Tra stigma e rinascita, con 30 milioni la Città prova a cambiare volto di uno dei quartieri più complessi .Ma serve una visione
La sfida è creare un’altra Barriera. Non è la prima volta che si sogna una trasformazione: chi guarda a Barcellona immagina una Rambla torinese capace di dare nuova vita a un quartiere segnato da cronaca nera e degrado. Chi alza lo sguardo ancora più in alto cita Brooklyn, e in particolare Bushwick, dove l’arte di strada e la multiculturalità hanno saputo ribaltare la percezione di un’area difficile e complicata.
Tre chilometri di asfalto, negozi e case popolari: corso Palermo è il cuore della scommessa di Torino per provare a cambiare il destino di Barriera di Milano. Dopo anni di attese e vuoti progettuali, da Palazzo Civico è arrivato il via libera a un piano di riqualificazione da 30 milioni di euro, fondi europei destinati a ripensare spazi pubblici, sostenere il commercio di prossimità, creare opportunità di lavoro e contrastare marginalità e dipendenze.
Barriera di Milano convive da quasi un secolo con uno stigma che sembra impossibile da cancellare. Dal borgo operaio delle case a ballatoio alla «Bariera dl’Emme», passando per la fama sinistra della Banda Cavallero, il quartiere ha sempre fatto parlare di sé più per le ombre che per le luci. Ma accanto a quella storia esiste un tessuto vivo di associazioni, famiglie e giovani che tentano ogni giorno di scrivere una narrazione diversa.
Lo ricordano anche i parroci di corso Giulio Cesare, dal Sermig a Regina della Pace e San Gioacchino, che in una lettera hanno denunciato il clima di paura crescente: «La situazione peggiora molto, troppo velocemente. Eppure siamo convinti che Torino possa trovare il modo di ragionare su questi quartieri non solo in termini di paura, ma di percorsi possibili di convivenza pacifica. Esistono spiragli di speranza che noi stiamo toccando con mano».
La sfida di Barriera è tutta qui: ribaltare l’immagine di periferia problematica e raccontare una nuova «bella storia». Non sarà semplice, ma il quartiere sembra pronto a giocarsela. Ecco quattro punti di vista sul futuro del quartiere.
Domenico Garcea (Fi): l’importanza delle grandi opere
«La riqualificazione io non la vedo, c’è solo una ghettizzazione del quartiere». Per Domenico Garcea, consigliere di Forza Italia e vice presidente del consiglio comunale, i progetti di rinascita per Barriera di Milano restano sulla carta. Corso Giulio Cesare e corso Vercelli, un tempo arterie di botteghe e negozi di vicinato, oggi appaiono, a suo dire, «trasformati in supermercati e parrucchieri aperti fino a notte». Residente in zona da 48 anni, parla di degrado diffuso: «Basta fare una passeggiata per rendersi conto che la politica dell’integrazione qui ha fallito». Un quadro che, sostiene, alimenta insicurezza: «Io rispetto la lettera dei parroci ma la realtà è che i residenti hanno paura di vivere qui». Per l’esponente azzurro l’unica svolta potrà arrivare con grandi opere, come la metropolitana. Nel frattempo, Barriera resta «territorio di sperimentazione sulla pelle dei cittadini».
Alessandro Bulgini (Flashback), l’arte e la luce,
«Portare l’arte contemporanea nelle scuole è fondamentale per dare nuova vita a Barriera di Milano». Alessandro Bulgini, artista e anima di Flashback, sottolinea come trasformare i corridoi degli istituti in spazi polifunzionali capaci di ospitare mostre e attività culturali aperte alla comunità possa diventare un vero motore di aggregazione. «Così – spiega – i genitori sarebbero orgogliosi di accompagnare i figli in luoghi che diventano punti di riferimento non solo educativi ma anche sociali, richiamando persone da altre zone della città».
L’altro punto dirimente è la luminosità. «Ogni quartiere deve avere un centro vitale – aggiunge Bulgini – e qui questo ruolo potrebbe incarnarlo Piazza Foroni. Ma serve anche riportare luce e occasioni di socialità: di sera non ci sono luoghi di incontro e questo favorisce il degrado». Un modello che unisce rigenerazione urbana e cultura, capace dare una svolta a Barriera.
Abdullahi Ahmed (Pd): ripartire dai giovani
«Non si può non coinvolgere i ragazzi del quartiere, educandoli a un uso consapevole dei social network». Abdullahi Ahmed, consigliere comunale del Pd, sottolinea come la chiave per cambiare Barriera di Milano passi dai giovani. Tra maranza e fenomeni online, molti adolescenti seguono influencer e pensano che la fama sul web possa sostituire lo studio. «Occorre offrire – precisa – punti di riferimento reali: artisti locali o anche laureati che oggi ricoprono incarichi importanti, persone che parlino il loro linguaggio. Altrimenti il rischio è che questi giovani lascino la scuola per tentare di guadagnare su TikTok, cosa che purtroppo è già successa». Le scuole possono diventare palcoscenico di orientamento e speranza, mostrando percorsi e possibilità. «Il 60% di questi ragazzi spesso frequenta istituiti tecnici, va bene, ma è importante far capire che esistono anche altre strade».
Edoardo Bansone (writer):
«Qualsiasi iniziativa che porta bellezza è già un cambiamento positivo. Più raccontiamo solo il degrado e più restiamo fermi lì: il brutto galoppa più velocemente del bello». Edoardo Bansone, writer e autore di un murale insieme a Rosa Chemical, vede in Barriera di Milano molto più di quanto spesso emerge nelle cronache. Per l’artista il quartiere è una fucina di energie, associazioni e laboratori che offrono occasioni di incontro e creatività. «Con il Barriera Design District stiamo provando a far splendere la zona, organizzando attività culturali, tour e progetti artistici». Restano però criticità evidenti, come la desertificazione commerciale: «Su 20 serrande aperte, 15 diventano minimarket. Così non si aiuta la ripresa». Un segnale di rinascita arriva, invece, dal parco Peccei, dove Bansone ha realizzato un campo da basket trasformato in opera d’arte urbana. «Era un’area dimenticata, oggi parla di futuro».
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