I modelli as-a-Service e on demand possono portare l’elasticità che le aziende cercano, ma senza una gestione dei costi si fa presto a sforare i propri budget. Lo spiega Capgemini.
Capgemini lo chiama “il paradosso dell’on-demand“: le aziende puntano sul modello as-a-Service per tutto quello che può velocizzare l’adozione delle nuove tecnologie, con oggi la GenAI e il cloud in primissima linea. Ma i costi dell’on demand stanno crescendo e senza una gestione oculata e una precisa governance della propria spesa IT, i presunti vantaggi economici dei modelli a consumo sono destinati a sparire. E su questo Capgemini ha condotto uno studio mirato, coinvolgendo un migliaio di organizzazioni con un giro d’affari di oltre un miliardo di dollari. Il 4% del campione è italiano.
Intendiamoci: nessuno mette in discussione più di tanto i benefici dell’as-a-Service. Il 77% del campione analizzato da Capgemini considera la scalabilità e le prestazioni del cloud fondamentali per la crescita e la differenziazione sul mercato della propria azienda. E i budget IT si adattano a questa visione: si prevede che la spesa IT/tecnologica aumenterà dal 4,3% al 5,9% del fatturato nel corso del prossimo anno, con un notevole spostamento dalla manutenzione dell’esistente all’innovazione. In questa dinamica, la quota dell’on-demand nei budget IT dovrebbe crescere dal 29% al 41%, sulla scia dei buoni risultati ottenuti. Le organizzazioni il cui ambiente IT è interamente o prevalentemente basato sul cloud, infatti, registrano risparmi sui costi, più innovazione di prodotto, più produttività operativa e una migliore qualità del servizio.
Sull’altro piatto della bilancia c’è il fatto che l’82% del campione di Capgemini segnala un aumento significativo nei costi dei servizi cloud, SaaS e Gen AI: per il 61% questo incide negativamente sulla redditività aziendale. A complicare le cose è la complessità degli schemi dei costi dell’as-a-Service, sui cui per molte aziende c’è troppo poca visibilità. Anche per questo, il 45% del campione sta valutando di trasferire i suoi workload su cloud privati.
Anche la geopolitica ha il suo peso, insieme all’evoluzione delle normative e alle preoccupazioni relative al controllo dei dati. Questi fattori hanno spinto il 46% del campione a integrare la cloud sovereignty nelle proprie strategie cloud, anche se questo spesso aumenta i costi operativi. Più precisamente, il 42% del campione Capgemini è “decisamente disposto” ad assumersi un maggior costo medio dell’11% per il cloud sovrano.
Il risultato di questa dinamica di costi in crescita e poco visibili è che le aziende stanno spendendo in tecnologie innovative più di quanto avevano stabilito di investire: negli scorsi 12 mesi il 76% del campione di Capgemini ha sforato il budget dedicato al public cloud, mediamente del 10%; il 52% ha sforato quello per i servizi SaaS, mediamente dell’11%; il 68% ha sforato quello per la GenAI. In tutto questo gioca un ruolo importante la decentralizzazione delle scelte di investimento: le business unit delle grandi imprese si muovono ormai in autonomia per i loro acquisti tecnologici, e oggi ad esempio “guidano” il 59% della spesa in servizi di Gen AI e il 48% di quella in servizi SaaS.
Così i business manager pensano di essere più flessibili e veloci nelle loro innovazioni, ma muoversi in ordine sparso porta notevoli inefficienze di procurement e la spesa IT diventa poco trasparente e poco prevedibile. Il 64% del campione Capgemini afferma non non essere in grado di prevedere con accuratezza i budget cloud, il 58% afferma che i costi associati ai servizi tecnologici on-demand sono “un gran buco nero”, il 56% si aspetta “bollette choc” per l’imprevedibilità del consumo delle risorse in cloud. Che, un po’ paradossalmente, per il 59% del campione corrono un rischio diverso: essere sprecate, ossia allocate ma non usate.
Ad aggravare la situazione c’è il fatto che le imprese non sentono di stare ottenendo i risultati sperati dai loro investimenti tecnologici. Solo il 29% ritiene di aver ottenuto i risparmi che si aspettava dai servizi SaaS, solo il 33% pensa che la spesa in servizi di cloud pubblico abbia portato i miglioramenti attesi nella qualità dei propri servizi, è al 38% la quota delle imprese che ha effettivamente velocizzato l’innovazione di prodotto grazie alla GenAI. C’è quindi una importante quota di insoddisfazione, la cui causa però sta anche nella mancanza di metriche standardizzate per calcolare il ROI degli investimenti tecnologici: un problema evidenziato dalla maggioranza (58%) delle imprese. Quando i benefici concreti delle tecnologie ci sono, insomma, potrebbero anche essere sottovalutati.
C’è una soluzione per tutto questo? L’aiuto in teoria doveva venire ancora una volta dalle tecnologie, in questo caso dalle soluzioni FinOps che avrebbero dovuto portare più visibilità e più automatismi nella gestione dei costi operativi, gestione che diventa estremamente complessa man mano che le infrastrutture IT si fanno sempre più articolate, dinamiche e delocalizzate. L’importanza teorica delle soluzioni FinOps è evidente, tanto che Capgemini descrive la loro adozione come un task da “Day 0,5” rispetto ad esempio al livello “Day 0” della cybersecurity. Insomma, una adozione da attivare il prima possibile.
Il problema è che non è affatto così. Il 54% del campione di Capgemini adotta strategie cloud-first senza una vera pianificazione dei costi, una percentuale che sale in ambiti anche molto importanti come PA (65%) e Manufacturing (61%). E quando le soluzioni FinOps ci sono – il 29% delle imprese in effetti dichiara di avere già un team FinOps dedicato – la loro portata resta limitata. Nel 51% dei casi si concentra solo sul cloud, nel 38% include anche il SaaS, solo nel 2% copre cloud, SaaS e GenAI. Inoltre, la maggior parte (63%) dei team FinOps si concentra su attività operative e solo il 37% valuta l’efficacia degli strumenti per la gestione dei costi o intraprende azioni mirate in base alle loro analisi.
Per Capgemini la strada che porta le aziende fuori da questo impasse è, come spesso accade, più di approccio che legata alla tecnologia. “Non è questione solo di DevOps o FinOps, ma di BizOps“, indicano gli analisti, spostando l’attenzione sulla necessità di correlare gli obiettivi e i KPI di business con le attività operative dell’IT, e viceversa. Trasformare cioè la visibilità sui costi correlati agli investimenti tecnologici in un elemento di valutazione strategica e non solo di gestione operativa. Un passo non banale che mette intorno allo stesso metaforico tavolo leadership aziendale, Finance, IT, procurement, responsabili tecnici e di business.
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