Contabilità

Buste paga

 

C. Forte | I presupposti di accesso al controllo giudiziario volontario al vaglio delle Sezioni Unite: una “dissenting opinion” | Sistema Penale


1. Con l’art. 11, comma 1 della legge 17 ottobre 2017, n. 161, è stato introdotto, all’interno del decreto legislativo n. 159/2017, l’art. 34 bis avente la seguente rubrica “controllo giudiziario delle aziende”.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

L’intervento normativo costituisce espressione della tendenza ad accentuare e valorizzare il carattere prevenzionale rispetto a quello sanzionatorio e nasce dalla necessità di adattare alle mutate realtà socio-economiche gli strumenti già esistenti di contrasto alla criminalità organizzata, adeguandoli alle diverse forme di intervento dei fenomeni criminogeni nel mondo economico e dell’impresa ma tenendo, nel contempo, nella giusta considerazione le esigenze della salvaguardia della proprietà privata e dell’iniziativa economica.

Si è guardato, insomma, alla normativa antimafia non solo come modalità di contrasto alla formazione di patrimoni illeciti, da attuarsi attraverso lo strumento tradizionale del sequestro finalizzato alla confisca, ma anche mediante l’introduzione di fattispecie alternative di controllo, calibrate sul tipo e sul grado di interferenza criminale e che non necessariamente sfocino nello spossessamento prima e nell’ablazione poi del bene, potendo invece mirare – in presenza di determinate condizioni – alla bonifica dell’azienda e alla sua successiva restituzione al titolare, libera da condizionamenti e meccanismi di alterazione delle regole del mercato.

Con la riforma del 2017 si è cercato, dunque, di creare diversi livelli di “penetrazione” dell’intervento giudiziale, avuto riguardo alle variegate forme di infiltrazione mafiosa nelle attività imprenditoriali, lasciando anche allo stesso imprenditore, penalizzato da situazioni di contiguità a fenomeni associativi di tipo mafioso, la possibilità, a certe condizioni, di ricorrere al giudice per salvaguardare la propria attività.

Sono stati, pertanto, previsti interventi patrimoniali di prevenzione diversi dalla combinazione classica sequestro-confisca, nonché eterogenei rispetto alla materia concernente la cauzione e le garanzie reali: gli istituti dell’amministrazione giudiziaria dei beni personali di cui all’art. 33, dell’amministrazione dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende di cui all’art. 34 e del controllo giudiziario delle aziende di cui all’art. 34-bis sono tutti accomunati da un’unica caratteristica, vale a dire l’assenza dei presupposti per addivenire all’applicazione della misura del sequestro finalizzato alla confisca.

Sul versante delle misure amministrative, va segnalata l’introduzione (con il d.l. 6 novembre 2021, n. 152 convertito nella legge n. 233/2021) della cd. prevenzione collaborativa: il nuovo art. 94 bis del Codice Antimafia consente, in particolare, al Prefetto di prescrivere all’impresa interessata da tentativi di infiltrazione mafiosa “riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale” l’osservanza di talune prescrizioni per un periodo non superiore a 12 mesi, al termine del quale potrà essere emesso un provvedimento antimafia liberatorio “ove (si) accerti, sulla base delle analisi formulate dal gruppo interforze, il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa”.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Importante sul piano pratico appare, inoltre, la novella inserita ad opera del d.l. 48/2025 (cd. decreto sicurezza) con la creazione dell’art. 94.1 del Codice Antimafia:  la nuova disposizione, infatti, conferisce al Prefetto che adotta un’informazione antimafia interdittiva  il potere discrezionale di escludere per un anno  (prorogabile eventualmente laddove permangano i presupposti accertati) uno o più dei divieti e delle decadenze previsti all’articolo 67, comma 1, nel caso in cui accerti che – per effetto della medesima informazione antimafia interdittiva – verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento al titolare dell’impresa individuale ed alla sua famiglia.   

Tale possibilità è, però, preclusa nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, sebbene non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 67, comma 8, d.lgs. n. 159/2011 (che, a sua volta, richiama il “catalogo” dei reati contemplati dall’art. 51 comma 3 bis c.p.p.)[1].

Nel comma 2 si disciplinano anche le modalità di accertamento della mancanza dei mezzi di sostentamento del destinatario e della famiglia, prevedendo che questa debba essere appurata – su documentata istanza del titolare dell’impresa individuale interessato dal provvedimento – all’esito di verifiche effettuate dal gruppo interforze istituito presso la Prefettura territorialmente competente ai sensi dell’articolo 90 d.lgs. n. 159/2011.

Inoltre, si precisa che qualora il Prefetto disponga l’esclusione dei divieti e delle decadenze può, però, prescrivere al destinatario l’osservanza di una o più delle misure di collaborazione preventiva indicate nell’articolo 94-bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 159/2011, assicurando così un’opportuna vigilanza continuativa sulle attività in analisi[2].

Sarebbe stato, così, delineato un sistema improntato a criteri di proporzionalità e progressività in cui, nell’ipotesi in cui l’autorità amministrativa ravvisi una “infiltrazione occasionale”, dovrà essere disposta la cd. prevenzione collaborativa introdotta nel 2021 all’art. 94 bis, mentre in caso di infiltrazione/agevolazione non solo occasionale, ma non particolarmente allarmante, potrà operare lo strumento, introdotto nel 2025, di cui all’art. 94.1 C.A.M.  e, infine, in presenza di una compromissione stabile e persistente (nonché allarmante) la sola via percorribile sarà quella dell’interdittiva antimafia ai sensi degli artt. 67 e 92 del decreto del 2011. 

 

2. Tornando all’istituto del controllo giudiziario, va detto che i requisiti dell’art. 34-bis appaiono i medesimi dell’art. 34, salvo che per il fatto che l’agevolazione ovvero la soggezione di cui al primo comma di quest’ultima disposizione devono risultare “occasionali”.

L’amministrazione giudiziaria rappresenta, insomma, una misura di prevenzione patrimoniale che si rivolge alle imprese nei cui riguardi non ricorrono i presupposti del sequestro e della confisca, ma la cui attività sia sottoposta alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’art. 416-bis c.p. ovvero che possano, comunque, agevolare l’attività di persone nei cui confronti sia stata proposta o applicata una misura di prevenzione, ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti di cui all’art. 4, comma 1, lettere a), b), e i-bis, del decreto legislativo 159/2011, o di cui agli artt. 603-bis, 629, 644, 648-bis ter c.p.

Microcredito

per le aziende

 

La lettura dell’art. 34-bis ben evidenzia come siano state previste due ipotesi di controllo giudiziario: quella di cui al primo comma, adottata dal Tribunale anche d’ufficio, “se sussistono circostanze di fatto di cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività”, a patto che l’agevolazione prevista dal primo comma dell’art. 34 sia occasionale, e quella di cui al comma sesto della predetta disposizione che – nel condividere i presupposti di quella appena indicata – soccorre, tuttavia, nella specifica ipotesi in cui la domanda provenga da imprese destinatarie di informazione antimafia di cui all’art. 84, comma 4.

Il principale carattere distintivo sul piano procedurale della misura del controllo giudiziario rispetto alla similare misura dell’art. 34 sta nel fatto che quest’ultima, proprio in considerazione del carattere più invasivo, può essere disposta dal Tribunale solo dietro esplicita richiesta da parte dei soggetti titolari del potere di proposta laddove, invece, quella in oggetto può essere applicata pur sempre nell’ambito di un procedimento prevenzionale di tipo patrimoniale promosso ad altro titolo, ma a prescindere da una specifica domanda in tal senso della autorità proponente.

Con il provvedimento che dispone il controllo giudiziario ai sensi del comma 2, il Tribunale può imporre alle aziende, attraverso il loro rappresentante legale, degli obblighi di comunicazione in favore di soggetti che normalmente sovrintendono all’ordine pubblico ed economico, di tutta una serie di attività di gestione che ritiene utili ai fini della efficace esecuzione della misura applicata; può, in alternativa, nominare un giudice delegato ed un amministratore giudiziario il quale riferisce periodicamente gli esiti della attività di controllo al giudice delegato ed al pubblico ministero.

La seconda ipotesi contemplata nell’art. 34 bis è quella che pone maggiori problemi interpretativi, rappresentando un’assoluta novità nel panorama giurisprudenziale, caratterizzato da una esclusiva detenzione del potere di iniziativa in capo a soggetti pubblici.

I compiti dell’amministratore giudiziario saranno gli stessi sia nel caso di controllo giudiziario disposto su richiesta degli organi proponenti o d’ufficio dal Tribunale, sia nel caso che venga disposto ad istanza della parte interessata.

A differenza di quanto previsto per le altre forme di intervento giudiziario prevenzionale, l’amministratore nominato nella procedura de qua non ha poteri gestionali né la possibilità di assumere iniziative operative che non siano quelle di suggerire al giudice delegato l’imposizione di ulteriori obblighi, laddove quelli prescritti non siano sufficienti a prevenire ed eliminare il rischio di tentativi laddove dovessero risultare eccessivamente penalizzanti alla luce del reale andamento societario.

 

Aste immobiliari

 il tuo prossimo grande affare ti aspetta!

 

3. Va preliminarmente evidenziato che presupposti della misura del controllo giudiziario “volontario” sono sicuramente l’emissione da parte del Prefetto della informazione antimafia interdittiva, fondata sulla sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società o dell’impresa, e la successiva impugnazione dinanzi al giudice amministrativo di tale provvedimento.

In ordine a tale ultimo profilo, la Suprema Corte ha ritenuto che la richiesta di controllo giudiziario dell’azienda ai sensi dell’art. 34-bis citato possa essere proposta dal anche destinatario del rigetto della richiesta di iscrizione nelle cd. “white list” o del suo rinnovo, in ragione dell’equivalenza dei presupposti legittimanti il diniego di quella iscrizione con quelli a fondamento dell’interdittiva antimafia[3].

In alcune pronunce si tende ad avvicinare tale istituto alla messa alla prova, trattandosi in questo caso di un percorso cui sceglie liberamente di sottoporsi l’ente destinatario dell’informativa antimafia interdittiva, che certamente comporta limitazioni connesse sia al controllo spettante all’amministratore giudiziario che all’obbligo di adottare efficaci misure organizzative, la cui finalità è – al pari della messa alla prova prevista, ad esempio, per gli imputati minorenni – il pieno recupero ed il reinserimento, nel caso in esame, dell’ente nel circuito sano dell’economia.

Al pari della messa alla prova per gli imputati minorenni sarebbe, dunque, anche qui centrale nella valutazione demandata al giudice il giudizio prognostico in ordine a tale positiva evoluzione della realtà aziendale.

La centralità del richiamato giudizio prognostico è stata sottolineata, con riferimento sia al controllo giudiziario che all’amministrazione giudiziaria, dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza Ricchiuto: lì si è, infatti, chiarito che la condizione di assoggettamento dell’impresa all’intimidazione mafiosa costituisce solo un prerequisito e che “La peculiarità dell’accertamento del giudice, sia con riferimento alla amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale prerequisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata”.

