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Intervista a Gianfranco Caccamo, Presidente di Ente Nisseno Cassa Edile


Presidente Caccamo, ci può raccontare quale motivo vi ha spinto a scegliere di sostenere Banco Alimentare della Sicilia con donazioni annuali? Cosa vi ha colpito nel suo operato? E cosa vuol dire per lei il termine solidarietà?

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Il mio cuore ha sempre battuto per il terzo settore seppur in contesti diversi e sostenere Banco Alimentare della Sicilia è stata una scelta naturale. Mi ha conquistato il modo in cui i volontari e gli operatori agiscono, con una gioia che traspare e un’energia che racconta come il loro obiettivo vada oltre il semplice aiuto alimentare. Non si limitano a distribuire alimenti ma costruiscono rapporti, regalano amicizia, danno vita a una comunità viva. Donare al Banco Alimentare significa partecipare a questo legame e contribuire a costruire un ponte tra chi offre tempo e cuore e chi affronta la fatica quotidiana di provvedere al sostentamento dei propri cari. Questo incontro mi ha dato una lente preziosa per guardare anche all’attività della Cassa Edile di Caltanissetta, che ho l’onore di guidare. La Cassa nasce per garantire assistenza e tutela ai lavoratori e porta con sé, da sempre, un’attenzione alla persona che va oltre i numeri e le procedure. È un prendersi cura che resta legato all’uomo, alla sua dignità e ai suoi bisogni, elemento che nella vostra opera trova un’eco amplificata, una spinta a ricordare che ogni servizio è innanzitutto relazione.

Rispetto alla solidarietà, l’esperienza da imprenditore mi invita a definirla come un fatto concreto. Significa assumersi la responsabilità di ciò che si fa, condividere risorse e tempo per dare risposte reali ai bisogni, mettere in circolo opportunità che aiutino le persone a reggere la fatica quotidiana e a crescere. È la consapevolezza che il benessere di ciascuno dipende dalla capacità di una comunità di sostenersi e di costruire insieme futuro.

 

ENCE è un’istituzione che rappresenta imprese del settore edile nel territorio nisseno. Come vede il ruolo della responsabilità sociale d’impresa nel rafforzare la solidarietà locale?

Mi è piaciuta molto l’interpretazione offerta dal professor Zamagni, secondo cui l’impresa, nel fare bene il proprio lavoro, ha una responsabilità civile: contribuire a creare le condizioni di una convivenza giusta, capace di rispondere ai bisogni e di contrastare il divario sociale. È un richiamo forte, che chiede di essere tradotto nel concreto e di ripartire da comunità di valori. In questa prospettiva, la responsabilità sociale rafforza davvero la solidarietà locale. Lo fa innanzitutto dando l’esempio, perché un’impresa che sceglie di restituire parte del proprio valore diventa motore di cultura e stimolo per l’intero territorio. E lo fa perché la solidarietà, intesa non come gesto occasionale ma come metodo, diventa un’opportunità sia per chi dona che per chi riceve: un’esperienza che educa, unisce e accresce la dignità di tutti.

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Per la Cassa Edile di Caltanissetta questa visione è naturale, infatti, l’attenzione all’uomo e alla sua famiglia è nel nostro DNA. Ma se questo impegno non si legasse a realtà come Banco Alimentare resterebbe incompleto, chiuso su sé stesso, una monade incapace di generare vera comunità. È proprio l’incontro con esperienze vive e operative che consente alla responsabilità sociale di diventare forza che costruisce e trasforma il territorio.

 

Nel suo ruolo di imprenditore, come crede debba essere strutturata la collaborazione tra le aziende private e gli enti del terzo settore per andare oltre la donazione? Quali crede che siano i possibili modelli innovativi per il futuro?

Credo che i modelli davvero innovativi non siano quelli che moltiplicano iniziative straordinarie, ma quelli che riscoprono la comunità di intenti e la responsabilità del proprio ruolo. La prima innovazione è tornare a fare, senza attendere grandi progetti: gesti semplici e costanti che generano un effetto contagioso, una “invidia positiva” che spinge altri a unirsi.

Osservo con interesse che, in Italia, una parte crescente della popolazione si muove nella direzione di una compartecipazione agli intenti delle imprese. Senza entrare in logiche politiche, questo dice di una necessità che va colta, quella del fare insieme, condividere obiettivi e voce anche di chi, in una filiera produttiva, spesso resta invisibile. Il modello innovativo, a mio avviso, è considerare l’esperienza del terzo settore non solo come testimonianza del cuore dell’azienda, ma come azione tangibile e stabile, al pari delle funzioni aziendali. Un impegno che arricchisce il lavoro e può perfino migliorare il modo di viverlo, perché restituisce senso e appartenenza. Questo impegno deve nascere da una libera adesione, perché solo una scelta volontaria può generare valore vero e duraturo. In questa prospettiva, la collaborazione tra imprese e terzo settore diventa un metodo di sviluppo, che integra responsabilità economica e responsabilità sociale e costruisce comunità capaci di futuro.

 

L’esperienza della cena solidale e del coinvolgimento del tessuto imprenditoriale locale (aziende, comunità) cosa le ha trasmesso? Ci può dare uno spunto che, secondo lei, altre imprese potrebbero seguire?

Credo che la cena solidale sia un esempio rappresentativo di come le imprese possano stare accanto la comunità. Mostra che il primo compito di chi guida un’azienda non è solo produrre reddito, ma creare legami che reggono nel tempo ed è lì che si verifica come la lotta alle disuguaglianze nasca proprio dall’incontro diretto tra esperienze diverse e dal mettere a disposizione, insieme, capacità e responsabilità. Attorno a una tavola questo diventa chiaro. Mentre si condivide il cibo si costruisce un linguaggio comune e ci si riconosce non per ciò che si possiede, ma per la capacità di camminare fianco a fianco, che è più impegnativa del possesso stesso. Da questa esperienza si coglie con maggior chiarezza che non servono gesti straordinari, serve cominciare. Dedicare tempo, competenze e relazioni professionali, senza delegare tutto al denaro, rafforza la comunità e restituisce all’impresa e al singolo un significato più pieno del proprio ruolo. Il mio invito è di riservare parte del proprio tempo a iniziative come questa. Essere presenti in prima persona, non solo come sostenitori ma come protagonisti, crea un capitale relazionale che nessun investimento economico da solo può generare e radica l’azienda nel territorio, rendendola più forte e capace di futuro.

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Infine: guardando alla sua visione per il territorio siciliano, cosa vorrebbe dire alle altre aziende, per incoraggiarle a prendere parte in queste iniziative affinché in Sicilia sia possibile costruire progetti di bene comune a lungo termine?

Alle aziende dico di iniziare senza attendere grandi progetti. Il bene comune nasce quando chi fa impresa sceglie di sostenere l’impegno quotidiano di chi dedica il proprio tempo ad aiutare le persone in difficoltà.

In Sicilia serve ricostruire una vera coscienza di comunità. Educare la collettività, ripartire dai valori che muovono la nostra comunità imprenditoriale e lasciarsi ispirare dagli enti del terzo settore sono passi indispensabili. Anche lo spreco alimentare ci ricorda che la responsabilità nasce da gesti quotidiani: dobbiamo tornare al dialogo su ciò che produciamo, compriamo e condividiamo.

Come Cassa Edile è tempo di trasformare l’esperienza in cultura stabile, per rendere continui e solidi i progetti comuni con realtà come futuro con Banco Alimentare. Ritengo che solo così potremo costruire una Sicilia capace di bene comune a lungo termine e dare alle nuove generazioni una ragione forte per restare e contribuire.



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