Quando il giornalista Paolo Zanca, sul palco della Festa del Fatto Quotidiano, interroga il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, sul tema dell’amichettismo ai tempi della destra, il pensiero si smarrisce nello spazio-tempo. Ma poi si sofferma, fisiologicamente, sull’ultima vicenda in ordine cronologico che porta il nome di Manuela Cacciamani, attuale ad di Cinecittà e fondatrice della società di produzione cinematografica One More Picture, che ha lasciato nel 2024 proprio in favore della controllata del Mef su segnalazione della sorella d’Italia, Arianna Meloni.
Nome, quello di Cacciamani, spuntato nell’indagine avviata a inizio agosto dalla procura di Roma (come rivelato da La Stampa), che con l’apertura di cinque fascicoli ha delegato la Guardia di Finanza ad acquisire documenti dalla direzione generale cinema e audiovisivo – ora in capo ad interim a Mario Turetta – sui finanziamenti di alcune società per presunti reati nei confronti della pubblica amministrazione, relativi a fondi pubblici di cui hanno beneficiato piccole e medie imprese dell’audiovisivo (189 film per oltre 200 milioni di euro di contributi sospetti) dal 2020 a oggi, tra cui la One More Pictures. Tra le società sotto la lente degli inquirenti ci sono anche le produzioni di film come Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, Finalmente l’alba di Saverio Costanzo, L’immensità di Emanuele Crialese, Siccità di Paolo Virzì, The Equalizer di Antoine Fuqua, Fast & Furious 10 di Louis Leterrier, Viola come il mare di Francesco Vicario e La chimera di Alice Rohrwacher. Una vicenda che, è bene sottolinearlo, è stata innescata dalle denunce dell’avvocato esperto in diritto d’autore e cinematografico e membro del Consiglio Superiore della Cinematografia e Audiovisivo, Michele Lo Foco, e dal deputato Gaetano Amato del M5s.
Ma posto l’oggetto dell’indagine – che, si ricorda, prende le mosse dagli oltre 863mila euro in tax credit concessi al presunto omicida di Villa Pamphili, Rexal Ford, per il film fantasma Le stelle della notte, costato la poltrona a Nicola Borrelli – in questo caso a fare rumore è il doppio filo che lega cuore e affari. Tornando al palco della Festa del Fatto, alle insinuazioni sul tema dell’amichettismo Giuli risponde che “è evidente che deve esserci una messa alla prova di una classe dirigente” nel comparto culturale, ma “non si può accusare la destra di non averla e poi, quando la mette alla prova, vedi Cinecittà, dire che è amichettismo”. L’affermazione arriva quando le ombre si sono già addensate su via del Collegio Romano e sugli uffici di via Tuscolana, e in questo contesto l’invocata “fase di sperimentazione” della generazione Atreju che ha l’obiettivo anche di “liberare Cinecittà dall’Unione Sovietica” parrebbe davvero poco solida.
Cacciamani, coinvolta ma non formalmente indagata, è infatti legata al cognome Meloni da un lungo rapporto d’amicizia con Arianna, ma è stata anche consulente della sottosegretaria leghista alla cultura con delega all’audiovisivo, Lucia Borgonzoni, in particolare per quanto riguarda la campagna Cinema Revolution per la quale avrebbe ricevuto 250 mila euro di incentivi. Si aggiunga, poi, che nelle carte fornite agli inquirenti ci sono anche le consulenze e gli affidamenti diretti ricevuti dal Mic attraverso Cinecittà, prima della nomina di Cacciamani, per i cosiddetti progetti speciali e per quelli internazionali.
Secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano, tra i nomi che spuntano dall’indagine ci sono anche Tiziana Rocca con la sua società di produzione Agnus Dei – che dal 2019 al 2024, segnala la Repubblica, ha visto lievitare i contribuiti pubblici ottenuti da 50mila euro a quasi mezzo milione, anche per eventi come il Filming Italy che si tiene in Sardegna – e il regista-marito Giulio Base – voluto alla direzione del Torino Film Festival dall’allora ministro Gennaro Sangiuliano e per la cui consulenza è stata designata la stessa Rocca. Tre degli ultimi film di Base, infatti, sono stati prodotti proprio dalla One More Pictures, in coproduzione con la Rai Cinema di Paolo Del Brocco. A titolo esemplificativo, si segnala Albatross, film sulla vita del militante del Fronte della gioventù Almerigo Grilz che ha ricevuto 1,5 milioni di contributi pubblici (su 3,4 totali in budget), che tuttavia si è rivelato un flop con una media di 4 spettatori nelle 106 sale in cui è stato proiettato. Ma se l’incasso al botteghino è stato risibile (1.200 euro nei primi tre giorni di programmazione), quello del cuore è stato grandioso, con anteprime alla presenza del presidente del Senato Ignazio La Russa, della sorella della Presidente del Consiglio e del Ministro della Cultura.
