Il sottosegretario all’innovazione Alessio Butti annuncia al Sole 24 Ore la “soluzione” per salvare il piano Italia a 1 Giga: ridurre di 700mila il numero di civici da coprire e distribuire voucher per abbonamenti satellitari.
L’ennesima toppa su un piano che continua a slittare, mentre l’Italia rischia di perdere il treno dell’innovazione digitale. Più che una svolta è l’ulteriore capitolo di una storia che si ripete da quasi tre anni.
Italia 1 Giga, i motivi del ritardo
Riavvolgiamo il nastro. Novembre 2023: Butti, davanti alle Commissioni parlamentari della Camera (I-Affari costituzionali e IX-Trasporti), ammetteva che erano stati collegati solo 307mila civici su 3,4 milioni previsti – appena il 9% del totale. Già allora il sottosegretario parlava di “timidi segnali di incremento”, ma al contempo scaricava la responsabilità delle criticità sul governo precedente.
Per questo Butti il 2 novembre 2023 aveva deciso di firmare una Direttiva della Presidenza del Consiglio per “assicurare l’imparzialità, il buon andamento e l’efficacia degli uffici pubblici” coinvolti nel PNRR. Un documento di 10 pagine che richiamava tutti al “rispetto rigoroso della normativa nazionale in tema di semplificazioni amministrative” e alla “leale collaborazione istituzionale”. Insomma, un po’ di acqua fresca su una situazione che già al tempo appariva critica.
La Direttiva stabiliva infatti principi apparentemente rivoluzionari: l’attività autorizzatoria non doveva “determinare la frapposizione di ostacoli” né “il rallentamento alle tempistiche procedimentali”. Si vietava agli enti locali di introdurre “immotivati ostacoli”, nei fatti un mero promemoria di un saldo principio dell’azione amministrativa: che deve sempre essere motivata. E poi si vietava di “emettere ordinanze contingibili e urgenti al solo fine di sospendere o inibire l’esecuzione dei lavori”.
La Direttiva prevedeva persino sanzioni: i soggetti pubblici che avessero violato le disposizioni potevano essere segnalati al Dipartimento per la trasformazione digitale “anche ai fini dell’esercizio dei poteri sostitutivi”. Ma quanti poteri sostitutivi sono stati esercitati? Quanti enti locali sono stati commissariati per aver rallentato i lavori? Non è dato saperlo, ma i numeri del Piano suggeriscono: nessuno o quasi.
Il documento stabiliva che le istanze di autorizzazione si intendevano “accolte qualora, entro il termine perentorio di sessanta giorni” non fosse stato comunicato un diniego. Una norma del silenzio-assenso che avrebbe dovuto accelerare tutto. Risultato? Due anni dopo, siamo ancora qui a discutere degli stessi identici problemi.
I dati impietosi del piano
Infatti, a quasi due anni dalla firma di quella Direttiva presentata come risolutiva, i risultati parlano chiaro. I dati più recenti dipingono un quadro desolante. Secondo i dati del portale Connetti Italia, a luglio sono 2.176.858 i civici connessi pari al 61.4% previsto da target PNRR, i civici da collegare sono 920.364 pari al 26% del target. Questa la fotografia a luglio, pochi giorni dopo la scadenza del 30 giugno 2026, data entro la quale si sarebbe dovuto raggiungere il 100%.
La situazione è così critica che da quanto il 3 giugno 2025 Open Fiber ha respinto l’offerta presentata da FiberCop per l’acquisizione di cinque lotti delle cosiddette “aree grigie”, la politica non è neanche riuscita a svolgere una moral suasion, nonostante avesse tutti gli strumenti. Così il rifiuto ha ulteriormente complicato il quadro.
Il satellite non è fibra: la differenza tra investimento e sussidio
Ma il vero problema sta nella “soluzione” proposta oggi. Dopo che Open Fiber ha comunicato l’impossibilità di garantire la copertura di oltre 700 mila numeri civici entro il 30 giugno 2026 – su circa 2,2 milioni totali aggiudicati – la risposta del governo rivela il fallimento strategico del piano. Fallimento che non possono più addebitare solo al “governo precedente”. Se non ci sono responsabilità dirette di questo governo nella costruzione del piano, ce ne sono stati di enormi nella sottovalutazione della situazione quando esso è entrato in carica, ormai tre anni or sono.
La “soluzione” del Governo
Il governo presenta come “economie” i 700 milioni che derivano dal mancato completamento del piano originario: fondi già stanziati per la fibra che ora vengono dirottati altrove.
- Di questi, 580 mila civici vengono semplicemente rimandati al 2030 (data fine del Digital Decade europeo) con un nuovo bando ancora da definire e i fondi da economie ricavate dal bando Italia 1 Gigabit.
- Per i restanti 120 mila, la “soluzione” è distribuire 145 milioni del PNRR così: 95 milioni per connessioni ibride satellite-terrestre (satellite come backhauling, come il piano della regione Lombardia) per 80 mila utenze, e 50 milioni in voucher fino a 1.300 euro per abbonamenti satellitari per altre 40 mila utenze.
Questa scelta significa confondere un’infrastruttura con un servizio temporaneo. La fibra ottica è un investimento che resta: una volta posata, serve generazioni di utenti, aumenta il valore degli immobili, attrae imprese e investimenti. Un abbonamento satellitare, invece, è una spesa corrente che si esaurisce con il voucher.
