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Nel luglio del 2023 è stato compiuto un passo storico verso una maggiore trasparenza delle imprese europee: ambientale, sociale e di governance. Stiamo parlando dei nuovi standard di bilancio di sostenibilità ESRS (European Sustainability Reporting Standards),, elaborati da EFRAG (European Financial Reporting Advisory) e approvati dalla Commissione UE. 

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Questi standard, parte integrante della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), rivoluzionano il modo in cui le aziende comunicano il loro impatto ambientale e sociale, ponendo le basi per una rendicontazione solida, confrontabile e verificabile. L’obiettivo? Rendere il mercato più trasparente, responsabile, orientato alla transizione ecologica.

Ma cosa prevedono, più nello specifico, gli ESRS? Cosa sono e come vanno interpretati? In questo articolo entreremo nel dettaglio scoprendo i nuovi obblighi, i temi chiave e le implicazioni per il futuro della sostenibilità aziendale in Europa.

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Standard ESRS: cosa sono e a cosa servono

L’Unione Europea fa passi avanti nel campo della sostenibilità. Uno dei più importanti è proprio la nascita degli ESRS, i nuovi standard europei per la rendicontazione di sostenibilità, pensati per uniformare e rendere più trasparente la comunicazione delle imprese sugli impatti ambientali, sociali e di governance (ESG). Servono a fornire un quadro chiaro, comparabile e obbligatorio delle informazioni non finanziarie che le aziende europee devono rendere pubbliche. L’obiettivo è quello di supportare investitori, autorità e cittadini nel valutare l’impegno concreto delle imprese verso la transizione ecologica, la responsabilità sociale e la buona governance.

Facciamo un passo indietro: come siamo arrivati a questo punto? Gli ESRS sono nati nel contesto della nuova Direttiva europea CSRD, approvata nel dicembre del 2022, e che ha sostituito la precedente Non Financial Reporting Directive (NFRD). A svilupparli, su mandato della Commissione Europea, è stato l’EFRAG -European Financial Reporting Advisory Group, un organismo indipendente che del 2021 ha ampliato il proprio mandato includendo, tra le altre cose, anche la sostenibilità. 

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È dopo un lungo processo di consultazione pubblica che, il 31 luglio 2023, si è arrivati all’adozione ufficiale dei primi 12 standard ESRS da parte della Commissione Europea. Pubblicati poi in Gazzetta Ufficiale il 22 dicembre 2023, sono entrati in vigore ufficialmente il 1° gennaio 2024

Quello è stato un momento emblematico. Gli standard ESRS rappresentano un vero e proprio cambio di paradigma: da una rendicontazione ESG volontaria e frammentata, si passa a un sistema integrato, strutturato e obbligatorio, che impone alle imprese di misurare e documentare in modo dettagliato il loro impatto. Inteso a 360 gradi: sull’ambiente in primis, ma anche sulle persone e sull’economia. Gli ESRS servono dunque a rafforzare la trasparenza, combattere il greenwashing e favorire un’economia che sia realmente sostenibile in tutta l’Unione Europea.

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Quali sono le aziende obbligate al reporting ESRS?

Sono sempre di più le imprese che devono sottostare all’obbligo della rendicontazione secondo gli standard ESRS. L’obbligo è progressivo, in base a dimensioni, tipo di società e data di esercizio, con un impatto che -si stima- coinvolgerà oltre 50.000 aziende in Europa (contro le 11.000 della vecchia direttiva).

Più nel dettaglio, sono in primis le grandi imprese già soggette alla NFRD a dover redigere il reporting secondo gli ESRS. Sono imprese di interesse pubblico (banche, assicurazioni, società quotate) con oltre 500 dipendenti, che dovranno presentare il primo bilancio di sostenibilità nel 2025.

Non solo. Sono soggette alla direttiva anche tutte le grandi imprese non quotare che rispettano almeno due di questi tre criteri: più di 250 dipendenti, fatturato netto superiore a 40 milioni di euro, totale attivo di bilancio superiore a 20 milioni di euro. In questo caso, l’obbligo parte dal 1° gennaio 2025, con primo report da presentare nel 2026. 

