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Tecnosystemi: cuore, impresa e… sostenibilità


Un cuore e… un’impresa. Quando, una trentina di anni fa, Anna Munari e Giorgio Rigoni legarono i loro destini professionali e personali a Tecnosystemi, azienda trevigiana indipendente – fra le poche nel nostro Paese a essere passata indenne attraverso le mire predatorie dei fondi internazionali di private equity – non immaginavano che sarebbero arrivati così lontano.

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Hanno preso in mano, rigenerato e sviluppato l’azienda fino ad avere, oggi, un fatturato in costante crescita, che nel 2024 ha raggiunto quota 56 milioni di euro, una presenza commerciale in oltre 50 Paesi di tutto il mondo, dando lavoro a 190 persone. E tutto questo, fin dal principio, gestendo la loro realtà con attenzione agli aspetti etici e di sostenibilità, anche quando questo termine non era ancora nemmeno entrato nel linguaggio comune…  

È una storia emblematica, quella di Tecnosystemi, di quella parte d’Italia, il Nord Est, che alla fine del secolo scorso ha ingranato la quarta ed è diventata uno dei motori dell’economia nazionale, rovesciando precedenti riferimenti, come quello del cosiddetto triangolo industriale Torino-Milano-Genova.

Anna Munari e Giorgio Rigoni si sono divisi incarichi e deleghe nella guida dell’azienda: Rigoni è presidente del Consiglio di amministrazione e segue la parte tecnica e commerciale, mentre Munari ricopre la carica di Ceo e a lei fanno capo la produzione e la gestione delle risorse umane. Si sono divisi i compiti, ma tra di loro c’è una costante condivisione di spunti di riflessione, consigli, confronti. A chiudere il cerchio, la nuova generazione con Federica Rigoni, anch’essa componente del Consiglio di amministrazione di Tecnosystemi.

Dott.ssa Munari, partiamo dall’inizio, ossia da quando, nel 1993, entrò in Tecnosystemi, poche settimane prima di sostenere l’esame per diventare notaia.
Avevo completato il biennio di pratica ed ero ben preparata, ma avevo anche capito che non era quella la mia strada. Così, decisi di prendere in mano il mio destino: non diedi l’esame e, grazie a uno zio che lavorava qui, entrai in questa azienda, scontando lo scetticismo che gli altri soci riservarono a una ragazza giovane e all’epoca priva di cultura d’impresa com’ero io.

Ma le cose migliorarono rapidamente, tanto è vero che solo due anni dopo invitai mio marito, che lavorava nel settore degli stampi di plastica, a venire a lavorare con me: ci servivano le sue competenze tecniche e produttive. 

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Una scelta, quindi, dettata dalle esigenze dell’impresa, più che dal cuore…
Sì, perché il radicale cambiamento che volevamo imprimere a Tecnosystemi era proprio quello di trasformarla da azienda commerciale – importavamo e distribuivamo componenti da Stati Uniti, Giappone, Germania e Belgio – in una realtà manifatturiera, che producesse in Italia gli articoli che prima acquistava all’estero, garantendo in questo modo un controllo totale sulla qualità.

Sulle prime non abbiamo avuto vita facile, perché i nostri sub fornitori stranieri guardavano alle nostre scelte con un misto di incredulità e diffidenza e ben presto ci trovammo a lavorare solo con la nostra produzione. Si pensi che all’inizio avevamo un catalogo di sole cinque pagine (ne abbiamo ancora qualche copia in archivio…) mentre oggi abbiamo una vastissima gamma non solo di accessori per il condizionamento, ma anche per il riscaldamento, il ricambio dell’aria, la ventilazione meccanica e il fissaggio dei pannelli fotovoltaici.

Qual è stata la vostra carta vincente?
Sono più di una. In primo luogo, sicuramente l’avere sempre tenuto conto in misura determinante dei grandi temi che ci sono sempre stati cari, ossia quelli relativi alla sostenibilità, fin da tempi non sospetti, quando di sostenibilità ancora non parlava nessuno.

