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Disinformazione climatica e diritti umani: l’intervista a Elisa Morgera


Elisa Morgera è professoressa di diritto internazionale e sostenibilità all’Università di Durham e relatrice speciale delle Nazioni Unite su clima e diritti umani. Nel suo rapporto pubblicato lo scorso giugno ha sostenuto che i cambiamenti climatici sono delle vere e proprie violazioni dei diritti dell’umanità. Ha chiesto che gli Stati che non hanno rispettato gli accordi internazionali siano ritenuti responsabili e forniscano rimedi efficaci. Ha sottolineato quindi come le grandi nazioni inquinatrici siano obbligate dagli accordi internazionali sui diritti umani a uscire completamente da petrolio, gas e carbone entro il 2030. E debbano anche richiedere alle maggiori imprese del settore fossile di risarcire le comunità che hanno subito danni per colpa dei cambiamenti climatici da loro prodotti. 

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Il suo rapporto ha preceduto l’opinione dalla Corte internazionale di giustizia che a luglio, in un parere storico, ha affermato che la «violazione degli obblighi climatici da parte di uno Stato» può costituire «un atto illecito a livello internazionale che impegna la sua responsabilità». E può quindi comportare risarcimenti ai Paesi colpiti.

Alcune città, come L’Aia, hanno proibito la pubblicità diretta delle aziende fossili, ma purtroppo questo approccio non è ancora abbastanza diffuso. Si dovrebbe usare a livello nazionale in tutti i Paesi. È interessante notare che molte associazioni mediche, oltre che associazioni ambientaliste, appoggiano la proibizione della pubblicità diretta e indiretta di prodotti delle aziende fossili per proteggere la salute pubblica. In modo simile alle sigarette. Si tratta, insomma, di assicurarsi che il pubblico sia cosciente che le operazioni, i prodotti (inclusa la plastica e i fertilizzanti sintetici) e i rifiuti collegati alle aziende fossili sono molto dannosi per la salute. Hanno effetti negativi su tutti gli organi del nostro corpo e ci danneggiano perfino nel grembo materno. Hanno insomma degli effetti intergenerazionali sulla nostra salute, e anche sul clima e la natura. 

C’è un altro aspetto legato alla pubblicità. Le imprese fossili da oltre sessant’anni usano la pubblicità in modo ingannevole per confondere il dibattito pubblico sulla gravità dei cambiamenti climatici e sulla necessità di dare priorità, tra le misure per contrastarli, all’uscita dalle fonti fossili. Questa disinformazione ha effetti reali sui nostri diritti umani. Indebolisce gli sforzi per proteggere le vite umane, la salute e anche i settori della nostra economia che sono danneggiati dai cambiamenti climatici. E fondamentalmente danneggia anche i nostri processi democratici.

Come ha riconosciuto la Corte internazionale, siamo in un momento di crisi esistenziale planetaria. Ma è ancora possibile prevenire gli impatti catastrofici dei cambiamenti climatici. Per questo motivo è fondamentale che le agenzie di pubblicità siano coscienti della loro responsabilità nel contribuire alla protezione dei diritti umani nel contesto dei cambiamenti climatici. E della gravità del continuare a pubblicizzare direttamente o indirettamente petrolio, gas e carbone in questo momento storico.

È necessario comunicare i costi che le aziende fossili impongono al pubblico, senza che ne sia cosciente. Gli enormi profitti che traggono da attività dannose per la nostra salute e gli equilibri planetari che rendono possibile la vita sul pianeta Terra. Nonché i benefici fiscali e i finanziamenti pubblici di cui godono mentre i governi non hanno abbastanza fondi per rispondere ai danni causati dai cambiamenti climatici. Alla fin fine sono i contribuenti a doversi sobbarcare le spese pubbliche per i danni alle infrastrutture e alla salute. Inclusi danni che le stesse imprese fossili soffrono a causa dei cambiamenti climatici. Nel frattempo l’energia rinnovabile è diventata più economica e sicura per i contribuenti, ma rimaniamo legati alla dipendenza dalle fonti fossili.

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Anche a livello economico, questa dipendenza non ha senso: favorisce solo un gruppo molto ristretto di super-ricchi, ma non aiuta consumatori e contribuenti. Ed ecco che le sponsorizzazioni servono a distrarci da una scelta che è ovvia anche da un punto di vista economico. Non solo di salute pubblica e ambientale.

Nel presentare il rapporto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Ginevra lei non solo ha chiesto sanzioni penali per le agenzie pubblicitarie che non rispettano le regole, ma è andata oltre. Ha chiarito che le crisi provocate dai cambiamenti climatici corrispondono a un mancato rispetto dei diritti umani. E, per la prima volta, ha messo anche gli Stati davanti alla loro responsabilità internazionale di proteggere i nostri diritti umani contro il continuo avanzare delle fonti fossili nel contesto di una crisi climatica globale e di porre rimedio ai danni già causati. Chiedendo quindi risarcimenti e altri rimedi, dalla riabilitazione ambientale alle garanzie legislative, per le persone e per le comunità danneggiate dai cambiamenti climatici provocati finora. A luglio la Corte internazionale di giustizia le ha dato ragione.

Il mio rapporto ha confermato e esplicitato un’opinione giuridica ormai diffusa tra gli esperti di diritto internazionale e di diritti umani. Inclusi esperti di diritti dei bambini e delle donne che sono i più acutamente danneggiati dai cambiamenti climatici nella loro salute fisica, mentale e riproduttiva. La necessità per gli Stati di uscire completamente da petrolio, gas e carbone è incontrovertibile secondo non solo la scienza climatica, ma anche le scienze mediche e biologiche. Ed è questa la base di fatto per riconoscere chiaramente le responsabilità a livello di diritto internazionale degli Stati in materia. 

