Il nuovo panorama politico apertosi con la destituzione della premier tailandese Paetongtarn Shinawatra il 1 luglio scorso, dopo nemmeno un anno di mandato, apre scenari del tutto nuovi per il regno asiatico dove, per la prima volta, un premier gode in Parlamento di una maggioranza garantita solo dall’appoggio esterno di un altro partito. Le ultime settimane, mentre si concludeva la guerra tra Thailandia e Cambogia per vecchie questioni di confine, sono state piene di colpi di scena che vale la pena riassumere. Aiuteranno a inquadrare il mandato del nuovo premier, Anutin Charnvirakul, un politico e imprenditore leader del partito Bhumjaithai, insediatosi il 7 settembre 2025. E a disegnare una lotta di potere che vede al centro conservatori, esercito, la famiglia Shinawatra e ovviamente la Casa reale.
L’esecutivo che nasce con Paetongtarn Shinawatra nell’agosto 2024 è, tanto per cominciare, un governo che si forma in un clima avvelenato, dove il partito che ha di fatto vinto le elezioni del 2023 viene espulso dalla scena politica a colpi di sentenze. Si tratta del Phak Kao Klai, noto anche come Move Forward, un partito progressista – erede a sua volta di un altro partito progressista, il Future Forward, dissolto nel 2020 – diretto da Pita Limjaroenrat. È lui – giovane, brillante, amato dai giovani delle grandi città ed empatico con le manifestazioni antimonarchiche degli anni passati – il vero premier in pectore dopo la clamorosa avanzata elettorale del suo partito, che ha stravinto alle urne del 2023. Ma poi, denunciato per un reato da cui alla fine verrà prosciolto, Pita viene sospeso dal Parlamento e il suo partito – i cui vertici sono interdetti dalla vita politica per dieci anni – viene dissolto dalla Corte Costituzionale per aver proposto, durante la campagna elettorale, di modificare la legge sulla lesa maestà. Ciò non di meno, quel che resta del Phak Kao Klai si riorganizza e i suoi parlamentari, quelli esclusi dalle sentenze, si riuniscono sotto un nuovo cappello: il 9 agosto 2024, due giorni dopo la sua messa al bando, i membri del disciolto Kao Klai fondano il Phak Prachachon, noto come Partito popolare. Non è l’unico fatto a rendere quell’agosto particolarmente caldo.
Alleata di Pita, Paetongtarn Shinawatra a capo del Partito Pheu Thai, si trova, dopo le elezioni 2023, di fronte a uno scenario che vedrebbe esclusa anche lei dalla corsa a premier. Ma è a questo punto che accade qualcosa che mette in ordine tutte le caselle. Paetongtarn si allea con le forze che hanno perso le elezioni e in particolare con i partiti espressione del potere militare. Contemporaneamente, a suo padre Thaksin Shinawatra viene permesso di tornare in Thailandia. Premier dal 2001 al 2006, inviso a monarchia ed esercito, era stato destituito da un colpo di Stato militare il 19 settembre 2006, mentre si trovava all’estero. Vivrà in esilio volontario tra Dubai e Londra fino all’agosto 2024. A quel punto, forse proprio grazie all’accordo di governo che consacra premier Paetongtarn Shinawatra, a Thaksin viene permesso di tornare e di ottenere il perdono reale che gli consente di commutare una condanna a otto anni di carcere a soli 12 mesi di reclusione. Il suo ritorno spariglia le carte e lo vede tornare protagonista – mentre l’esecutivo di Paetongtarn è morso dalla crisi economica – della vita politica locale. Con un progetto che vuole rilanciare l’economia thai anche grazie alla costruzione di un grande di un casinò (vietati nel regno).