Tuttavia – prosegue ancora il Supremo Consesso – mentre ai fini dell’amministrazione giudiziaria e del controllo giudiziario c.d. prescrittivo, a richiesta della parte pubblica o disposto di ufficio, è doveroso il preliminare accertamento del grado e delle caratteristiche della condizione di permeabilità mafiosa della società o dell’impresa, con riferimento al controllo giudiziario “volontario”, in pendenza del giudizio amministrativo avverso l’informazione antimafia interdittiva, tale accertamento non scolora del tutto, dovendo pur sempre il Tribunale adito accertare i presupposti della misura[4].

Vuoi acquistare in asta

Consulenza gratuita

 

In ogni caso, tale accertamento giudiziale non ha un carattere puramente statico, funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, ma dinamico, essendo volto a formulare un giudizio prognostico in ordine alle emendabilità della situazione attraverso l’iter che ciascuna misura comporta.

Come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità[5], la verifica dell’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa, che il Tribunale è tenuto a compiere per disporre il controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non deve essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, mediante gli strumenti di controllo previsti dall’art. 34-bis, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 159 del 2011.

I successivi arresti, ponendosi nel solco tracciato dalle Sezioni Unite Ricchiuto, hanno ulteriormente specificato l’ambito della verifica che il giudice della prevenzione è chiamato ad operare sulla domanda formulata dalla parte ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6.

Sebbene, infatti, il presupposto di tale misura, al pari del controllo giudiziario “prescrittivo”, sia rappresentato dal carattere occasionale della condizione di agevolazione mafiosa, diverso è invece l’ambito dell’accertamento demandato al giudice della prevenzione, più esteso nell’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 34 e più ristretto nel caso del controllo giudiziario volontario.

In particolare, è stato affermato che, mentre nel caso del primo comma dell’art. 34-bis la valutazione del prerequisito del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose, idonee a condizionare le attività economiche e le aziende, è riservata in via esclusiva al giudice della prevenzione – trattandosi di misura richiesta ad iniziativa pubblica in funzione di un controllo cd. prescrittivo – nel caso previsto dal sesto comma tale valutazione deve tener conto del provvedimento preventivo di natura amministrativa[6].

La verifica demandata al Tribunale competente in tema di misure di prevenzione si snoda, dunque, lungo le seguenti due direttrici: a) il carattere occasionale dell’agevolazione che il libero svolgimento dell’attività economica può determinare nei soggetti di cui al comma 1 della medesima disposizione; b) la concreta possibilità dell’impresa stessa di riallinearsi con il contesto economico sano, affrancandosi dal condizionamento delle infiltrazioni mafiose[7].

Il giudice della prevenzione è, quindi, tenuto a valutare in termini prognostici – sulla base del dato patologico acquisito dall’accertamento amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva – se il richiesto intervento giudiziale di “bonifica aziendale” risulti possibile in quanto l’agevolazione dei soggetti di cui all’art. 34, comma 1, sia da ritenere occasionale, escludendo tale evenienza, pertanto, nel caso di cronicità dell’infiltrazione criminale[8].

Vuoi acquistare in asta

Consulenza gratuita

 

Tale giudizio ha, comunque, un carattere unitario.

Altrove la giurisprudenza di legittimità ha analizzato più in dettaglio il tema delle diverse graduazioni di “inquinamento” da parte della criminalità organizzata.

Si è chiarito che, ove  non ci si trovi in presenza di una relazione definibile in termini di avvenuto investimento da parte del soggetto pericoloso (del profitto delle condotte illecite nei beni) o di una strumentalizzazione funzionale di una azienda al fine di consentire l’esercizio di attività economica da parte del soggetto appartenente al gruppo criminale (casi tipici di adozione del sequestro in vista della confisca), risulta possibile applicare le misure dell’amministrazione o del controllo, con graduazione dell’intensità dell’intervento giudiziario, in chiave di potenziale recupero dell’ente economico ad una diversa condizione operativa, ove si sia constatata l’esistenza:

a) di una coartazione di volontà o di un’agevolazione stabile (non propriamente dolosa e/o frutto della coartazione) realizzata dall’azienda verso persone portatrici di pericolosità qualificata (qui va disposta l’amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili per lo svolgimento dell’attività economica, ai sensi dell’art. 34, con modalità gestionali affini a quelle del sequestro tipico);

b) di un semplice pericolo di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa (l’agevolazione è occasionale, dunque non perdurante) con applicazione in tal caso del controllo giudiziario di cui all’art.34 bis, consistente in una sorta di “vigilanza prescrittiva”, nelle forme e con le modalità di cui al comma 2 della medesima disposizione (obblighi di comunicazione di determinate attività o, in alternativa, nomina di un amministratore giudiziario con funzioni controllo ed eventuali prescrizioni).

Dunque, la qualificazione preliminare della relazione esistente tra persona e beni organizzati in azienda determina la scelta della tipologia di misura in funzione, essenzialmente, dei diversi scopi assegnati dal Legislatore alle medesime.

È evidente, infatti, che mentre l’amministrazione ed il controllo mirano – essenzialmente – ad un ripristino funzionale dell’attività di impresa – una volta ridotta l’ingerenza dei soggetti portatori di pericolosità – il sequestro deriva da una constatazione di pericolosità del soggetto che gestisce l’attività economica e mira alla recisione del nesso tra persona pericolosa e beni.

Opportunità unica

partecipa alle aste immobiliari.

 

Ciò posto, la particolare misura di prevenzione del controllo delle aziende “su domanda” ai sensi dell’art.34 bis co.6 CAM realizza – in tale ambito – un’ulteriore distinzione con caratteri peculiari.

In presenza di un primo accertamento, a fini amministrativi, del “tentativo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa” (art. 84 CAM) è data all’impresa (che pure contesta il fondamento fattuale della interdittiva) la possibilità di adottare un percorso emendativo ricorrendo all’applicazione del controllo giudiziario su domanda.

Si configura in tal modo un’alternativa rappresentata dalla “consegna” dell’impresa al Tribunale delle misure di prevenzione, il che comporta l’applicazione di penetranti strumenti di controllo della gestione, di verifica dei flussi di finanziamento, di comunicazione di situazioni di fatto rilevanti, nonché con eventuale obbligo di adottare misure organizzative idonee a prevenire il rischio di infiltrazione mafiosa (secondo il modello normativo di cui all’art.34b1s co.2 lett. b, unico applicabile al controllo volontario).

 

4. Proprio il tema della possibilità di accedere all’istituto del controllo giudiziario volontario in assenza del citato presupposto e sussistendo solo il requisito dell’emissione dell’interdittiva antimafia (e della sua impugnazione), oltre a concrete prospettive di riallineamento,  è da tempo oggetto di un interessante dibattito giurisprudenziale, che contrappone due orientamenti distinti e vede profilarsi un rilevante contrasto interpretativo che – come si dirà – ha di recente visto sollecitarsi l’intervento delle Sezioni Unite.

Alcune pronunce della Sesta Sezione Penale della Cassazione ritengono, infatti, che l’affermazione secondo la quale il controllo giudiziario ad istanza di parte non possa essere applicato non solo nel caso di stabilità dell’assoggettamento o dell’agevolazione mafiosa, ma anche nell’ipotesi in cui non sussista alcuna agevolazione, neppure occasionale (oppure non sussista il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionare l’attività dell’impresa), non sia in linea con la ratio dell’istituto in esame che è quella di consentire la prosecuzione dell’attività di impresa in pendenza dell’impugnazione amministrativa avverso l’interdittiva antimafia ove, ovviamente, si ravvisi il presupposto della bonificabilità.

Autorevole dottrina[9], nell’aderire al citato orientamento, sostiene che debbano essere valorizzate – appunto – la ratio dell’istituto e le prospettive di recupero dell’impresa, precisando che il pericolo di inquinamento da parte della criminalità organizzata non è, per il giudice ordinario di prevenzione, un pre-requisito del controllo volontario essendo già stato tale profilo valutato dal Prefetto.

Prestito personale

Delibera veloce

 

Si conclude osservando che i commi 1 e 6 del richiamato articolo 34 bis disciplinano fattispecie tra loro non omogenee e che, diversamente opinando, si determinerebbe nei fatti un’ingiustificata disparità di trattamento tra l’imprenditore completamente “sano”, al quale non sarebbe consentito di accedere allo strumento in esame, e quello occasionalmente colluso che, invece, potrebbe beneficiarne con conseguente sospensione degli effetti incapacitanti dell’interdittiva prefettizia.

In giurisprudenza, inoltre, si afferma che – anche per evitare sovrapposizioni con l’area di sindacato del giudice amministrativo sul provvedimento interdittivo – lo strumento in esame vada interpretato nel senso che, a differenza del controllo sollecitato dalla parte pubblica, esso sia attivabile sulla base del solo presupposto del rilascio dell’interdittiva antimafia e della sua successiva impugnazione.

Ciò consentirebbe di salvaguardare la finalità specifica dell’istituto, funzionale ad assicurare da un lato la “bonifica” aziendale e, dall’altro, a sospendere – in attesa della decisione del giudice amministrativo – gli effetti inibitori conseguenti all’informativa interdittiva antimafia; in ciò esso è stato accostato a quello della messa alla prova sia per il carattere volontario dell’accesso e sia per la finalità, che si rinviene nel recupero e nel reinserimento dell’interessato nella società.

Tale interpretazione sarebbe, inoltre, in linea con la ricostruzione del controllo giudiziario adottata dalle Sezioni Unite nella già citata sentenza n. 46898/2019, Ricchiuto.

Il delineato orientamento è stato tratteggiato in modo esplicito in alcune pronunce[10] e trova il suo antecedente in una sentenza della medesima Sezione[11], ove si è affermato che “l’istanza non può essere rigettata escludendo in radice il pericolo di infiltrazione mafiosa perchè tale pericolo è stato già oggetto di valutazione in sede amministrativa ed è solo ove il pericolo di infiltrazione sia ritenuto più grave dal giudice della prevenzione che si può giustificare il rigetto, ma non certamente quando tale pericolo dovesse essere ritenuto addirittura inesistente, perché in tal caso e a maggior ragione si giustificherebbe l’accoglimento dell’istanza volta ad assicurare la continuità dell’impresa attraverso la sua sottoposizione a controllo giudiziario”.

In altri termini, il presupposto dell’occasionalità di infiltrazione mafiosa deve essere valutato come condizione ostativa solo se il pericolo di ingerenza mafiosa sia maggiore e più grave, perché non rimediabile con il semplice controllo giudiziario, ma non quando tale pericolo sia considerato addirittura inesistente, allorché sia l’impresa stessa che richiede di sottoporsi a tale “messa alla prova” proprio per dimostrare nei fatti di non essere mafiosa o comunque di essere capace di “emendarsi”, attesi i poteri di controllo che l’applicazione della misura di prevenzione comporta.

In tal caso – si sostiene –  negare il rimedio sollecitato dalla stessa impresa sottoposta ad interdittiva antimafia sarebbe privo di senso, atteso che se non si può prescindere dalla verifica della contiguità mafiosa e del suo grado di contaminazione quando la misura sia stata richiesta dalla parte pubblica, diversamente, quando l’iniziativa è dell’impresa stessa, dovrà “aversi riguardo solo ad una prospettiva di adeguatezza della misura rispetto alla finalità perseguita di emenda dell’azienda che giustifica la sospensione degli effetti dell’interdittiva antimafia finchè l’impugnazione in sede amministrativa sia pendente”.