È come asfaltare una strada a metà e poi dare ai cittadini un bonus per un taxi fuoristrada. Quando i soldi del bonus finiscono, il problema resta identico. Anzi, peggiore: perché nel frattempo si sono spesi fondi pubblici senza creare alcuna infrastruttura permanente. Il paradosso è evidente: quelli che vengono chiamati “risparmi” sono in realtà la certificazione dell’incapacità di portare la fibra dove promesso, lasciando 120 mila indirizzi con una connessione a tempo determinato invece che con un’infrastruttura definitiva.
La crisi della manodopera e la mancanza di soluzioni concrete
A confermare il quadro di un sistema in profonda crisi arrivano anche altri segnali allarmanti. È andata deserta la gara da 95 milioni per la realizzazione della nuova rete di backhaul in fibra ottica per garantire l’accesso all’Internet ultraveloce in oltre 500 Comuni privi di reti a banda ultralarga.
Le ragioni del flop sono molteplici: carenza di manodopera specializzata: Open Fiber ha incontrato difficoltà a reperire tecnici qualificati, ostacolando il rispetto del cronoprogramma. Non è un caso isolato: non sono poche le gare andate deserte nel corso degli ultimi anni che hanno comportato il rifacimento dei bandi e impattato inevitabilmente sulle tempistiche di realizzazione delle reti.
Eppure, la Direttiva Butti del 2023 parlava di “garanzia della massima efficienza funzionale, certezza e rispetto dei tempi di esecuzione”. Evidentemente, le parole non bastano a creare tecnici specializzati dal nulla.
La Direttiva Butti del novembre 2023 è l’emblema di un approccio miope: invece di affrontare i problemi strutturali – la capacità operativa degli operatori, la formazione di manodopera specializzata, il coordinamento reale tra i soggetti aggiudicatari – si è preferito emanare l’ennesimo documento pieno di buoni propositi ma privo di meccanismi efficaci di enforcement.
L’articolo 4 della Direttiva prevedeva che “i soggetti pubblici titolari di competenze di amministrazione attiva sono responsabili della proficua e leale collaborazione istituzionale”. Ma è stata davvero verificata questa collaborazione? Ci sono state sanzione pechi non l’ha garantita?
La Direttiva stabiliva persino che non si potevano “esigere oneri o canoni che non siano stabiliti per legge” (anche se per questo esiste già l’articolo 23 della Costituzione) o “introdurre prescrizioni regolatorie, adempimenti e misure non previste dalla legislazione di settore”. Eppure, a giudicare dai ritardi, qualcosa evidentemente non ha funzionato.
Piano 1 Giga: il costo dell’immobilismo digitale
Mentre l’Italia procede a colpi di voucher e rinvii, i dati del 2024 sulla copertura broadband europea certificano un divario che si allarga. Secondo il rapporto Broadband coverage in Europe 2024 (pubblicato nel maggio 2025), con il 70.7% di copertura FTTP (Fiber-to-the-Premises), l’Italia si colloca appena sopra la media UE del 69.2%, ma la distanza dai leader è abissale: Romania (95.7%), Spagna (94.9%), Norvegia (92.5%) e Francia (87.5%) hanno già completato o sono prossimi al completamento delle loro reti nazionali.
Il confronto con i partner europei rivela l’entità del problema italiano. Paesi come Portogallo (93.2%) e Bulgaria (90.4%) – economie tradizionalmente considerate in ritardo infrastrutturale – hanno superato l’Italia grazie a strategie coordinate e investimenti mirati. Perfino l’Ungheria (79.9%) e la Croazia (75.4%) stanno recuperando terreno rapidamente.
Particolarmente critica la situazione nelle aree rurali, dove l’Italia raggiunge solo il 36.8% di copertura FTTP contro una media UE del 58.8%. Paesi come Romania (93.5%), Danimarca (91.5%) e Spagna (86.3%) hanno praticamente azzerato il digital divide territoriale, mentre l’Italia mantiene un gap di oltre 60 punti percentuali tra aree urbane e rurali.
Sul fronte mobile, la copertura 5G italiana del 99.5% appare competitiva, ma nasconde una realtà più complessa. La copertura 5G nella banda 3.4-3.8 GHz – quella che garantisce le prestazioni più elevate – raggiunge il 93.3%, seconda solo alla Finlandia. Tuttavia, nelle aree rurali questo valore scende al 74.4%, ancora distante dalla copertura capillare necessaria per supportare l’agricoltura 4.0 e l’industria distribuita.
I dati europei confermano che la banda ultralarga non è più un’opzione, ma un prerequisito per la competitività. Gli studi della Commissione Europea indicano che un incremento del 10% nella penetrazione broadband può generare un aumento del PIL compreso tra 0.25% e 1.5%. Per l’Italia, con un’economia da 2.100 miliardi di euro, ogni punto percentuale di ritardo nella digitalizzazione equivale a miliardi di euro di crescita mancata.
Il divario si traduce in concrete perdite di competitività: startup che scelgono altri mercati, multinazionali che evitano investimenti in aree mal connesse, talenti che emigrano verso ecosistemi digitali più avanzati. L’Estonia, con il 76.3% di copertura FTTP ma una strategia digitale integrata, attrae più investimenti tech pro-capite di regioni italiane meglio infrastrutturate ma meno coordinate strategicamente.
La persistenza italiana sui voucher alla domanda rivela l’assenza di una visione strategica complessiva. Mentre altri Paesi coordinano investimenti in infrastrutture, competenze digitali, servizi pubblici online e normative innovative, l’Italia procede per compartimenti stagni.
Il rischio concreto è di arrivare al 2030 – termine ultimo per gli obiettivi del Digital Decade – con infrastrutture incomplete e un ecosistema digitale frammentato. A quel punto, non basteranno nuovi voucher o direttive e allora, forse, non ci sarà più nemmeno un governo precedente a cui dare la colpa.
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