E quando se n’è iniziato a parlare, ci siamo trovati in pole position per diventare una Società Benefit, titolo del quale ci fregiamo dal 2021. L’accento che poniamo sulla sostenibilità, che è un investimento sia in termini di denaro sia di energie, ci sta portando oggi a differenziarci in maniera direi definitiva dai nostri competitor.

L’altro elemento che ci caratterizza positivamente è l’italianità. Siamo rimasti praticamente i soli a non essere stati acquisiti da realtà internazionali e questo ha un forte peso anche dal punto di vista commerciale.

Più unici che rari, insomma…
In realtà si tratta di due facce della stessa medaglia: noi vogliamo esaltare l’italianità della nostra produzione anche e soprattutto attraverso monitoraggi e procedure di impatto ambientale. Per fare un esempio, abbiamo ottenuto certificazioni Epd a seguito di Life Cycle Assessment su prodotti che provengono dal mondo della plastica, dal granulo del Pvc a iniezione e a estrusione, fino alla gomma.

Questi percorsi sono strettamente connessi con il nostro modello di produzione e di business, attraverso il quale comunichiamo al nostro mercato di riferimento, che rimane proprio l’Italia. Si tratta di un percorso coerente, che va dalla scelta dei fornitori e delle materie prime, che prosegue per tutto il processo di lavorazione e che si conclude con lo smaltimento del prodotto e con il riciclo del materiale di risulta, come le mattarozze…

Le mattarozze?
Le mattarozze sono quella parte di prodotto che avanza quando nello stampaggio della plastica viene prodotta una quantità di materiale sovrabbondante per tenere insieme i pezzi stampati e che deve essere ovviamente consegnata allo smaltimento.

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Ecco: noi ci siamo dotati di macinatori con cui trituriamo le mattarozze, rimettendo in circolo il materiale, che può essere usato di nuovo. Quest’anno abbiamo utilizzato quasi 170 mila tonnellate di plastica riciclata: una quantità enorme di materiale, che sarebbe andata a finire nei cassoni di smaltimento! 

Tutto questo è testimoniato nel Bilancio di Sostenibilità 2024. In che modo Tecnosystemi concepisce la sostenibilità?
Il vero cambio di passo che vogliamo portare avanti è concepire la sostenibilità non solo verso l’esterno ma a governo di tutti i processi interni e dipartimenti aziendali. L’obiettivo è fare azioni mirate che invitino tutti a ripensare il proprio ruolo in termini di sostenibilità ed efficacia all’interno del sistema organizzativo. Perché questo rappresenta un vero vantaggio competitivo nei confronti del mercato.

Secondo noi circolarità ambientale, innovazione digitale e benessere interno devono coesistere in un’unica visione industriale evoluta. Questa non vuole essere una mera dichiarazione di intenti, ma un percorso misurabile: dalle 168 tonnellate di scarto produttivo plastico rimacinato internamente al 100% di energia da fonti rinnovabili, fino all’adozione volontaria degli European Sustainability Reporting Standards (Esrs), ben prima dell’obbligo normativo.

In tutti questi anni, non avete mai ricevuto offerte di acquisto, o quantomeno di creazione di sinergie con realtà internazionali?
Di proposte ne abbiamo avute. E proprio dagli stessi che poi hanno acquisito aziende nostre concorrenti… Ma la scelta dell’azienda è sempre stata quella di garantire una continuità.

Come vede il vostro futuro?
La nostra visione a medio-lungo termine è articolata in due segmenti: da un lato, stiamo lavorando perché la prima linea dei dirigenti possa in futuro prendere in mano la nostra realtà, gestendola e sviluppandola, mantenendone i valori fondanti anche negli scenari che si concretizzeranno. Per altro verso, saremmo felici se fossero proprio le nostre figlie, Federica e Valentina, a volere raccogliere questa eredità, che non è solo materiale ma che è anche ideale.



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