Ancor prima altrove[12] era stato precisato che “nel caso di istanza della parte privata, ai sensi del comma 6 del medesimo articolo, tale valutazione deve tener conto dell’accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall’organo amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva che rappresenta, pertanto, il substrato della decisione del giudice ordinario al fine di garantire il contemperamento fra i diritti costituzionalmente garantiti della tutela dell’ordine pubblico e della libertà di iniziativa economica attraverso l’esercizio dell’impresa”.

Ciò significa, così opinando, che il prerequisito dell’inquinamento mafioso dell’impresa deve essere sempre valutato anche quando sia l’impresa a chiedere l’applicazione della misura di prevenzione, ma ai soli fini del necessario vaglio della bonificabilità dell’impresa e quindi del carattere non irreversibile della contaminazione ed infiltrazione mafiosa.

Tale orientamento si spinge addirittura a sostenere che, nel caso di ipotetica insussistenza di ogni rischio di infiltrazione mafiosa, “la richiesta della parte privata non potrebbe mai essere respinta, essendo evidente che l’interesse tutelato dalla norma di assicurare, in pendenza dell’impugnazione davanti al giudice amministrativo, la continuità dell’attività di impresa attraverso la sospensione dell’efficacia dei divieti di qualunque attività nei rapporti d’impresa con la pubblica amministrazione (contratti, concessioni o sovvenzioni pubblici), e anche quelli tra privati (autorizzazioni) che discendono dalla interdittiva antimafia, assume doverosa precedenza rispetto all’interesse di tutela del mercato dall’inquinamento mafioso, proprio quando gli elementi di contaminazione mafiosa risultino più sfuggenti e meno concreti”.

Diversamente, tenuto conto che l’ammissione al controllo giudiziario sospende gli effetti della interdittiva prefettizia, si introdurrebbe “un’irragionevole disparità di trattamento a sfavore delle imprese più sane, comunque colpite dall’interdittiva antimafia, che non potrebbero mai avvalersi di tale istituto, rispetto a quelle che, presentando più evidenti sintomi di infiltrazione mafiosa, potrebbero invece beneficiare della sospensione dei divieti correlati alla misura interdittiva, ove tali elementi di collegamento con la criminalità organizzata fossero ritenuti superabili ed emendabili attraverso il controllo giudiziario”.

Tale lettura perviene – quindi – alla conclusione che l’assenza di ogni agevolazione non consente di negare l’applicazione del controllo giudiziario c.d. volontario[13].

Altro orientamento, prospettato da Cass. Pen., Sez. I, n. 10578/2023, ha invece ritenuto corretto sostenere che – in assenza di evidenze circa l’esistenza di una relazione di agevolazione tra l’impresa (pur destinataria di informazione antimafia interdittiva) e i soggetti portatori di pericolosità – non si possa applicare il controllo giudiziario su domanda.

Partendo dalla premessa secondo la quale il Tribunale di prevenzione è l’organo individuato dal legislatore come deputato all’adozione di provvedimenti tesi all’accertamento (momento cognitivo) ed al contrasto (momento dispositivo) di diverse situazioni di fatto correlate alla pericolosità sociale e sottolineando che l’apprezzamento della pericolosità (attuale o pregressa) è l’ in sé della misura di prevenzione, da valutare sia come condizione soggettiva che come forma di relazione rispetto al patrimonio dei soggetti coinvolti, si è detto che le disposizioni contenute nell’articolo 34 e nell’art. 34 bis del d.lgs. n.159 del 2011 vanno “lette insieme”[14].

Ciò in quanto rappresentano – nelle intenzioni del legislatore – un sistema con pretese di omogeneità, basato sulla necessità di diversificazione della risposta giudiziaria prevenzionale al fenomeno della “contaminazione” dell’attività di impresa da parte della criminalità organizzata; quindi è rimessa al giudice della prevenzione la qualificazione preliminare della relazione esistente tra persona e beni organizzati in azienda, che determina la scelta della tipologia di misura.

Tanto premesso, si giudica “non conforme al complessivo assetto legale dell’istituto ritenere che il controllo giudiziario su richiesta si configuri come un “beneficio” per il solo effetto legale di sospensione delle inibizioni derivanti dalla informazione antimafia interdittiva, trattandosi di una “alternativa” che realizza un diverso assetto di interessi (rispetto alla mera inibizione all’esercizio di determinate attività economiche) e che mira a recuperare, ove possibile, i profili di competitività ‘non inquinata’ della realtà aziendale ed a favorire un intervento del Tribunale della prevenzione asseverato da migliori conoscenze delle condizioni operative della singola impresa”.

La giurisprudenza, a sostegno di tale ordine di argomentazioni, ha richiamato pure una considerazione fondata su una “ragione di funzionalità del sistema”: in particolare, si è osservato che i presupposti la cui verifica l’art. 34-bis, comma 6, demanda al Tribunale “non possono limitarsi a quelli dell’ammissibilità dell’istanza – esistenza di una interdittiva prefettizia e impugnativa dinanzi al giudice amministrativo – anche alla luce del fatto che «l’accesso al “controllo giudiziario” non può rappresentare un espediente per rimuovere gli effetti dell’interdittiva antimafia, soggetta alla verifica giurisdizionale di competenza del giudice amministrativo, tenuto conto che l’ammissione al controllo giudiziario [ne] sospende gli effetti[15].

La tesi della praticabilità del controllo volontario pur in assenza di qualsivoglia infiltrazione (anche solo) occasionale non è condivisa da chi[16] ribadisce che “il Tribunale competente in tema di misure di prevenzione è tenuto a verificare sia il carattere occasionale della agevolazione che il libero svolgimento dell’attività economica può determinare nei soggetti di cui al comma 1 della medesima disposizione, sia la concreta possibilità dell’impresa stessa di riallinearsi con il contesto economico sano, affrancandosi dal condizionamento delle infiltrazioni mafiose”.

Di recente tale opzione ermeneutica ha trovato espressione in una sentenza della V Sezione, nella quale prendendo le mosse dall’esegesi della pronuncia delle SSUU prima citata, Ricchiuto, si afferma chiaramente che la misura del controllo giudiziario, anche quando richiesta dalla parte, non ha natura differente rispetto all’ipotesi generale dettata dall’art. 34-bis, comma 1, d. lgs. n. 159 del 2011[17].

Al riguardo, già anteriormente alla decisione delle Sezioni Unite, si era rilevato che “la misura del controllo giudiziario […] è sottoposta al medesimo presupposto indipendentemente da chi sia richiesta e disposta (parte interessata, PM o d’ufficio) costituito dalla accertata occasionalità delle infiltrazioni [mafiose o, comunque, riconducibili ai soggetti indicati dall’art. 34, comma 1, dello stesso decreto] nella attività di impresa individuale, sociale o cooperativa” e si era ritenuta priva di riscontro normativo l’interpretazione contraria “posto che, il comma sesto dell’articolo 34 bis codice antimafia non costituisce deroga alcuna alla disciplina generale dettata dal primo comma[18].

Sarebbe, quindi, del tutto irrazionale prevedere che il Tribunale chiamato ad applicare il controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis, comma 1, cit. possa valutare l’intensità del rapporto tra l’impresa l’ambiente criminale mafioso e invece non disponga di analogo potere nel caso in cui la richiesta sia stata avanzata ai sensi del successivo comma 6.

La giurisprudenza successiva si è posta nel medesimo solco ermeneutico sottolineando che “ai fini dell’istituto di cui all’art. 34- bis, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, l’occasionalità dell’agevolazione (che il libero svolgimento dell’attività economica può determinare nei soggetti di cui al comma 1 della medesima disposizione) costituisce un prius, il presupposto logico-giuridico, la conditio sine qua ai fini dell’accesso all’istituto, la cui valutazione pregiudiziale – sia pure in una prospettiva prognostica e dinamica – si pone necessariamente a monte della valutazione, logicamente successiva, circa la concreta possibilità per l’impresa di riallinearsi con il contesto economico sano, affrancandosi dal condizionamento delle infiltrazioni mafiose[19].

L’arresto così prosegue: “Perché possa essere deliberato l’accesso dell’azienda a questa sorta di “messa alla prova” per dimostrare nei fatti di non essere mafiosa o di essere capace di “emendarsi”, i giudici della prevenzione devono dunque verificare, in prima battuta, l’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa, che vale a contrassegnare quelle situazioni nelle quali il tentativo o il pericolo di infiltrazione o di condizionamento delle scelte imprenditoriali sia di modesta e ridotta entità, e, in seconda battuta, la possibilità di eliminare le anomalie riscontrate mediante interventi attuati all’interno ed all’esterno direttamente ed autonomamente dall’impresa destinataria dell’interdittiva antimafia. In una situazione nella quale fosse esclusa l’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa (cioè allorquando fosse riconosciuta l’integrale contaminazione dell’azienda da parte della consorteria ovvero la sussistenza di un'”impresa mafiosa”) risulterebbe – prima di tutto logicamente e poi giuridicamente – impossibile esprimere una prognosi circa la praticabilità di strumenti atti ad eliminare le cause del rischio di assoggettamento o condizionamento da parte dell’organizzazione mafiosa, essendo detto assoggettamento o condizionamento già in essere”.

Dunque, l’occasionalità dell’agevolazione “si mostra essere […] il parametro che orienta la discrezionalità giudiziaria, in quanto indica il livello del rischio così come accertato all’attualità e consente al contempo una valutazione prognostica sulla base degli elementi che in concreto caratterizzano la fattispecie[20].

Tanto che, coerentemente, si è affermato che nel caso in cui manchi l’occasionalità il giudice di merito può legittimamente rigettare la richiesta di applicazione del controllo giudiziario anche senza motivare sulla bonificabilità dell’impresa, perché in difetto del primo presupposto in ogni caso non si potrebbe applicare l’istituto[21].

Nella recente, richiamata, pronuncia n. 7090/2025 chiaramente si manifesta di non condividere l‘iter argomentativo tracciato dalla Sesta Sezione, per più ordini di ragioni.

Anzitutto – si osserva – nulla esclude che anche nei casi in cui l’applicazione del controllo giudiziario venga richiesta ai sensi dell’art. 34-bis, comma 1, cit. (ossia non su iniziativa privata), l’impresa de qua sia stata destinataria di un’interdittiva antimafia (ed il privato non l’abbia impugnata innanzi al giudice amministrativo oppure, nonostante l’impugnativa, non abbia ritenuto di avanzare richiesta ex art. 34-bis, comma 6, cit.) e non paiono sussistere ragioni per cui, solo nel caso di controllo giudiziario a richiesta del privato interessato, il provvedimento interdittivo debba avere la sopra indicata maggiore valenza nel procedimento di prevenzione, dato che l’esigenza di evitare sovrapposizioni tra l’ambito cognitivo riservato alle due giurisdizioni può porsi pure nell’ipotesi – prima richiamata – in cui, pur avendo adito il giudice amministrativo, il privato non abbia avanzato richiesta di controllo giudiziario volontario.

Inoltre, gli elementi addotti a sostegno della proposta di applicazione del controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 1, cit. potrebbero essere i medesimi su cui si è fondata l’interdittiva.

