il tema delle risorse. La riduzione del gettito potrebbe essere compensata in parte da risparmi generati dai benefici che cani e gatti portano alle persone, facendoli vivere meglio e in maniera più sana. Le stime sono in corso».

Una ulteriore ipotesi, rilanciata da Marco Melosi, presidente dell’Amvi, è quella dell’aumento delle detrazioni, sia per le spese veterinarie sostenute – che sono tutte in regime privato, non esistendo un sistema sanitario pubblico per animali -, sia per le assicurazioni comprensive di prestazioni sanitarie che stanno prendendo sempre più piede. Sostanzialmente, si può investire in una copertura che consenta alle famiglie di tutelarsi anche in caso di costi medici imprevisti, aggiuntivi rispetto ai controlli di routine e alle vaccinazioni. Per molti sarebbe più facile sottoscrivere una di queste polizze in presenza di qualche agevolazione fiscale, che comporterebbe per l’erario un sacrificio minore rispetto alla riduzione dell’aliquota Iva. Che resta comunque un’ipotesi in campo: «La Germania – ha ricordato ancora Tassinari – si è mossa in questa direzione e l’aliquota è scesa al 6%. Un segnale in ogni caso va dato». Resta da vedere quanto sarebbe applicabile sui nostri di conti pubblici. Oltretutto la scarsa detraibilità si fa sentire anche sul fronte delle donazioni da privati ad ad associazioni e rifugi, che secondo l’Enpa sono in calo. Mentre aumentano le cessioni in canile di cani considerati problematici, che le famiglie faticano a gestire: in un anno la crescita, sempre secondo Enpa, è stata del 15%.

«Da alcuni anni si registra comunque un netto cambio di mentalità – evidenzia Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali -. Gli animali d’affezione sono sempre più soggetto del diritto. Con la legge che porta il mio nome lo sono diventati per gli aspetti penali: oggi sono loro i diretti beneficiari delle norme sui maltrattamenti che prima tutelavano solo il sentimento delle persone nei loro confronti. Reati che prima erano a torto considerati minori non vengono più ignorati. Ora consideriamo gli animali esseri senzienti a tutti gli effetti. Per questo anche in altri campi, come quello fiscale, i loro diritti andranno riconosciuti».  



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