Utile, infine, ricordare la vicenda che lo scorso giugno ha portato alle dimissioni della allora presidente di Cinecittà (che contemporaneamente lo era, ed è, anche dell’Apa) Chiara Sbarigia, accusata di conflitto di interessi per aver elargito fondi pubblici ai giornalisti affinché non criticassero l’amica e collega Borgonzoni, nonché per evitare di sollevare polveroni sul suo doppio ruolo. Via libera, per contropartita, alle critiche nei confronti del ministro Giuli. Accuse mai accertate e sulle quali Giuli ha glissato, ma le dimissioni improvvise di Sbarigia hanno sollevato più di qualche legittimo sospetto.
“Sapere che l’amministratore delegato di Cinecittà, definita ‘uno dei nostri’, sia una delle prime essere finita sotto la lente d’osservazione, per me è rassicurante”, ha asserito Giuli dal palco della Festa del Fatto. “Cacciamani è stata nominata dal mio predecessore, ma l’avrei nominata anch’io, perché credo che sia stata una brava produttrice e che sia un ottimo amministratore delegato. Quando vado a cercare la sporcizia in casa di altri, preferisco sapere che a casa mia è tutto pulito. Per me è rassicurante sapere di essere i primi ad indagare su noi stessi, di essere i primi ad essere su i riflettori. Ma non si fanno sconti a nessuno”.
Intanto, approda in aula alla Camera la mozione del Movimento 5 stelle concernente iniziative per il finanziamento del settore del cinema e dell’audiovisivo. Nella seduta convocata oggi, lunedì 15 settembre, il secondo punto all’ordine del giorno è la discussione generale sul documento. In particolare, la mozione denuncia “la tendenza nel favorire le grandi produzioni a discapito dei piccoli produttori indipendenti, oltre a non tener conto di nessuna proposta avanzata dalle associazioni di settore”. Inoltre, si legge, il Governo “ha di fatto giustificato il taglio da 130 milioni di euro destinati al credito d’imposta come uno spostamento di risorse sui contributi selettivi”. Ma in realtà, eccepisce il testo, “il decreto di riparto del 12 aprile 2024, n.145, mostra come i contributi selettivi siano aumentati soltanto di 37,6 milioni di euro, generando comunque un taglio da circa 90 milioni al credito d’imposta”.
Tra le motivazioni dichiarate che hanno portato alla modifica “vi è quella di risolvere il problema del circa 50 per cento di film prodotti che non riescono ad arrivare in sala, considerandoli, per questo, esempio di spreco di denaro pubblico, e dunque si considera ‘abuso’ l’aver girato un film che poi non riesce a trovare sbocco in sala”. Secondo i proponenti, la prima considerazione che si oppone a tale argomentazione “è che la sala non è che una delle possibili destinazioni di un’opera, spesso solo la prima in ordine di tempo anche solo sotto forma di ‘uscita tecnica’, e che i film sono beni durevoli che non esauriscono la loro vita nell’arco di mesi, né di anni, ma spesso rivelano ed aumentano il proprio valore nel tempo; inoltre, il finanziamento al cinema non rappresenta un sostegno al mercato, ma poggia sul principio europeo dell’eccezione culturale, tanto da avere natura di fondo perduto, e che il tax credit, per sua natura, è una misura automatica finalizzata a favorire ed attrarre investimenti, non ha natura selettiva”.
Il dispositivo finale della mozione del M5S sul cinema e l’audiovisivo impegna il Governo, per citare solo alcuni passaggi, “al fine di contrastare le pratiche di abuso e spreco di denaro pubblico, ad adottare iniziative volte ad introdurre maggiori controlli sulle documentazioni e tetti all’eleggibilità delle voci di spesa; ad intraprendere ogni iniziativa utile, di carattere normativo finalizzata ad istituire un nuovo e distinto fondo, volto alla possibilità di scoperta e di crescita di nuovi talenti del cinema indipendente italiano, rivolto esclusivamente alla produzione di opere prime e seconde a budget non superiore ai 2 milioni di euro”, e ancora: “ad adottare iniziative volte a garantire la trasparenza nella scelta delle opere da finanziare e la libertà espressiva di queste opere attraverso un adeguato meccanismo di composizione e funzionamento delle commissioni selettive”, “ad adottare iniziative di carattere normativo volte a modificare il tax credit secondo i seguenti criteri: a) diminuire il tax credit al 20 per cento per i film di budget superiore ai 5 milioni di euro e al 30 per cento per quelli dai 2,5 milioni di euro ai 5, mantenere il 40 per cento per quelli inferiori ai 2,5 milioni; b) richiedere una uscita in sala in almeno 30 copie per almeno 2 settimane a programmazione intera per l’accesso al tax credit; c) escludere dal tax credit le società detenute da soci esteri di Paesi non in regime di reciprocità; d) diminuire il tax credit al 25 per cento per le produzioni esecutive in Italia promosse da strutture estere ma in regime di coproduzione; e) escludere dal tax credit le produzioni televisive nelle quali l’emittente copra più del 70 per cento, del costo del prodotto, mentre al di sotto, riconoscere il tax credit al 25 per cento”.
Parafrasando Giuli, Cinecittà sarà pure stata liberata da quella “Unione Sovietica decadente, in decomposizione” in cui “ci giravano i soliti amici”, ma le regole del gioco sono evidentemente rimaste le stesse.
Elettra Raffaela Melucci
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