Ancora, in relazione alla stessa impresa (attinta da interdittiva) potrebbero essere avanzate sia la proposta di applicazione del controllo giudiziario della Parte pubblica sia la richiesta del privato e, in tali casi, seguendo l’orientamento in discorso il giudice della prevenzione dovrebbe applicare un modulo decisorio almeno in parte difforme rispetto alle due domande (aventi ad oggetto la medesima misura nei confronti della stessa realtà produttiva); il che non trova appiglio normativo neppure sotto il profilo della disciplina del procedimento, dato che l’unica differenza oggi contemplata, a seguito del decreto legge 152 del 2021, è l’espressa indicazione – tra i soggetti che il Tribunale deve sentire prima di provvedere – del Prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva (art. 34 bis, comma 6, cit.).

Tale discrasia, invece, non si presenterebbe avendo riguardo al dato – già sopra indicato e non in contrasto con quanto esposto dalle Sezioni Unite – secondo cui il controllo giudiziario è un’unica misura di prevenzione patrimoniale che può essere disposta eccezionalmente anche su iniziativa privata senza che ciò muti la sostanza dell’istituto.

Non pare decisivo neppure il richiamo dell’istituto della messa alla prova, in quanto esso ex se non esclude il vaglio dell’occasionalità dell’inquinamento illecito, che – come esposto – incide sulla stessa possibilità di affrancarsi da influenze illecite proprio tramite il percorso (se si vuole, la messa alla prova) che l’impresa potrà compiere in costanza di controllo giudiziario.

La prospettiva da cui qui ci si discosta non può essere condivisa neppure per quel che attiene ai rapporti tra procedimento di prevenzione volto all’applicazione del controllo giudiziario c.d. volontario e interdittiva prefettizia: se è, invero, indiscutibile che la valutazione attribuita al giudice della prevenzione in materia di controllo giudiziario c.d. volontario non possa sostanziarsi in un sindacato sul provvedimento interdittivo emesso dal Prefetto, lo è altrettanto che le citate SSUU hanno ribadito con nettezza che il giudice della prevenzione è chiamato alla verifica dell’”intera gamma delle situazioni richiamate dall’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 159/2011 […] devoluta alla sua cognizione”, ossia al compimento di “una serie di controlli e accertamenti penetranti sulla vita e sulla qualità della gestione della impresa, che si affianca alla denuncia di infiltrazione mafiosa operata dal prefetto, e che nondimeno la parte privata può avere interesse a contrastare anche con elementi di fatto acquisiti successivamente alla udienza camerale anticipata, pure per non rimanere acquiescente rispetto a conclusioni che la potrebbero esporre alla adozione di misure di prevenzione patrimoniali diverse e più incisive” (Sez. U, n. 46898/2019, cit.).

Non viene condivisa, pertanto, la tesi secondo la quale nel primo comma il Tribunale della prevenzione è l’autorità preposta alla verifica del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose, mentre nella fattispecie a richiesta del privato l’A.G. deve compiere il proprio apprezzamento prognostico “sulla base del dato patologico acquisito dall’accertamento amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva[22] e concentrarsi solo sulle prospettive di bonifica dell’impresa.

Ciò sia perché il modulo procedimentale previsto dal codice antimafia non consente di pervenire a tale conclusione a proposito dei poteri di accertamento del giudice della prevenzione nel caso del controllo cd. volontario, “ma anche perché tale modulo può ritenersi conforme ai princìpi cui si uniforma il procedimento di prevenzione soltanto se si tiene fermo che il “dato patologico rappresentato nel” (e non rappresentato dal) “provvedimento prefettizio” (Sez. VI, n. 33264 del 05/05/2021, Si. Tel. Impianti s.r.l., n.m.) ossia gli elementi di fatto in esso esposti, devono essere esaminati dal giudice della prevenzione sempre in relazione agli ulteriori elementi acquisiti, eventualmente offerti dai soggetti che il Tribunale deve sentire”.

Solo in questi termini – e non in relazione a quanto accertato dal provvedimento prefettizio, che deve uniformarsi all’ottica del “più probabile che non”, che non collima con quella propria del Tribunale chiamato ad applicare una misura di prevenzione – può ritenersi “il substrato della decisione del giudice ordinario”[23].

 

5. Alla prima tesi aderisce parte della dottrina e la stessa, come si vedrà, è condivisa dall’ordinanza n. 24672 con la quale, all’udienza del 30 aprile 2025, la Sesta Sezione della Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: se, in presenza di una richiesta di applicazione del controllo giudiziario previsto dall’art 34-bis, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, il giudice, preso atto della sussistenza dell’informazione antimafia interdittiva e della pendenza del giudizio amministrativo avverso la stessa, debba svolgere esclusivamente un giudizio in merito al carattere occasionale dell’agevolazione mafiosa e alle concrete possibilità dell’impresa di riallinearsi al contesto economico sano oppure possa anche valutare la sussistenza dell’infiltrazione mafiosa, presupposto dell’interdittiva disposta dal Prefetto e, nel caso di sindacato negativo, negare il controllo giudiziario richiesto volontariamente dall’impresa.

Si è detto che l’orientamento che tende ad ammettere il controllo giudiziario richiesto da aziende per le quali il Tribunale non rileva alcuna forma pericolosità, nemmeno occasionale, è sostenuto da autorevole dottrina che fa leva, in via principale, sulla valorizzazione degli aspetti di politica criminale e sulla necessità di salvaguardare lo “spirito” della riforma che introdusse l’istituto in esame nell’ambito di una più generale rivisitazione dello strumentario prevenzionistico al fine di conciliare meglio le istanze di difesa sociale con quelle della libertà d’impresa e – quale snodo di sintesi tra l’uno e l’altro – l’interesse pubblico a tutelare il sistema delle imprese dai condizionamenti criminali garantendone al contempo la continuità produttiva[24].

Altri punti del percorso argomentativo si soffermano sull’idea che non sia stata prevista un’unica forma di controllo giudiziario volontario, ma che l’art. 34 comma 6 contempli un’ulteriore possibilità applicativa per il controllo giudiziario (che può essere disposto dal Tribunale al termine del periodo massimo di amministrazione giudiziaria) senza che sia richiesta la sussistenza di alcun presupposto giuridico-fattuale fra quelli segnalati al primo comma dell’art. 34 bis e sulla sopravvenuta introduzione del ricordato istituto della prevenzione collaborativa.

In ordine a tale ultimo aspetto, si sottolinea che l’assetto attuale implica che in presenza di una agevolazione di tipo occasionale il Prefetto dovrebbe evitare di emettere un’interdittiva e ricorrere invece alla misura tutoria, con la conseguenza che i provvedimenti di interdizione dovrebbero essere limitati ai casi in cui l’agevolazione abbia il carattere della non occasionalità e che, inoltre, il controllo giudiziario volontario sarebbe sostanzialmente destinato a non trovare mai applicazione qualora si aderisse al contrapposto orientamento che, invece, pretende la sussistenza dei profili di infiltrazione/agevolazione di carattere meramente occasionale.

Infine, vi è chi[25] contesta il fatto che i giudici “negazionisti” – che cioè negano l’ammissibilità al controllo giudiziario richiesto da aziende per le quali il Tribunale non rileva poi alcuna pericolosità – non abbiamo provveduto a sollevare una questione di costituzionalità per contrasto con il principio di eguaglianza della disciplina così interpretata, ritenendo evidente una disparità di trattamento tra l’azienda che l’ottiene, pur compromessa da condizionamenti mafiosi, e quella che non l’ottiene ancorché immune da condizionamenti criminali.

Peraltro, si osserva – condivisibilmente – che le incertezze valutazione e le oscillazioni della giurisprudenza vanno ricondotte alla vaghezza e all’incompiutezza delle norme nel momento in cui il sistema si riferisce in modo “silente” o forse “implicito” ai presupposti senza indicarli espressamente, facendo così sorgere il dubbio se questi siano quelli indicati per la misura di prevenzione giurisdizionale del controllo giudiziario prescrittivo di cui al medesimo art. 34-bis, comma 1, d.lgs. n. 159/2011, oppure siano propri, diversi e di natura solo prognostica.

Si è anticipato che l’orientamento favorevole all’ammissione del controllo volontario anche in assenza di indici di pericolosità occasionale è stato sostenuto, con ampia e articolata motivazione, nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite recentemente depositata.

Questi, in estrema sintesi, gli snodi ermeneutici del complesso ragionamento colà imbastito:

  • la misura del controllo giudiziario è stata introdotta come misura autonoma, e non più servente rispetto a quella dell’amministrazione giudiziaria allo scopo di «promuovere il disinquinamento mafioso delle attività economiche, salvaguardando al contempo la continuità produttiva e gestionale delle imprese» (cfr. relazione finale della Commissione ministeriale che si occupò della redazione del testo);
  • tale finalità risulterebbe vanificata dall’opposto indirizzo che, legittimando il diniego della misura nell’ipotesi in cui il giudice della prevenzione non ravvisi alcuna forma di infiltrazione mafiosa, determina una situazione di disparità di trattamento, agevolando la piena ripresa dell’attività imprenditoriale e l’accesso alle misure di bonifica alle imprese la cui attività presenti profili di inquinamento mafioso e negandola, invece, alle imprese che lo stesso giudice ritiene “sane” con conseguente permanenza, solo per queste ultime, degli effetti interdittivi del provvedimento impugnato;  
  • la soluzione auspicata non sarebbe in contrasto con quanto affermato nella nota sentenza a Sezioni Unite “Ricchiuto” sia perché questa si riferisce specificamente al regime di impugnazione del provvedimento di diniego della misura e sia perché, in sostanza, si tratterebbe di passaggi ininfluenti e qualificabili come meri obiter di contenuto non vincolante per l’interprete;
  • tale interpretazione sarebbe in linea con le peculiarità della misura “volontaria”, l’unica adottata su istanza dell’impresa e in ciò più affine agli istituti della volontaria giurisdizione, nonché con lo schema procedurale descritto dall’art. 34 bis comma 6 nella parte in cui contempla l’audizione, oltre che dei soggetti interessati e del procuratore distrettuale, anche della Prefettura;
  • diversamente opinando si avrebbe una “duplicabilità” del sindacato sull’infiltrazione/agevolazione in capo al giudice ordinario della prevenzione e a quello amministrativo;
  • in seguito all’introduzione dell’istituto della prevenzione collaborativa, ove si accedesse ad una soluzione che estende il valore della valutazione prefettizia anche alla non occasionalità dell’agevolazione, si determinerebbe, di fatto, un’interpretazione abrogatrice dell’art. 34-bis, comma 6, la cui applicazione sarebbe inibita sia nel caso di immediata emissione dell’interdittiva (ove questa contenga una specifica esclusione della occasionalità dell’agevolazione) sia nell’ipotesi di una progressività delle misure preventive amministrative con il passaggio dalle misure collaborative all’interdittiva antimafia.

Partendo da tali premesse ermeneutiche, il collegio remittente ipotizza, dunque, una diversa interpretazione che consenta di ricondurre ad armonia il rapporto tra i due istituti, conservandone la valenza e le possibilità applicative: valorizzando la finalità risanatrice, che può attribuirsi tanto al controllo giudiziario volontario che alle misure collaborative, ed il rapporto di complementarietà tra l’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario volontario, potrebbe sostenersi che il giudice della prevenzione – pur dovendo partire dal rischio di infiltrazione mafiosa accertato dal Prefetto – non sia vincolato alla valutazione da questi svolta sull’intensità dell’agevolazione e possa, pertanto, concedere il controllo giudiziario a domanda anche qualora non ritenga sussistenti profili di rischio nemmeno di carattere occasionale.