Devono rispettare gli standard tutte le PMI quotate sui mercati regolamentati, con obbligo a partire dal 1° gennaio 2026 con possibilità di opt-out (deroga) fino al 2028. Per ora, le PMI non quotate sono invece escluse dall’obbligo, ma potranno aderire su base volontaria.

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Infine, le imprese extra UE con attività significative in Europa devono sottostare all’obbligo, nel caso in cui abbiano un fatturato netto superiore a 150 milioni di euro nell’Unione Europea per almeno 2 anni consecutivi e almeno una filiale o succursale significativa in UE. In questo ultimo caso, l’obbligo parte dal 1° gennaio 2028, con primo reporting previsto nel corso dell’anno successivo. 

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Come adeguarsi ai nuovi standard ERSR

Adeguarsi ai nuovi standard non è solo un obbligo normativo, ma una valida opportunità per le imprese di rafforzare la propria trasparenza, credibilità e competitività sul mercato europeo. Ad ogni modo, però, l’adeguamento richiede un cambiamento strutturale nei processi aziendali, nella raccolta dei dati e nella governance. 

Il primo passo è comprendere gli obblighi stessi. In base ai criteri di dimensione, settore e sede legale, si verifica se e quando l’azienda è soggetta agli ESRS, analizzando i 12 punti obbligatori. Dei quali, i primi 2 sono generali mentre i restanti 10 sono tematici.

A questo punto, gli ESRS richiedono di analizzare la doppia materialità: gli impatti dell’azienda sull’ambiente e sulla società, e rischi e opportunità ESG che influenzano le performance aziendali. Condurre un’analisi di materialità solida e documentata, coinvolgendo stakeholder interni ed esterni, è il modo giusto di agire.

È necessario mappare i dati ESG esistenti, facendo un audit interno dei dati già disponibili che riguardano emissioni, consumi, forza lavoro e pratiche di governance. È importante identificare i gap informativi rispetto agli indicatori richiesti dagli ESRS. Per fare qualche esempio: emissioni Scope 3, diritti umani, parità di genere, biodiversità. 

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Poi sarà necessario rafforzare il sistema informativo ESG, o crearne uno, che consenta la raccolta, l’elaborazione e la verifica dei dati quantitativi e qualitativi, preparando la documentazione richiesta per la revisione esterna. Che, ricordiamo, sarà obbligatoria.

Definire una governance della sostenibilità è un altro punto cruciale: va nominato un responsabile ESG, coinvolti la direzione generale, il CdA e i responsabili di funzione (HR, operations, legal, acquisti). 

Tutto quello che le aziende possono fare per “mettersi in regola” -e per facilitarsi il lavoro- è bene che lo facciano. Dunque, anche aggiornare le policy aziendali alla luce degli standard (parità, clima, biodiversità, approvvigionamenti…) e integrare la sostenibilità nella strategia d’impresa, fissando target misurabili come il Net Zero. Per farlo, può essere utile pianificare un piano di transizione ESG per obiettivi a breve e lungo termine. 

Per redigere il bilancio di sostenibilità in modo conforme agli ESRS, va usato un formato preciso, previsto dagli standard stessi. Qui andranno inserite le informazioni obbligatorie e rilevanti, giustificando eventuali esclusioni. Il bilancio può essere integrato nella Relazione sulla Gestione oppure presentato come documento separato, allegato al bilancio d’esercizio (a seconda del regime contabile). In ogni caso, è fondamentale garantire la verificabilità e l’auditability del report, a partire da una verifica limitata che diventerà ragionevole nei prossimi anni.

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Dove trovare le linee guida EFRAG sugli ESRS

È possibile trovare le linee guida ufficiali EFRAG sugli ESRS direttamente sul sito dell’organismo responsabile. Basterà andare direttamente alla pagina dedicata agli European Sustainability Reporting Standards per poter trovare i 12 standard ufficiali ESRS, in versione PDF e scaricabili, con tanto di note esplicative, documenti tecnici (Basis for Conclusions) e guida applicativa per ciascuno standard. Nella stessa pagina si trovano anche le bozze degli standard settoriali (ESRS sector-specific standards, in consultazione) e i documenti di orientamento alla doppia materialità, così come FAQ e documenti di supporto per l’implementazione. 