A complicare il quadro ci si mette, nel maggio scorso, il conflitto con la Cambogia. Inizia con un incidente di frontiera nel cosiddetto Triangolo di smeraldo, in cui muore un soldato cambogiano. Le tensioni tra i due regni montano, con chiusure ai valichi e blocchi economici dalle due parti. Ma è a partire da fine luglio che inizia un vero e proprio conflitto con mortai, razzi e raid aerei nelle province di Surin, Sisaket, Chanthaburi e Trat. Dopo cinque giorni di scontri un accordo per un cessate il fuoco viene mediato da Kuala Lumpur, che ha la presidenza dell’Asean. Si sono mossi anche Stati Uniti e soprattutto la Cina. Le vittime sarebbero oltre 35, 200 i feriti, 300mila gli sfollati. I danni economici sono enormi mentre la sfiducia reciproca tra i due regno sembra aver raggiunto un punto di non ritorno.
Ma se in Thailandia la guerra ha fatto aumentare la crisi economica, è la politica a pagare il prezzo più alto. Il 18 agosto la Cambogia fa trapelare una conversazione telefonica di tre giorni prima tra Paetongtarn Shinawatra e l’ex primo ministro cambogiano Hun Sen, che la premier chiama confidenzialmente “zio” mentre critica i suoi stessi alti comandi. Accusata di avere tradito etica e senso patriottico, Paetongtarn viene sospesa e poi, il 29 agosto, destituita. Si apre così una sempre più profonda crisi politica. I settori nemici della famiglia Shinawatra si mettono in moto. Il vecchio Thaksin, tra l’altro, ha davanti due processi che lo vedono imputato per lesa maestà e per aver violato le regole sulla carcerazione. Lo scenario mette in seria difficoltà il tycoon e la sua famiglia, ma il 22 agosto Thaksin se la cava e decade la lesa maestà. Singolare è che, sia per la telefonata con Paetongtarn sia per la seconda incriminazione di Thaksin, il grande protagonista sia stato Hun Sen. È lui a diffondere la conversazione ed è ancora lui che dichiara di aver visitato Thaksin in ospedale, sostenendo che non fosse malato. Hun Sen è stato un grande amico della famiglia Shinawatra, salvo poi cambiare atteggiamento.
Il 9 settembre, accusato di non aver scontato l’anno di prigione cui era stato condannato, viene incriminato e dovrà ora ri-scontarlo in carcere. Tra telefonate e sentenze, il Pheu Thai ha intanto perso colpi ed è ormai chiaro che non ce la farà a guadagnare un nuovo premierato.
È a questo punto che Anutin chiede aiuto al Partito popolare perché appoggi la sua leadership per contrastare ciò che resta del Phau Thai. Il 5 settembre Anutin ottiene così alla Camera bassa 311 voti a suo favore. Il suo partito Bhumjaithai (69 seggi) ha stretto alleanza con una serie eterogenea di piccoli partiti, ma aveva bisogno dei voti del Partito popolare (151) che, dall’opposizione, passa a un sostegno “esterno” senza chiedere dicasteri e posizioni nell’esecutivo. Ma se il Pheu Thai è in difficoltà, le cose non saranno facili per i vincitori: nell’alleanza di governo c’è un po’ di tutto ma soprattutto due partiti – Palang Pracharath e United Thai Nation Party – strettamente legati ai militari. Dunque nemici giurati, oltre che del Pheu Thai, del Partito popolare.
Anutin sostiene che il suo sarà un mandato neutrale: scioglierà al Camera entro l’anno per indire nuove elezioni e avviare una riforma costituzionale per emendare la Carta del 2017, il che richiede innanzi tutto un referendum. Può essere che il primo punto venga osservato, ma l’avvio della riforma appare denso di nubi. I partiti “militari” e filomonarchici non voglio riformare la Costituzione e, al contempo, la riforma è un punto fermo dei Popolari. Può essere che il percorso porti voti ai progressisti ma anche che, una prolungata permanenza a fianco dei conservatori, possa nuocere a un partito finora considerato estraneo alla tradizionale classe politica. Insomma: un quadro complicato, dove si giocherà il futuro dei singoli partiti e in cui potrebbe continuare la crisi politica alimentata dal Pheu Thai della famiglia Shinawatra. In difficoltà ma non ancora messa da parte.
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