 

6. Così delineati i due orientamenti concernenti la praticabilità dell’istituto in esame nell’ipotesi in cui, come nella specie, difettino elementi indicativi di un’agevolazione occasionale della criminalità organizzata e di un pericolo concreto di infiltrazione, giova interrogarsi su quale prospettazione risulti più convincente e condivisibile.

Chi scrive ritiene – pur condividendo il rilievo sulla potenziale disparità di trattamento tra aziende “sane” e aziende infiltrate in modo occasionale dalla criminalità – complessivamente più convincente il secondo orientamento prendendo le mosse dalle argomentazioni ribadite recentemente dalla V Sezione.

Ciò per più ordini di ragioni.

In primo luogo perché non appare condivisibile per motivi di ordine logico-sistematico che il legislatore abbia tratteggiato, nella medesima disposizione normativa, due fattispecie convergenti sotto tutti i principali profili di merito ma radicalmente divergenti sul piano dei presupposti, per cui nell’un caso (comma 1) occorra la sussistenza dell’agevolazione occasionale e nel secondo (comma 6) basti invece soltanto l’emissione di un’interdittiva (e la sua impugnazione), potendosi prescindere dal dato – che costituisce come detto l’in sé del sistema della prevenzione – della correlazione oggettiva o soggettiva con contesti inquinati da riflessi di pericolosità sociale.  

Sul punto, l’orientamento contrario sottolinea come il comma 6 e il comma 1 delineino istituti solo apparentemente simili, ma in realtà del tutto diversi quanto ai parametri applicativi giacché il primo presupporrebbe soltanto il profilo dinamico-prognostico della “bonificabilità” e il riferimento ai “presupposti” contenuto nella norma sarebbe stato, improvvidamente, inserito solo in fase di redazione legislativa nel testo del 2017.

Si enfatizza, poi, il fatto che il controllo volontario sia l’unica misura di prevenzione ad istanza di parte e si sostiene che, in realtà, non si sarebbe in presenza di una misura di prevenzione vera e propria quanto, piuttosto, di un istituto avvicinabile alla volontaria giurisdizione in cui, in sostanza, il giudice non è chiamato a risolvere un conflitto tra le parti ma ad assistere e tutelare un soggetto (l’impresa attinta da interdittiva) in una situazione temporanea di difficoltà.

Tuttavia, in senso contrario va osservato non solo che il controllo giudiziario volontario è collocato nel medesimo articolo rispetto a quello cd. prescrittivo (e sotto la stessa rubrica generale di “controllo giudiziario delle aziende”), ma che più in generale il Legislatore del 2017 ha scelto di sistemarlo subito dopo l’art. 34 (che disciplina il connesso istituto dell’amministrazione giudiziaria, con cui condivide almeno in parte i presupposti) e nel più ampio contesto del Titolo II del Libro I del Codice Antimafia, dedicato in modo del tutto chiaro alle “misure di prevenzione patrimoniali”.

Pertanto, a meno di non voler immaginare una vera e propria svista legislativa, risulta difficile sostenere che non si sia in presenza di uno strumento qualificabile appunto come “misura di prevenzione patrimoniale”, sia pure ovviamente diversa da quelle ablative tradizionali.  

Tale ultima considerazione è avallata, sul piano sistematico, dal fatto che l’art. 34 bis sia collocato nel Capo V che, per l’appunto, è dedicato alle “misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca”.

Nemmeno può prescindersi, ad avviso di chi scrive, dal fatto che il controllo giudiziario nel suo complesso (quindi, senza alcuna distinzione tra il comma 1 e il comma 6) è inserito, unitamente al sequestro ed all’amministrazione giudiziaria, tra le misure che il Tribunale può disporre con decreto motivato (“ordina il sequestro…ovvero dispone le misure di cui agli artt. 34 e 34 bis ove ricorrano i presupposti ivi previsti”) in base all’art. 20 del Codice Antimafia.

La stessa norma, al comma 2, tratta poi congiuntamente il sequestro, l’amministrazione giudiziaria e il controllo giudiziario nel momento in cui stabilisce che il Tribunale possa indicare all’autorità proponente gli accertamenti ritenuti indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti di cui al comma 1.   

Emerge, insomma, un sistema unitario: unitario nella costruzione sistematica ed unitario nel rimettere al giudice della prevenzione il sindacato sui più volte richiamati “presupposti” che, a loro volta, non possono essere letti in modo segmentato ed atomistico nel passaggio dall’art. 34 all’art. 34 bis comma 1 e infine all’art. 34 bis comma 6. 

Del resto, l’art. 34 bis che, al comma 6, esplicitamente menziona il ricorso dei “presupposti”, espressione che – sia pure introdotta in modo surrettizio e non previsto dalla Commissione Fiandaca che aveva ideato lo strumento – non avrebbe senso se non letta insieme al comma 1 che, a sua volta, richiama l’agevolazione prevista dal precedente art. 34.

In terzo luogo perchè una lettura disgiunta del comma sesto rispetto al primo non trova alcun aggancio nella ratio complessiva del sistema né nella volontà legislativa: nella sintesi della legge n. 161/2017 rinvenibile sul sito della Camera dei Deputati, infatti, si fa riferimento in modo unitario all’istituto del controllo giudiziario tratteggiandolo come “destinato a trovare applicazione in luogo della “amministrazione giudiziaria” nei casi in cui l’agevolazione dell’attività delle persone proposte o soggette a misure di prevenzione conseguente all’esercizio dell’attività aziendale “risulta occasionale e sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose” idonee a condizionare l’attività di impresa”

Il richiamo alla ratio complessiva del sistema, fortemente sollecitato dal contrapposto orientamento, non può essere letto – ad avviso di chi scrive – nel senso che la volontà legislativa fosse quella di consentire ad ogni impresa attinta da interdittiva che presenti concrete prospettive di recupero (non è chiaro da cosa, se si escludono profili di pericolosità…) di accedere al controllo volontario, depotenziando così grandemente le funzioni di tutele anticipata e preventiva proprie dell’interdittiva.

L’impressione, invero, è che si voglia far prevalere l’esigenza – senza dubbio esistente in concreto – di protezione delle aziende colpite da interdittiva alla luce di valutazioni che il giudice della prevenzione non condivide sulla necessità di salvaguardare la tenuta complessiva del sistema e di rispettare la natura dell’istituto, che non può non essere qualificato (a meno di interventi legislativi sul punto) come una misura di prevenzione.

Del resto, se si prescindesse completamente dal profilo dell’agevolazione occasionale e si ritenesse unico requisito necessario la ricezione di un’interdittiva antimafia (in uno con la sua impugnazione) sarebbe anche difficile cogliere – in concreto – le differenze tra la fattispecie disegnata dall’art. 34 bis comma 6 C.A.M. e l’istituto dell’amministrazione giudiziaria che, come noto, opera allorquando sussistano condizioni di agevolazione non occasionali della criminalità organizzata, ipotesi nella quale è a maggior ragione altamente ipotizzabile che la Prefettura emani un provvedimento interdittivo. 

Tanto ciò è vero che l’art. 34-bis, comma 7, cit. (già nel testo introdotto nel 2017) ha previsto che gli effetti sospensivi in esso indicati (anzitutto, relativi all’interdittiva prefettizia) conseguano anche al provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’articolo 34.

Ancora, aderendo alla prima tesi prospettata si finirebbe con l’imporre l’applicazione di una misura di prevenzione pure nelle ipotesi in cui il Tribunale non abbia ravvisato alcun pericolo di condizionamento o di infiltrazione, nemmeno occasionale, il che non appare compatibile – ad avviso di chi scrive – con l’architettura complessiva del sistema prevenzionale come emergente dal complesso lavoro di giurisdizionalizzazione portato avanti negli anni dai giudici e dalla legge.

Anche il richiamo alle fattispecie della cd. volontaria giurisdizione non appare convincente (e comunque non dirimente ai fini del presente giudizio) giacché risulta difficile accostare un sistema ordinamentale in cui l’autorità giudiziaria sia chiamata ad intervenire per proteggere soggetti vulnerabili (come minori o persone incapaci) o assumere decisioni che non possono essere adottate autonomamente dai privati,  e soprattutto in assenza di una controversia tra le parti, al mondo delle misure di prevenzione che – invece – traggono genesi dalla necessità di contrastare a tutti i livelli fenomeni di pericolosità sociale e da ciò appaiono intimamente connotate.

Del resto, qui si è in presenza di vicende che non appaiono affatto “non contenziose” in quanto, al contrario, uno dei presupposti per richiedere l’ammissione al controllo volontario è proprio l’impugnazione dell’interdittiva, con la correlativa instaurazione del relativo giudizio amministrativo sulla legittimità dell’atto.  

Ancora, i provvedimenti che il giudice della prevenzione adotta ex art. 34 bis comma 6 C.A.M. sono certamente suscettibili di assumere il crisma della definitività, sia pure rebus sic stantibus, e non possono essere revocati ovvero modificati in base a valutazioni di opportunità o al mutare di talune condizioni, come invece accade nel sistema (tipicamente civile) della volontaria giurisdizione.

Nemmeno si ritiene decisivo, al fine di accedere alla tesi sostenuta dal primo orientamento, il richiamo allo schema procedimentale descritto dall’art. 34-bis, comma 6 nella parte in cui contempla l’audizione, oltre che dei soggetti interessati e del procuratore distrettuale, anche del Prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva: ciò, ad avviso di chi scrive, risulta funzionale sia per provocare il contraddittorio con l’autorità che ha emanato il provvedimento i cui effetti si mira a sospendere e sia in relazione al successivo comma 7 della norma, che impone la trasmissione del provvedimento che ammette il controllo giudiziario (ma anche di quello che dispone l’amministrazione giudiziaria) al Prefetto ai fini dell’aggiornamento della banca dati e delle successive valutazioni ex art. 94 bis C.A.M.

Insomma, trattasi di norme che assumono significato nel più ampio quadro del coordinamento tra il giudizio di prevenzione e le valutazioni dell’autorità amministrativa, ma da esse non può desumersi che il contributo conoscitivo apportato dal Prefetto in contraddittorio avalli la tesi secondo la quale il giudice penale possa prescindere dal tema dell’occasionalità dei profili di pericolosità nel momento in cui deve decidere se ammettere o meno il controllo volontario.

D’altro canto, almeno nella prassi di chi scrive, il contraddittorio con la Prefettura è meramente cartolare e si traduce non già in un dialogo sulle prospettive di bonificabilità dell’impresa richiedente, quanto piuttosto in una riproposizione da parte della P.A. degli elementi posti a base dell’interdittiva e nell’allegazione di argomentazioni idonee a superare le considerazioni difensive (nel senso della mera occasionalità dell’infiltrazione/agevolazione) veicolate nell’istanza di accesso al controllo giudiziario volontario.

Ciò perché, come chiarito anche dal Consiglio di Stato[26], l’interdittiva antimafia divide con le misure amministrative di prevenzione collaborativa la natura di informazione antimafia, con la conseguenza che anche la valutazione prefettizia funzionale all’emissione dell’interdittiva è sempre adottata all’esito di un vaglio di tipo storico-statico che non appare interessato all’eventuale prognosi di recupero del soggetto attinto.