La logica conseguenza di questa responsabilità è che gli Stati devono prendere una serie di misure per rimediare. Adottare delle leggi chiare sull’uscita completa da carbone, petrolio e gas, assicurando che le imprese che hanno già beneficiato enormemente a livello economico dall’aver causato i cambiamenti climatici diano i fondi necessari per supportare i lavoratori che dovranno cambiare settore, per riabilitare le zone danneggiate dai cambiamenti climatici e dal continuo inquinamento (dell’aria, del suolo e dell’acqua) causato dai combustibili fossili e per sostenere le spese pubbliche per la protezione della nostra salute. 

Per quanto riguarda i risarcimenti internazionali, in realtà è utile sottolineare che gli Stati più avanzati a livello economico hanno già preso, volontariamente, degli impegni a contribuire finanziariamente alla protezione ambientale nei Paesi meno avanzati. I quali sono anche quelli che hanno contribuito poco o niente ai cambiamenti climatici e stanno sopportando – ormai da più di dieci anni in alcune regioni del mondo – gli impatti più devastanti. Ma questi obblighi rimangono poco messi in pratica. Non sono presi seriamente e spesso ne viene messa in dubbio la natura vincolante.

Si tratta quindi di riconoscere che ci sono vari obblighi, primari e secondari, di compensazione finanziaria verso i Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici. Sia come responsabilità per danni che come solidarietà visto che il benessere in una regione del mondo dipende anche dal benessere ecologico di altre regioni, come l’Amazzonia o le barriere coralline. E la conseguenza più importante, da questo punto di vista, è capire che la quantità e le priorità per questi finanziamenti devono essere determinate insieme al Paese danneggiato. Non rimanere una prerogativa esclusiva e senza alcuna restrizione dal Paese che apporta i finanziamenti. 

Finora abbiamo parlato di crisi climatica a livello di ecosistema informativo e culturale, ma questa ha ripercussioni concrete anche sulla vita di tutti i giorni. Soprattutto sulle vite degli attivisti per l’ambiente, repressi ogni giorno di più e in maniera sempre più sistematica dalla violenza privata delle industrie e da quella pubblica degli Stati. Come fare per tutelare gli attivisti e rendere legittima la lotta contro i cambiamenti climatici?

Gli attacchi, sempre più numerosi e gravi, contro i “difensori dei diritti umani e dell’ambiente” sono il paradosso più amaro che risulta da decenni di disinformazione e di “cattura degli spazi politici” ad opera delle imprese del settore dei combustibili fossili. Invece di riconoscere il beneficio pubblico di ciò che fanno gli attivisti climatici – inclusi giornalisti, scienziati, bambini e giovani – che espongono la disinformazione e l’inerzia nei confronti della crisi climatica, che effettivamente è una forma di protezione dei diritti di tutti alla vita, alla salute, al cibo e all’acqua – i difensori vengono attaccati pubblicamente. Anche da autorità pubbliche. Vengono denigrati, sanzionati, imprigionati perché esercitano i loro diritti civili e politici. La situazione sta peggiorando in Europa e nel Nord globale, soprattutto attraverso abusi dei sistemi giudiziari. E gli attacchi sono molto spesso letali in altre regioni del mondo. 

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La situazione dei difensori dei diritti umani e dell’ambiente è ben nota ai sistemi internazionali e regionali di protezione dei diritti umani, che hanno chiarito i doveri delle autorità pubbliche (ma anche dei media e dei giudici) di prevenire questi attacchi. Proteggere efficacemente le vittime e le loro famiglie, investigare prontamente e punire i responsabili degli attacchi. E infine riconoscere pubblicamente il ruolo positivo dei difensori per i diritti umani di tutti. 

Per concludere, tornando al racconto della crisi climatica, le chiedo quali sono secondo lei i modi giusti per raccontarla, sia in ambito scientifico che in ambito divulgativo. So che è un tema di difficile risoluzione, ma proprio per la sua importanza come si può renderla comprensibile e interessante per un vasto pubblico? E soprattutto come fare in modo che le persone prendano coscienza della catastrofe senza oscillare tra controproducenti allarmismi e fatuo ottimismo?

Credo sia necessario raccontare la crisi climatica come una crisi della nostra salute e del nostro benessere sociale e economico, individuale e collettivo che avremmo potuto evitare. E che possiamo ancora evitare nelle sue conseguenze più pericolose. 

E le soluzioni  – una volta superata la disinformazione – sono chiare e disponibili. Liberarci dalla dipendenza dai combustibili fossili vuole dire anche liberarci dall’inquinamento dell’aria. Significa liberarci dalla plastica che ormai troviamo in tutto il nostro corpo. O ancora dal cibo poco salutare a causa dei fertilizzanti sintetici che sono anche collegati ai combustibili fossili. Paradossalmente, questo può aiutarci anche a far fronte alla crisi dei costi della vita. Visto che l’energia rinnovabile è ormai più economica per il consumatore di quella fossile. La disuguaglianza economica che si sta inasprendo sempre di più in tutte le regioni del mondo è anche collegata a questo sistema economico basato sui combustibili fossili che continua a rendere i super-ricchi ancora più ricchi. E lascia il restante 90% della popolazione mondiale a sobbarcarsi i danni dei cambiamenti climatici. E le spese per farvi fronte.



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