Venerdì 12 settembre, Fitch ha abbassato il rating sovrano della Francia da AA- ad A+. L’agenzia ha giustificato questa decisione sulla base di un deficit persistente, di un debito pubblico già pari al 114% del PIL e che dovrebbe raggiungere il 132% nel 2034, e di una cronica instabilità politica. A questo livello, la Francia si avvicina ai numeri dell’Italia, che dovrebbero raggiungere il 135%, mentre si allontana da economie come quella spagnola e belga, le cui traiettorie appaiono più stabili. Questo declassamento non pone la Francia in una situazione di crisi immediata, ma conferma la percezione di una relativa debolezza.
Questo declassamento può essere spiegato anche dal continuo deterioramento dei saldi di bilancio. Dal 2017, il gettito fiscale è diminuito di 1,6 punti percentuali del PIL per le famiglie e di 0,8 per le imprese, senza essere compensato da una riduzione della spesa pubblica. La spesa pubblica rimane elevata, rappresentando il 57% del PIL rispetto a una media del 50% nell’eurozona, un livello paragonabile a quello del 2017 dopo aver raggiunto il picco durante la pandemia. Il disavanzo primario rimane al di sotto della soglia di stabilizzazione del debito. Un’analisi dell’eccesso di spesa rispetto al resto dell’area dell’euro (7 punti percentuali del PIL) mostra che la maggior parte viene dal sistema pensionistico (2,2 punti percentuali) e dalla sanità (1,5 punti percentuali).
Una sanzione che sembra destinata a durare con la crisi politica
Il problema sta nel fatto che questa sanzione sembra destinata ad andare avanti. Dopo la caduta del governo Bayrou e l’arrivo di Sébastien Lecornu a Matignon, lo stallo parlamentare persiste. In assenza di una solida maggioranza, la prospettiva dello scioglimento dell’Assemblea Nazionale appare sempre più inevitabile. L’incapacità di costruire un consenso credibile in materia di bilancio rafforza l’idea che la Francia non tornerà presto su un chiaro percorso di consolidamento. Queste debolezze istituzionali alimentano la percezione della Francia come un Paese periferico all’interno dell’eurozona, piuttosto che un pilastro semi-centrale.
I mercati obbligazionari stanno reagendo a questo declassamento senza farsi prendere dal panico. Il rendimento del decennale francese è pari a circa il 3,5%, leggermente superiore a quello della Grecia e vicino a quello dell’Italia. L’aumento dei costi di finanziamento riflette un aumento del premio di rischio, ma rimane ben al di sotto dei livelli registrati durante la crisi del debito sovrano. Il debito francese continua ad essere considerato di buona qualità dalla maggior parte degli investitori.
L’evoluzione più significativa non riguarda il rendimento a dieci anni, bensì l’ampliamento dello spread rispetto alle obbligazioni trentennali, che riflette un irripidimento della curva spesso interpretato come un segnale di timori inflazionistici. Tuttavia, le aspettative a lungo termine sono rimaste stabili. Questo movimento riflette principalmente fattori tecnici: una riduzione strutturale della domanda da parte dei fondi pensione e delle assicurazioni, dinamiche demografiche che riducono la necessità di titoli a lunghissimo termine e la saturazione del mercato dovuta alle emissioni di titoli di Stato.
Gli investitori hanno tendenzialmente privilegiato scelte di steepener per posizionarsi sullo spread tra i rendimenti a cinque e a trent’anni, tenendo conto di tutti questi fattori tecnici che incidono sul debito sovrano (USA, Regno Unito, Germania) ed esprimendo anche i propri dubbi sulla traiettoria fiscale della Francia. In questo contesto, in cui gli asset rifugio sono sotto pressione, i flussi si stanno spostando verso l’oro e persino verso il credito investment grade, che rimane richiesto nonostante il suo spread creditizio abbia raggiunto livelli storicamente bassi.
Infatti, si sta verificando un cambiamento significativo nella gerarchia del mercato del debito: diversi grandi gruppi francesi, tra cui LVMH, Airbus, L’Oréal e Axa, stanno ora contraendo prestiti a tassi inferiori rispetto al governo. Il contrasto evidenzia sia la fiducia riposta in queste società sia la pressione esercitata sul debito sovrano dall’eccesso di offerta e dal volume massiccio di debito pubblico emesso.
Elementi di resilenza
Questo quadro va tuttavia relativizzato. La Francia presenta diversi punti di forza: un saldo delle partite correnti prossimo all’equilibrio, in contrasto con i massicci deficit registrati dalla Grecia e dalla Spagna prima del 2008; un elevato tasso di risparmio delle famiglie pari al 19%, che costituisce una solida riserva interna; un’inflazione inferiore rispetto ai paesi vicini; e la rete di sicurezza della BCE, attraverso il suo Programma di protezione transitoria (TPI), concepito per prevenire un’eccessiva frammentazione dell’eurozona.
Va inoltre ricordato che il rischio di contagio al resto dell’Eurozona rimane molto limitato. Il problema della Francia è principalmente politico, non finanziario: la Francia non è uno Stato in bancarotta che rischia di trascinare con sé i Paesi vicini. Anche se il Rassemblement National dovesse vincere, l’impatto rimarrebbe limitato a causa della probabile assenza di una maggioranza assoluta e delle garanzie europee. L’esempio italiano dimostra che gli spread possono rimanere ordinati nonostante l’arrivo di un governo percepito come radicale. Infine, la semplice menzione dell’ESM da parte della BCE sarebbe probabilmente sufficiente a calmare qualsiasi tensione eccessiva sugli spread.
Verso un premio di rischio sostenibile
Fitch stima che il deficit supererà il 5% del PIL fino al 2027, rinviando qualsiasi consolidamento fino a dopo le presidenziali. Questa traiettoria è già ampiamente scontata dai mercati. La Francia sta perdendo il suo status di pilastro semi-centrale ed è ora considerata periferica nell’eurozona. Tuttavia, non sta entrando in una zona di crisi. Il premio di rischio più elevato è ora la nuova normalità, assorbita dagli investitori in un contesto in cui il credito e gli asset alternativi continuano ad attrarre flussi massicci. È infatti il rischio di una nuova dissoluzione che graverà ancora una volta sul debito francese.
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