Il citato orientamento, poi, pur volendo scongiurare possibili sovrapposizioni col sindacato del giudice amministrativo e con l’apprezzamento della P.A. (il cui sindacato è rimesso al G.A.), di fatto finisce per consentire all’imprenditore colpito da interdittiva di “aggirare” tale provvedimento semplicemente rivolgendosi al giudice della prevenzione che, sulla base della mera impugnazione dell’interdittiva e anche in assenza di qualsivoglia sintomo di contaminazione criminale (ma in presenza di un non meglio identificata o identificabile prognosi di riallineamento con l’economia sana), sarebbe tenuto ad ammettere l’impresa al controllo volontario con conseguente sospensione degli effetti negativi dell’atto della Prefettura.

È, poi, evidente che così opinando anche il tema della “bonificabilità” pare destinato inevitabilmente a perdere di significato in quanto esso da una parte sarebbe il solo presupposto alla cui delibazione è tenuto il giudice della prevenzione (privato di ogni possibile margine valutativo sul dato dell’agevolazione/infiltrazione occasionale) ma, dall’altra, avrebbe ben poco senso immaginare azioni di recupero, risanamento e riallineamento in un contesto nel quale manchi – in base al penetrante vaglio del giudice ordinario – qualsivoglia indice di condizionamento criminale.

Inoltre, a seguito dell’introduzione nel 2021 dell’istituto della cd. prevenzione collaborativa di cui all’articolo 94 bis del Codice Antimafia, la tesi dell’intangibilità in sede penale della valutazione compiuta dall’autorità amministrativa condurrebbe ad effetti sostanzialmente abrogativi del controllo giudiziario volontario, atteso che il Tribunale dovrebbe limitarsi a prendere atto della valutazione con la quale il Prefetto, adottando l’informativa antimafia, abbia ritenuto insussistente un’agevolazione solo occasionale in capo all’impresa, in presenza della quale avrebbe dovuto invece assumere la meno gravosa misura della prevenzione collaborativa[27].

Si è detto che tale fattispecie opera in presenza di indici di inquinamento che l’autorità amministrativa reputa semplicemente occasionali e che il Legislatore ha cristallizzato il tema dell’occasionalità devoluto al sindacato della P.A. prima e del giudice amministrativo poi; sarebbe stata, insomma, affidata all’autorità amministrativa una verifica che finora doveva essere condotta solo dal giudice penale “a valle” dell’interdittiva[28]

Del resto, il richiamato istituto presenta rilevantissime analogie col controllo giudiziario, basandosi entrambi sull’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa, sulla visione dinamica dell’accertamento della tipologia di agevolazione o infiltrazione (se occasionale o stabile e durevole), sui legami tra l’impresa e i fattori inquinanti e sul concetto di “bonificabilità” dell’impresa mediante un percorso virtuoso e controllato, volto alla rimozione degli elementi “inquinanti”. 

Anche le prescrizioni (“misure”) adottabili in concreto appaiono molto simili a quelle previste dall’art. 34 bis.  

Del resto, ben strano risulterebbe un sistema nel quale il Prefetto (autorità amministrativa) possa disporre la prevenzione collaborativa imponendo all’impresa una serie di stringenti prescrizioni qualora “accerti che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale” (così l’art. 94 citato), mentre il giudice della prevenzione, autorità che di regola è preposta proprio all’accertamento di tali profili, non possa valutare se essi esistano o meno nel caso specifico e debba – quasi in automatico – ammettere l’impresa al controllo volontario sulla mera presenza dell’interdittiva, regolarmente impugnata.  

Inoltre, la singolarità proseguirebbe se solo si osservasse che così opinando la P.A. dovrebbe/potrebbe scegliere tra interdittiva antimafia (nei casi più gravi) e prevenzione collaborativa (in caso di agevolazione occasionale), mentre l’autorità giudiziaria sarebbe – in qualche modo – vincolata ad emettere la più gravosa misura del controllo, sia pur a istanza di parte, anche qualora non ritenga sussistenti in concreto rischi agevolativi nemmeno occasionali.

Tali considerazioni depotenziano l’argomento che vorrebbe svuotato di contenuti (o impraticabile) il controllo giudiziario volontario a fronte del nuovo istituto della prevenzione collaborativa.

A ciò va aggiunto che la Corte Costituzionale, con la ricordata sentenza n. 109/25, ha analizzato il tema fornendone una chiave di lettura assolutamente lineare e condivisibile, che rispetta le peculiarità proprie dei due istituti e ragiona sul sistema di coordinamento tra questi previsto dal sistema: “In particolare, secondo l’inserito art. 94-bis cod. antimafia, se il prefetto riscontra che l’impresa è interessata da «tentativi di infiltrazione mafiosa […] riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale», in luogo dell’informazione interdittiva, emette un provvedimento che prescrive all’operatore una serie di misure di tipo organizzativo e/o comunicativo, per un periodo variabile dai sei ai dodici mesi, con possibile nomina di uno o più esperti con funzioni di supporto per l’attuazione delle prescrizioni disposte. Nello specifico, il comma 3 di tale articolo regola il rapporto tra la vigilanza prescrittiva adottata dal prefetto e quella applicata dal giudice della prevenzione, stabilendo che le misure collaborative cessano se il tribunale della prevenzione dispone il controllo giudiziario (nella forma della vigilanza con la nomina del controllore giudiziario). Ciò perché le prime hanno il medesimo presupposto (l’agevolazione occasionale), analogo contenuto (gestione imprenditoriale guidata e monitorata con diverse modalità) e «identità di funzione» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 13 febbraio 2023, n. 7) rispetto al secondo”.

D’altro canto, quanto alle possibili interferenze tra il sindacato del giudice della prevenzione e quello del giudice amministrativo, va detto che la giurisprudenza amministrativa è in fase di superamento del principio secondo il quale l’ammissione di un’impresa al controllo giudiziario volontario non costituisce circostanza rilevante in sede amministrativa circa la valutazione della legittimità dell’interdittiva; infatti, risulta difficile in concreto sostenere che le motivazioni addotte dal Tribunale di prevenzione nell’ammettere l’impresa al controllo giudiziario, ovvero nel rigettare l’istanza, non influenzino in alcun modo il giudice amministrativo chiamato a valutare la legittimità dell’interdittiva prefettizia.

Tale aspetto è emerso in una interessante pronuncia del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana[29] che, pur ribadendo la piena autonomia tra giudizio amministrativo e giudizio penale, ha espressamente considerato “significativi taluni argomenti nella parte motiva della pronuncia evocata, pur sviluppati ai soli fini del vaglio dei distinti presupposti della misura giurisdizionale di salvataggio. Ciò non deve sorprendere perché, per quanto si cerchi di distinguere i presupposti del controllo giudiziario dai presupposti dell’interdittiva prefettizia, è in qualche modo inevitabile, trattandosi della valutazione degli stessi fatti, che possano esservi di riflesso delle inferenze sempre che ovviamente il loro apprezzamento sia frutto dell’autonomo giudizio del giudice amministrativo”.

Da segnalare anche la sentenza[30] in cui il Consiglio di Stato, dopo avere ricostruito i profili sistematici dell’istituto anche alla luce della novella procedimentale del 2021 (che ha previsto l’obbligo di una tempestiva comunicazione al soggetto interessato di inizio del procedimento di adozione della interdittiva antimafia), ha affermato che la diretta interferenza tra i provvedimenti interdittivi e le misure di cui agli artt. 34 e 34 bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 “rende del tutto legittimo e comprensibile che il giudice amministrativo, nel valutare tutti gli elementi per apprezzare la sussistenza della infiltrazione, prenda in considerazione – pur nell’osservanza dei limiti cognitori propri del giudizio impugnatorio sull’atto – anche le valutazioni poste dal giudice della prevenzione penale a fondamento del rigetto del controllo giudiziario”. 

Già in passato l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[31] aveva individuato un triplice piano di connessione tra l’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario: 1) procedurale, in quanto l’impugnazione 12 dell’interdittiva dinanzi al giudice amministrativo costituisce una condizione di ammissibilità della richiesta di controllo giudiziario; 2) effettuale, dal momento che l’ammissione al controllo giudiziario sospende gli effetti dell’interdittiva per tutta la durata del controllo; 3) sostanziale in quanto, benché dall’esito del controllo giudiziario non derivi alcun vincolo formale per la Prefettura (che, in sede di riesame e aggiornamento dell’interdittiva antimafia, ben potrà confermare il provvedimento), è ragionevole ritenere che il positivo riscontro dei requisiti di occasionalità e “non definitività” del rischio di infiltrazione mafiosa – che costituiscono i presupposti necessari della misura conservativa ponderati a tal fine dal giudice – e soprattutto la cristallizzazione della positiva conclusione del controllo acquisiscano un peso specifico nell’ambito di tale valutazione.

La connessione tra i due provvedimenti è stata individuata dalla giurisprudenza amministrativa anche in relazione al diverso profilo correlato alla definitiva conferma, all’esito del giudizio amministrativo, della legittimità dell’informazione antimafia interdittiva.

Ancora l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[32], pur escludendo che la pendenza del controllo giudiziario su istanza dell’impresa determini l’effetto sospensivo del giudizio amministrativo, ha infatti precisato che quand’anche all’esito del giudizio amministrativo si accerti, in chiave retrospettiva, l’esistenza di infiltrazioni mafiose nell’impresa, pervenendosi alla conferma dell’interdittiva, “non per questo può ritenersi venuta meno l’esigenza di risanare la stessa. Al contrario, questa esigenza si pone in massimo grado una volta accertato in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso”.

Inoltre, come accennato, la separazione tra le valutazioni assunte dal Tribunale di prevenzione e quelle del giudice amministrativo appare sempre più difficilmente percorribile a seguito dell’introduzione della prevenzione collaborativa e dei criteri di proporzionalità/progressività che informano il sistema della prevenzione antimafia, per cui il giudice amministrativo può essere chiamato a conoscere l’illegittimità dell’interdittiva impugnata anche per violazione dell’articolo 94 bis e per eccesso di potere ove sia contestata la mancata adozione, in presenza di un’agevolazione solo occasionale, della prevenzione collaborativa in luogo dell’interdittiva impugnata.

Ne consegue che risulta correlativamente sempre più arduo, in prospettiva, sostenere che il giudice penale chiamato a valutare i presupposti di cui all’art. 34 bis comma 6 C.A.M. debba di fatto adeguarsi al contenuto dell’interdittiva, non soffermandosi sui profili di merito legati alla possibilità di individuare profili di agevolazione mafiosa, pur se occasionali, e limitandosi a prendere contezza dell’intervenuta impugnazione di essa.

Ancora: non si tratta, ad avviso di chi scrive, di delineare un’ingiusta e inopportuna duplicazione di giudizi tra A.G. ordinaria ed amministrativa in quanto da una parte è il sistema ad essere stato così costruito (con la previsione del sindacato di legittimità sull’interdittiva da parte del giudice amministrativo e la disamina dei “presupposti” per accedere al controllo volontario in capo al giudice della prevenzione) e dall’altra si è in presenza di giudizi profondamente diversi, retti da regole di valutazione non coincidenti e con standards probatori differenti.

