Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

La montagna un laboratorio di resistenza e di sviluppo sostenibile


“Ciao, Alexander… Non nascondo che al di là della coscienza ecologica viva in me l’istinto di ribellione contro la sopraffazione”. Così scriveva Fernando Gerometta, attivista del Comitato famiglie per l’Arzino, in Friuli, in una lettera del 1992 ad Alexander Langer, il politico e intellettuale, maestro dell’ambientalismo e dell’impegno per la pace, che definiva Gerometta “un militante ecologico popolare”, un uomo che difendeva la sua valle, la sua cultura e il suo habitat sociale dall’avanzata dell’industrializzazione e delle grandi opere.

Vuoi acquistare in asta

Consulenza gratuita

 

Molte Fedi, la rassegna culturale delle Acli di Bergamo, dedica a Langer, a trent’anni dalla morte, la sezione sull’ambiente, focalizzata sui cambiamenti delle aree interne, con particolare attenzione ai territori montani. Sabato 13 settembre, alle ore 15, al Tempio del Donatore di Pieve a Vilminore, Marta Villa, docente e ricercatrice di antropologia culturale e alpina presso le università di Trento, Bolzano e Verona, terrà la conferenza “Le Terre Alte, territori della vita”, in collaborazione con il festival La Via Decia.
L’incontro racconterà la montagna come laboratorio di resistenza, dove memoria, tradizione e innovazione si intrecciano per immaginare nuovi scenari di vita e di sviluppo sostenibile.

Professoressa Villa, partiamo dal titolo. In che senso “territori della vita”?

“Si tratta di territori che permettono alle persone e agli altri esseri viventi di condurre un’esistenza dignitosa. Il termine proviene dall’organizzazione internazionale Icca Consortium, che sostiene le comunità i cui territori sono spesso minacciati o espropriati a vantaggio di interessi esterni, secondo una logica colonialista. In Europa non esistono più comunità indigene, ma il concetto può applicarsi alle aree interne, come alcune valli montane spesso abbandonate o poco valorizzate. Esiste una rete nazionale di “territori della vita”, che include comunità trentine, abruzzesi, piemontesi, valdostane, non inserite nel marketing turistico tradizionale”.

Le comunità di montagna, però, perseguono a volte modelli di turismo invasivo. Come si concilia questa tensione interna?

“È vero: capita che le comunità si dividano sulle scelte da compiere. I social media amplificano questa dicotomia: chi propone seggiovie o bacini per la neve artificiale è spesso osannato, chi si oppone è demonizzato. Il nostro compito è fornire strumenti di valutazione, lasciando che il dibattito avvenga democraticamente al loro interno, così da far emergere proposte consapevoli e sostenibili, che potranno orientare i finanziamenti pubblici”.

Trasforma il tuo sogno in realtà

partecipa alle aste immobiliari.

 

Il cambiamento climatico di origine antropica come influisce sulla vita e sull’economia montana?

“Le Alpi hanno già subito un aumento medio della temperatura superiore a due gradi e mezzo, il doppio di quello globale. Questo provoca fenomeni estremi: la tempesta Vaia del 2018, invasioni del bostrico, forti alluvioni. La fusione del permafrost altera lo skyline delle montagne, come abbiamo visto sul Brenta quest’estate. Le comunità montane, grazie alla loro esperienza diretta, osservano e reagiscono a questi cambiamenti, fornendo dati preziosi alle scienze naturali e sociali. La montagna diventa
così un laboratorio dove strategie di adattamento di agricoltori, allevatori e operatori turistici possono essere studiate e trasferite alla pianura”.

I saperi tradizionali: pastoralismo, bergamini, carbonai. Qual è il loro valore oggi?

“I saperi tradizionali hanno trovato nel tempo strategie vincenti. La transumanza, patrimonio culturale immateriale dell’umanità, regola gli ecosistemi e mantiene la biodiversità. Il lavoro dei carbonai, oggi quasi scomparso, era fondamentale per la gestione sostenibile dei boschi. Questi saperi contengono principi ecologici avanzati, basati su prudenza, sostenibilità e gestione collettiva delle risorse”.

I domini collettivi?

“Sì, un ordinamento medievale che prevede terreni appartenenti alla comunità e gestiti da tutti, non proprietà privata individuale, così come i beni, nelle comunità indigene, appartengono al villaggio. Dai domini collettivi impariamo alti principi ecologici: risorse usate senza esaurirle e territorio consegnato migliorato alle
generazioni successive. La legge 168 del 2017 riconosce la funzione eco-paesistica dei domini collettivi nell’interesse generale”.

Che cos’è l’agroecologia e come può favorire la vitalità delle aree montane?

“L’agroecologia, imparata dagli europei tra i contadini indigeni del Sud America, osserva i cicli naturali, riducendo l’uso dei fertilizzanti chimici e integrando la fauna per il controllo biologico. Per esempio, una siepe accanto a una vigna ospita insetti che competono con i parassiti. Interpreta l’azienda agricola come un ecosistema vivente, ottenendo risultati migliori della chimica. Saperi simili erano presenti sulle Alpi prima dell’agricoltura intensiva. L’agroecologia costituisce una forma concreta di territori della vita”.

Esempi di borghi che si stanno ripopolando?

“Certo. In Val di Sole, una comunità di 40 abitanti ha costruito una piccola centrale idroelettrica sostenibile, ottenendo un milione di euro di finanziamenti. Con questi fondi sono stati costruiti un caseificio, creando lavoro per giovani allevatori e casari, un asilo e un museo, rendendo il borgo nuovamente attrattivo. In Val di Cembra, l’agroecologia richiama giovani agricoltori che riprendono vecchi vigneti, contribuendo al ripopolamento e alla vitalità dell’area”.

La tua casa dei sogni ti aspetta

partecipa alle aste immobiliari!

 

La montagna può indicare la via per un nuovo equilibrio tra uomo e natura?

“Sì. La montagna è un laboratorio di convivenza con la natura, come si vede con il ritorno del lupo in Trentino. Insegna un approccio lento e riflessivo, perché lì la natura è più difficile da governare. Le comunità alpine hanno tradizionalmente mostrato pacatezza e tolleranza. Un esempio che può ispirare città e pianura, dove i problemi  derivano spesso dalla frenesia”.

Quale eredità lascia Alexander Langer sul tema della montagna?

“Langer comprese la necessità di un cambio di rotta generale, all’insegna della tolleranza e del rispetto per la dignità umana. Ribaltò il motto olimpico ‘più veloce, più alto, più forte’ in ‘più lento, più profondo, più dolce’, insegnando il diritto dell’uomo a essere se stesso. La sua ecologia riguarda non solo l’ambiente, ma anche l’interiorità, la pace, la convivenza tra i popoli. Anticipò l’urgenza di ritrovare l’equilibrio tra uomo e natura, tra culture e fedi diverse. Oggi la sua visione può ispirare nuovi approcci per la
gestione della montagna e la rigenerazione delle comunità interne”.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!





Source link

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Prestito personale

Delibera veloce