In particolare, i documenti chiave disponibili sono i seguenti:

  • ESRS 1: Requisiti generali
  • ESRS 2:  Informazioni generali obbligatorie
  • ESRS E1–E5:  Ambiente (clima, inquinamento, acqua, biodiversità, risorse)
  • ESRS S1–S4: Sociale (lavoratori, comunità, consumatori)
  • ESRS G1: Governance (conduzione d’impresa)
  • Materiality Assessment Implementation Guidance: guida ufficiale EFRAG per la valutazione di materialità

Dal menù principale del sito EFRAG, cliccando su Sustainability Reporting e selezionando la voce ESRS Standards & Guidance, è possibile scaricare i documenti in formato PDF. Sono disponibili in inglese, e in parte anche in italiano sul sito della Commissione UE. Interessante anche il canale YouTube ufficiale di EFRAG, che ospita webinar, workshop e sessioni formative a riguardo: una fonte autorevole e sempre aggiornata a cui fare affidamento. 

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Come leggere e interpretare gli standard ESRS

Comprendere e interpretare correttamente gli standard ESRS non è una scelta: è un obbligo formativo. Oggi come oggi, però, può rappresentare una sfida per le imprese soggette alla nuova direttiva europea CSRD. La lettura correetta degli ESRS richiede un approccio strutturato, perché i documenti sono tecnici e articolati, anche se comunque seguono una logica chiara. 

Come in ogni cosa, si va in ordine. Si parte dagli standard generali (ESRS 1 e 2), che rappresentano la base comune per tutte le imprese. ESRS 1 fornisce i principi fondamentali, come il concetto di doppia materialità, la coerenza con altri standard internazionali e i criteri di rendicontazione, mentre ESRS 2 introduce le informazioni obbligatorie da riportare per ogni azienda, a prescindere dal settore o dalla dimensione, come il modello di business, la governance, gli obiettivi ESG e i principali rischi.

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Dopo aver compreso questi due standard principali, l’azienda deve svolgere una valutazione di materialità, un processo strategico che serve a individuare quali temi ambientali, sociali o di governance sono rilevanti, sia per l’impatto sull’esterno, sia per i rischi e le opportunità interne. Solo a quel punto entrano in gioco i dieci standard tematici (da ESRS E1 a G1), ciascuno con i propri Disclosure Requirements (obblighi informativi) e Application Requirements (indicazioni su come rendicontare). 

L’interpretazione corretta degli ESRS richiede quindi non solo una lettura attenta, ma anche una collaborazione tra reparti (ambiente, HR, finanza, compliance) e una visione strategica: non si tratta di compilare un modulo, ma di integrare davvero la sostenibilità nel cuore del modello d’impresa. La responsabilità di questo processo, affinché sia efficace e attento, non è confinata a un solo dipartimento: anzi, richiede una stretta collaborazione tra più funzioni aziendali. In particolare, l’ufficio sostenibilità o ESG (se presente) ha un ruolo centrale nella lettura degli standard e nella definizione delle informazioni ambientali e sociali. L’area finance dà il suo contributo per garantire coerenza e qualità dei dati, dato che il bilancio di sostenibilità sarà soggetto a verifica obbligatoria.

Il team legal/compliance, invece, deve assicurare l’aderenza alle normative, mentre l’alta direzione e il consiglio di amministrazione devono supervisionare il processo e integrarlo nella strategia aziendale. Si rende necessario in molte imprese istituire un gruppo di lavoro trasversale -o addirittura un comitato ESG– capace di interpretare gli standard ESRS non solo come un obbligo formale, ma come una leva per migliorare governance, reputazione e competitività.

In ogni caso, indipendentemente da quella che è l’organizzazione interna aziendale, adeguarsi ai nuovi standard non è una scelta, e questo è un dato di fatto. Quanto prima le imprese inizieranno a conformarsi alle direttive europee, tanto più agevole sarà la redazione del bilancio di sostenibilità negli anni a venire.

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