Anche la disamina del tema della bonificabilità, come innanzi ricostruito, non fornisce elementi di sostegno all’orientamento in analisi non potendosi ritenere ragionevole, invero, immaginare specifiche prospettive di riallineamento della società richiedente se non qualora nella stessa si ravvisino rischi di infiltrazione o condizioni di agevolazione occasionale: se non si rinviene alcun pericolo in tal senso, infatti, non si comprende in concreto in cosa possa o debba tradursi l’attività di bonifica sulla quale dovrebbero peraltro attivarsi, in ipotesi, anche un giudice delegato e un amministratore giudiziario nominati ai sensi dell’art. 34 bis C.A.M.

Ne consegue che – a giudizio di chi scrive – il profilo della sussistenza dell’agevolazione occasionale e quello della possibilità concreta di bonifica non possono che saldarsi, presentandosi quest’ultima come un punto conseguenziale e successivo che non avrebbe senso (né concreta praticabilità) senza il primo.

Del resto, in assenza di un profilo anche di mera occasionalità di una reale agevolazione mafiosa, è effettivamente impossibile individuare quale debba essere il concreto percorso da imporre nella prospettiva di un riallineamento dell’attività di impresa in un contesto economico sano, stante proprio l’assenza di un concreto pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata.    

Pertanto, al giudice della prevenzione investito della richiesta di controllo giudiziario c.d. volontario è attribuito un sindacato che si articola in due momenti: ad una fase di matrice statico-retrospettiva sul carattere occasionale dell’agevolazione si aggiunge una fase di tipo dinamico-prospettica sulle possibilità di recupero dell’impresa all’economia sana che, invero, difficilmente presenterebbe un significato razionale in assenza dell’altra.

Si osserva poi che l’orientamento che prescinde dalla necessità di accertare l’esistenza di un’agevolazione occasionale, pur richiamando in più occasioni la nota sentenza delle Sezioni Unite del 2019, Ricchiuto, giunge a conclusioni che paiono discostarsi da quanto affermato (sia pur nel quadro di una decisione funzionale ad un profilo assai specifico, ovvero l’individuazione del mezzo di impugnazione del provvedimento) in quella sede.

Né si condivide – pur nella constatazione dell’oggetto particolare del giudizio della Suprema Corte in quel caso – il depotenziamento dei passaggi che si richiameranno a semplici obiter non particolarmente significativi al fine della ricostruzione dell’istituto e non vincolanti per l’interprete. 

Non può, infatti, sottacersi che in detta pronuncia, dopo aver ricostruito quello del controllo giudiziario come un “sottosistema unitario”, esplicitamente si afferma che l’art. 34 bis (nel suo complesso e senza, quindi, alcuna distinzione tra il comma 1 e il comma 6) condivide con il precedente art. 34 il profilo della possibile agevolazione e se ne distingue perché s’incentra su un’agevolazione qualificabile come soltanto occasionale (“Con la medesima legge 161, mediante l’art. 11 che ha inserito nel codice antimafia l’art. 34-bis, è stato compiutamente ridisegnato l’istituto che qui interessa, quello cioè del controllo giudiziario delle aziende, misura non più soltanto servente e funzionale a quella della amministrazione giudiziaria, ma da questa indipendente perché fondata, ab origine, sul rilievo che la possibile agevolazione di persone sottoposte a misure di prevenzione o indagate per gravi reati – comune con la piattaforma operativa della misura ex art. 34 – sia soltanto occasionale”; cfr. paragrafo 2.3, pag. 7).

Ancor più chiaramente, le SSUU ribadiscono il potere-dovere del giudice della prevenzione, anche in sede di giudizio ex art. 34 bis comma 6 C.A.M., di verificare l’esistenza nel caso concreto dei “presupposti” di legge, ivi compresa l’occasionalità dell’agevolazione (“Con riferimento, poi, alla domanda della parte privata, che sia raggiunta da interdittiva antimafia, di accedere al controllo giudiziario, tale accertamento – e in ciò la motivazione della citata sentenza n. 29487 della Prima Sezione promuove prospettive non del tutto sovrapponibili alle conclusioni qui prese- non scolora del tutto, dovendo pur sempre il Tribunale adito accertare i presupposti della misura, necessariamente comprensivi della occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l’accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l’accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa”; cfr. paragrafo 2.5, pag. 9).

Trattasi, come si vede, di passaggi motivazionali importanti che toccano in modo approfondito proprio il perimetro dei presupposti applicativi della misura.

A fronte di tale avallo, risulta francamente impossibile prescindere dall’accertamento del requisito dell’agevolazione occasionale e accedere al controllo giudiziario volontario sul semplice presupposto dell’esistenza di un’interdittiva antimafia oggetto di impugnazione anche qualora l’impresa istante non presenti alcuna relazione agevolativa, nemmeno in termini di occasionalità, con soggetti socialmente pericolosi. 

Nemmeno il parallelismo con l’istituto della messa alla prova si appalesa, invero, idoneo a sostenere l’altro orientamento, non dovendosi trascurare che l’accesso a tale strumento non può certo avvenire solo grazie ad una istanza della parte, ma richiede la sussistenza di precisi presupposti di carattere oggettivo (la tipologia del reato contestato, la pena irrogabile, etc…) e soggettivo (il non essere stato dichiarato delinquente o contravventore abituale, professionale o per tendenza, la precedente revoca ovvero il precedente esito negativo del procedimento), dalla cui valutazione certo il giudice procedente non può affatto esimersi dando precedenza tout court all’interesse dell’indagato/imputato di beneficiare dell’istituto. 

Anche qui, insomma, il giudizio non è mai solo ed esclusivamente di tipo prognostico circa le possibilità dell’esito positivo della messa alla prova, ma richiede che sussistano specifici requisiti in assenza dei quali non sarà ipotizzabile accedere all’istituto.

Chi scrive ritiene, poi, che non possano trarsi argomenti a sostegno del contrapposto orientamento dalla sentenza n. 109/2025, prima richiamata, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del Codice Antimafia per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. nella parte in cui – disponendo la sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia in conseguenza dell’ammissione alla misura di prevenzione del controllo giudiziario – non prevede che tale sospensione si protragga, nel caso di sua conclusione con esito positivo, sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del provvedimento interdittivo da parte del Prefetto.

Nel citato provvedimento, infatti, non solo non si rinviene (né sarebbe stato possibile, invero, dato il tema del giudizio) alcuna affermazione sulla natura “esotica” del controllo giudiziario volontario rispetto al sistema prevenzionale nel suo complesso, ma anzi si afferma testualmente che “la misura può essere disposta solo se l’agevolazione a persone pericolose (individuate dall’art. 34, comma 1, cod. antimafia) sia “occasionale” (art. 34-bis, comma 1, cod. antimafia), secondo un riscontro che la giurisprudenza intende non soltanto come riferito allo “stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto [teso] a comprendere e prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l’iter che la misura alternativa comporta” (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 26 settembre-19 novembre 2019, n. 46898). In altri termini, il giudice è chiamato a esprimere un favorevole giudizio prognostico riguardo al fatto che l’impresa possa riallinearsi con il contesto economico sano, seguendo il percorso assistito”.

Insomma, la Consulta pare dare per scontato che si tratti di un sistema unitario (e che presupposto della misura sia l’agevolazione occasionale) e si riferisce ad un giudizio prognostico di riallineamento con l’economia sana che, invero, non avrebbe alcun aggancio con la realtà qualora il giudice della prevenzione non ritenesse sussistente nessun profilo di pericolosità da rimuovere. 

Altrove la Corte precisa poi che “con tale previsione il legislatore ha stabilito un inedito collegamento tra la prevenzione giudiziaria e la prevenzione amministrativa relative all’impresa attinta solo occasionalmente da fenomeni di infiltrazione mafiosa” aggiungendo, tuttavia, che di tale collegamento ha espressamente disciplinato solo due aspetti: 1) a monte, la necessità procedurale che il Tribunale, nel determinarsi sulla misura, senta il Prefetto che ha adottato l’interdittiva; 2) a valle, la sospensione degli effetti dell’interdittiva come conseguenza dell’ammissione dell’imprenditore al controllo giudiziario.

Ancora, si precisa che “con il controllo a domanda dell’imprenditore, il legislatore ha collegato la prevenzione giudiziaria con quella amministrativa per dare coordinata risposta al tentativo di infiltrazione della criminalità di tipo marginale, ma è evidente che non ragionevolmente ha mancato di “chiudere il cerchio” e determinato un incongruo sacrificio della libertà di impresa”.

Appare, pertanto, evidente il richiamo alla natura propria del controllo giudiziario volontario ed alla sussistenza dei presupposti di pericolosità, sia pure “marginali”, che necessariamente devono configurarsi per l’accesso alla misura.

Infine, quanto alla pretesa disparità di trattamento a sfavore delle imprese più sane (e nonostante ciò colpite dall’interdittiva) che non potrebbero mai avvalersi di tale istituto e finirebbero per essere ingiustamente espunte dal tessuto economico, si è accennato che tali considerazioni non possono determinare lo stravolgimento dell’istituto per come delineato dal Legislatore e che, comunque, non tengono conto di alcuni profili certamente rilevanti in concreto.

In primo luogo, infatti, è stato lo stesso Legislatore a costruire il sistema nel senso che le società che presentino profili di “agevolazione mafiosa” occasionale possano accedere ad un percorso di bonifica che, invece, non appare affatto necessaria allorquando non si rinvenga alcun significativo, concreto e attuale pericolo di infiltrazione mafiosa e, a maggior ragione, alcuna “agevolazione mafiosa” nemmeno qualificabile in termini di occasionalità. 

Inoltre, da una parte l’accoglimento dell’istanza determina sì la sospensione dell’interdittiva prefettizia e delle preclusioni che essa determina, ma apre comunque una fase di monitoraggio dell’azienda da parte di un amministratore giudiziario e di un giudice delegato, i quali verificheranno il corretto adempimento degli specifici obblighi imposti dall’autorità giudiziaria che, in caso di inottemperanza, potrà disporre l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale più gravosa.

Pertanto, l’ammissione al controllo volontario potrebbe, in pratica, determinare effetti niente affatto favorevoli per l’operatività della società ammessa: infatti, anche in base al mancato rispetto delle prescrizioni ed al contenuto della relazione dell’amministratore giudiziario, il Tribunale potrebbe adottare l’amministrazione giudiziaria ovvero finanche misure più severe.  

D’altra parte, la sospensione degli effetti dell’interdittiva correlata all’ammissione al controllo volontario prevista dal comma 7 dell’art. 34 bis C.A.M. ha natura provvisoria ed era in origine destinata a durare per il solo tempo della pendenza del giudizio amministrativo contro di essa.

Proprio per tale motivo il TAR Reggio Calabria, come visto, con l’ordinanza n. 646/2024 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 bis comma 7 nella parte in cui non prevedeva che la citata sospensione perdurasse anche con riferimento al tempo, successivo alla cessazione del periodo di controllo, occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento dell’interdittiva ex art. 91 comma 5 C.A.M.[33]

Solo di recente, si è detto, la Consulta ha superato l’impasse.

La sospensione, poi, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa si rivolge solo al futuro e non è idonea ad eliminare gli effetti della misura interdittiva prodotti nei rapporti in corso, per cui ad esempio l’ammissione al controllo giudiziario non ha conseguenze favorevoli sui provvedimenti di esclusione dell’impresa dalle gare in atto[34]: sul punto, si precisa che l’ammissione al controllo non può sanare la partecipazione dell’operatore economico non degno per il possibile condizionamento criminale, atteso che in caso contrario “si darebbe paradossalmente ingresso, nel mercato degli appalti pubblici, all’apprezzamento di una proposta contrattuale predisposta precedentemente all’insediamento dell’amministratore giudiziario, cioè prima dell’avvio di quel controllo a cui l’art. 34 bis subordina la sospensione degli effetti interdittivi”. 

In conclusione, è orientamento costante dei giudici amministrativi che l’esito favorevole del controllo giudiziario volontario “non è di per sé ostativo a che il Prefetto, in sede di aggiornamento dell’informativa, possa confermare l’informativa disposta antecedentemente alla sottoposizione al controllo poiché non può sostenersi che la pronuncia del giudice della prevenzione produca un accertamento vincolante o condizionante sul rischio di infiltrazione[35]

Insomma, i benefici effettivi dell’ammissione al controllo giudiziario in assenza di un pericolo di agevolazione occasionale non appaiono sempre particolarmente rilevanti e vanno bilanciati, in concreto, con la necessità di interfacciarsi con un giudice delegato e un amministratore, con l’obbligo di rispettare stringenti prescrizioni e con il rischio di incappare in misure più afflittive. 

L’argomento della necessità di salvaguardare, comunque, l’operatività di imprese tendenzialmente sane ed evitare la decozione delle stesse grazie all’utilizzo del controllo ad istanza di parte – del resto – è stato probabilmente depotenziato proprio dal recente decreto n. 48/2025: come visto, infatti, la norma consente al Prefetto di escludere (per un anno, prorogabile) uno o più divieti e decadenze nel caso in cui si accerti il venir meno dei mezzi di sostentamento al titolare dell’impresa e alla sua famiglia, rendendo in tali casi di fatto inutile l’accesso al controllo volontario quale strumento di protezione delle attività imprenditoriali non inquinate, ma attinte da interdittiva.

Se è vero che la disposizione riguarda solo le imprese individuali e il caso della mancanza dei mezzi di sussistenza, lo è altrettanto che essa va ad inquadrarsi in un sistema più ampio che rimette all’autorità amministrativa (e non giurisdizionale) la valutazione del tema della compatibilità delle necessità di sicurezza pubblica con quello del diritto al lavoro e all’impresa.

Sempre nel medesimo solco ricostruttivo, non può sfuggire che il nuovo articolo 94.1 attribuisca ancora al Prefetto, in caso di sospensione temporanea dei divieti, la possibilità di prescrivere l’osservanza di una o più delle misure di cui all’art. 94 bis, commi 1 e 2 delineando in tal modo un’area di intervento amministrativo a sostegno delle imprese che lascia fuori il giudice ordinario, al quale deve rimanere devoluto un giudizio retto da finalità affatto diverse.

Infine, riconoscere la prevalenza dell’interesse del richiedente a proseguire l’attività sulla rilevanza del requisito dell’agevolazione occasionale significa, a giudizio di chi scrive, imporre al giudice della prevenzione di assumere su di sé il peso del rischio di espungere ingiustamente un’impresa sana dal tessuto imprenditoriale, mentre esso dovrebbe più correttamente ricadere dapprima sull’autorità amministrativa nel momento in cui valuta – in modo più o meno pregnante e attento – i presupposti fattuali dell’interdittiva piuttosto che della prevenzione collaborativa e, in seconda battuta, sul giudice amministrativo chiamato a sindacare la legittimità del provvedimento. 

In conclusione, gli interpreti restano in attesa della decisione con la quale la Suprema Corte chiarirà i termini ed i confini del giudizio funzionale all’applicazione del controllo giudiziario volontario nella consapevolezza che, forse, sarebbe bastato un semplice intervento chiarificatore del Legislatore sul punto a scongiurare l’incertezza applicativa e gli esiti contrastanti che hanno caratterizzato la prassi degli uffici giudiziari: ad esempio, agendo per meglio delineare i “presupposti” – pur indicati al comma 6 – mediante un esplicito rinvio al comma 1 della stessa disposizione e, con esso, ai concetti delineati dal precedente art. 34 comma 1.

 

 

 

[1] Com’è noto, la questione era stata affrontata dalla Corte Costituzionale che con la sentenza n. 180/2022, pur senza dichiarare l’illegittimità della norma, ha evidenziato una disparità di trattamento rilevante ex art.3 Cost. dell’art. 94 C.A.M. rispetto all’art. 67 dello stesso testo, nella parte in cui non consentiva anche ai soggetti destinatari dell’interdittiva prefettizia di beneficiare dell’esclusione d decadenze e divieti se ciò avesse potuto provocare un grave depauperamento per l’interessato. 

[2] Per una ricognizione del sistema, si veda G. Amarelli, “Il Decreto Sicurezza e la riforma degli effetti delle interdittive antimafia”, su www.sistemapenale.it, 5 maggio 2025.

[3] Così Cass. Pen., n. 2156/2022; rv. 283867-01

[4] Cfr. SSUU, n. 46898/2019, ric. Ricchiuto

[5] Cass. Pen., Sez. 6, n. 1590 del 14/10/2020, dep. 2021, Senesi S.p.a., Rv. 280341

[6] Cass. Pen., Sez. 2, n. 9122 del 28/01/2021, Gandolfi, in motivazione

[7] Si veda, in tal senso, Cass. Pen. Sez. 5, n. 13388 del 17/12/2020, dep. 2021, Società Costruzioni s.r.l., Rv. 280851

[8] Cass. Pen., Sez. 2, n. 9122 del 28/01/2021, Gandolfi, Rv. 280906

[9] La tesi è condivisa da G. Amarelli, “La Cassazione riduce i presupposti applicativi del controllo giudiziario volontario e i poteri cognitivi del giudice ordinario”, nota a Cass. Pen., n. 9122/2021, in www.sistemapenale.it, marzo 2021.

[10] Cfr. la sentenza n. 32482/2024 (dep. 09/08/2024; Rv. 286859-01)

[11] Nella pronuncia n.27704/2021

[12] Cass. Pen., n. 9122/2021

[13] Cfr. anche Cass. Pen., Sez. VI, n. 41799 del 17/09/2024, NA.RO.MI. s.r.l.s., n.m.; Sez. VI, n. 22395 del 06/04/2023, C.L.P. Sviluppo Industriale S.p.A., n.m.; Sez. VI, n. 27704 del 09/06/2021, Società coop. a r.l. Gli Angeli, Rv. 281822 – 01.

[14] Sul punto si veda anche R. Magi, “Assestamenti interpretativi in tema di controllo giudiziario su domanda”, in www.sistemapenale.it, maggio 2023. L’autore sottolinea che il testo originario, delineato nel 2013 dalla cd. Commissione Fiandaca, non prevedeva né il requisito dell’impugnazione dell’interdittiva né quello del ricorrere dei “presupposti”, non meglio individuati, profili inseriti in sede di redazione legislativa del provvedimento nel 2017. 

[15] Cass. Pen., Sez. VI, n. 23330 del 13/05/2021, La Fattoria s.r.I., n.m.

[16] Anche da Cass. Pen., n. 13388/2020

[17] N. 7090/2025, est. Francolini

[18] Cass. Pen., Sez. II, n. 18564 del 13/02/2019, Consorzio Sociale COIN, Rv. 275419 – 01, in motivazione; cfr. pure Sez. V, n. 34526 del 02/07/2018, Eurostrade S.r.l., Rv. 273645 – 01

[19] Cass. Pen., Sez. VI, n. 29213 del 06/07/2021, Tenace, n.m.

[20] Cass. Pen., Sez. II, n. 26830 del 06/07/2021, Chiefari, n.m., che richiama Sez. II, n. 8856 del 17/02/2021, DB04 s.r.I., n.m.; cfr. pure Sez. II, n. 22083 del 20/05/2021, Imprecoge s.r.I., Rv. 281450 – 01; Sez. V, n. 13388 del 17/12/2020 – dep. 2021, Società Costruzioni s.r.l., Rv. 280851 – 01

[21] cfr. Cass. Pen., Sez. V, n. 34522/2021, cit.; cfr. pure Sez. I, n. 10578 del 09/11/2022 – dep. 2023, Edil P& P s.a.s., Rv. 284243 – 01, che a chiare lettere afferma che “è ostativa all’ammissione la constatazione di ‘assenza della relazione’ (anche pregressa) tra azienda ed organizzazione criminale esterna”; Sez. II n. 26830/2021, cit., secondo cui la misura del controllo giudiziario “andrebbe negata” ove l’occasionalità dell’agevolazione “non dovesse sussistere, per essere l’ente economico compromesso in maniera più incisiva dalla contaminazione mafiosa sì da non lasciar presagire possibilità di recupero”; Cass. Pen., Sez. I, n. 15156 del 23/11/2022 – dep. 2023, M&M Servizi, s.r.I., n.m.; Sez. VI, n. 1590 del 14/10/2020 – dep. 2021, Senesi S.p.A., Rv. 280341 – 01; Sez. VI, n. 26754 del 17/10/2021, Maenza, n.m.

[22] Cass. Pen., Sez. II, n. 9122/2021, cit., richiamata adesivamente da Sez. VI, n. 30168 2021, cit.

[23] cfr. Cass. Pen., Sez. II, n. 9122/2021, cit..

[24] Così, C. Visconti e A. Merlo, “Il controllo giudiziario alla prova del fuoco. A proposito dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite sull’art. 34 bis Cod. Ant.”, in Sistema Penale, fascicolo 7-8/25

[25] Corte cost. sent. 20 maggio 2025 (dep. 17 luglio 2025), n. 109, in www.sistemapenale.it, 23 luglio 2025, con nota di G. Amarelli, “Controllo giudiziario volontario: aspettando le Sezioni unite, la Corte costituzionale protrae gli effetti sospensivi dell’interdittiva antimafia”.

[26] Così la sentenza n. 2654/2025

[27] Cfr. sul punto la sentenza n. 7/23 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato

[28] Per una completa ricostruzione si veda R. Greco, “La giurisprudenza del Consiglio di Stato sulle misure antimafia”, rinvenibile sul sito istituzionale della giustizia amministrativa. 

[30] Sentenza n. 1295 del 18 febbraio 2025

[31]Cfr. la sentenza n. 8 del 14/12/2022, dep. 2023

[32] Con la sentenza n. 7 del 14/12/2022, dep. 2023

[33] Com’è noto, la questione era stata affrontata dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 180/2022, pur senza dichiarare l’illegittimità della norma, ha evidenziato una disparità di trattamento rilevante ex art.3 Cost. dell’art. 94 C.A.M. rispetto all’art. 67 dello stesso testo, nella parte in cui non consentiva anche ai soggetti destinatari dell’interdittiva prefettizia di beneficiare dell’esclusione d decadenze e divieti se ciò avesse potuto provocare un grave depauperamento per l’interessato. 

[34] Cfr. TAR Lazio, Sez. V. n- 9672/2023; TAR Napoli, Sez. IV, n. 1669/2023

[35] Così ex plurimis TAR Palermo, n. 3828/2023; Cons. di Stato, n. 1049/2021; n. 319/2021, n. 4912/2022, n. 4587/2923, TAR Lazio, n. 15775/2023



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione