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AI, c’è una bolla ma farà bene al mondo: ecco perché


Google, Amazon, Microsoft e Meta spenderanno, tra quest’anno e il prossimo, circa 750 miliardi di dollari in data center per alimentare i loro modelli di intelligenza artificiale. Morgan Stanley stima che entro il 2029 la spesa globale per infrastrutture AI raggiungerà i 3.000 miliardi di dollari.

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È probabilmente il più massiccio e rapido dispiegamento di una tecnologia di uso generale (GPT, General Purpose Technology) nella storia. Ma cresce il dubbio, quali ritorni economici produrrà questo esborso colossale? Lo ricorda anche un recente rapporto MIT: il 95% delle aziende non registra alcun ritorno dagli investimenti in AI generativa. Persino Sam Altman, CEO di OpenAI, ha ammesso che “alcuni investitori perderanno molti soldi”.

La chiave di lettura di Carlota Perez

Per comprendere la fase che stiamo vivendo occorre guardare alla storia con lo sguardo di Carlota Perez, economista venezuelana che nel suo libro Technological Revolutions and Financial Capital: The Dynamics of Bubbles and Golden Ages (2002) ha proposto una cornice interpretativa ormai classica.

Perez descrive cinque grandi rivoluzioni tecnologiche degli ultimi tre secoli, la rivoluzione industriale della fine del Settecento, quella del vapore, del carbone e delle ferrovie nell’Ottocento, l’avvento dell’acciaio e della grande ingegneria nella seconda metà del XIX secolo, la produzione di massa del Novecento, infine la rivoluzione dell’information technology a partire dagli anni Settanta, mostrando come ognuna di esse abbia seguito un ciclo ricorrente fatto di fasi di installazione, bolle speculative, crash e successiva diffusione.

L’intelligenza artificiale, secondo Perez, non inaugura un sesto capitolo completamente nuovo, ma rappresenta un’estensione e un’accelerazione della quinta rivoluzione, quella digitale fondata sulla microelettronica, sui computer e sulle reti di comunicazione, che oggi entra in una nuova fase caratterizzata da scale di investimento e impatti senza precedenti. La tesi centrale di Perez è che ogni rivoluzione segue un ciclo prevedibile, articolato in una fase iniziale di installazione e in una successiva fase di diffusione.

Nella prima, l’innovazione si presenta in forma dirompente e produce distruzione creativa, sconvolgendo i settori tradizionali e dando vita a un eccesso di investimenti, a una vera e propria mania finanziaria e alla formazione di bolle speculative. Solo dopo il crash, quando le illusioni vengono smontate e restano in piedi le infrastrutture create in quel periodo, la tecnologia può entrare nella fase di diffusione: è allora che si realizza l’età dell’oro, caratterizzata da un utilizzo massiccio e diffuso, da un aumento della produttività e da benefici economici più ampi per la società. Gli esempi storici mostrano bene questa dinamica. Le ferrovie inglesi, inizialmente al centro di una bolla finanziaria che attirò e poi deluse molti investitori, finirono per costituire la dorsale della rivoluzione industriale e permisero di ridisegnare trasporti e commercio. Allo stesso modo, la bolla delle telecomunicazioni degli anni ’90 provocò fallimenti a catena ma lasciò in eredità un’infrastruttura di internet che ha reso possibile la nascita dell’economia digitale contemporanea. Oggi l’AI si trova pienamente nella fase di installazione maniacale: grandi promesse, ingenti capitali, ma ritorni economici ancora scarsi e forti rischi di crash.

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Bolle produttive e crash inevitabili

Perez sottolinea che i crash non sono incidenti di percorso, ma passaggi necessari. Essi smontano le illusioni speculative, eliminano gli attori meno solidi e lasciano in eredità infrastrutture e capacità che preparano la fase di maturità. “Non ho mai visto un’età dell’oro senza un crash”, afferma Perez, ricordando che l’AI non farà eccezione e che prima di diventare davvero ubiqua sarà inevitabile attraversare correzioni di mercato anche violente. Su questo tema si inserisce una riflessione complementare. Nel libro Boom: Bubbles and the End of Stagnation, Byrne Hobart e Tobias Huber sostengono che le bolle possano avere un ruolo positivo, stimolando innovazione e creando infrastrutture durature.

La mania ferroviaria in Gran Bretagna nell’Ottocento, pur avendo provocato perdite enormi a molti investitori, generò una rete nazionale che trasformò trasporti e commercio. La bolla delle dotcom degli anni Novanta, con il fallimento di molte aziende, lasciò dietro di sé l’infrastruttura di internet, oggi alla base dell’economia digitale. Anche la corsa all’oro in California produsse esiti simili, molti cercatori fallirono, ma le città e le strutture create in quel periodo permisero a San Francisco di affermarsi come centro economico. Infine, la speculazione sulle criptovalute, pur tra cadute e insuccessi, ha consolidato la blockchain come tecnologia innovativa per la gestione decentralizzata dei dati. Questi casi mostrano che l’entusiasmo speculativo, pur causando perdite individuali, accelera la creazione di asset e conoscenze collettive che restano a beneficio della società.

Le condizioni sociali per l’età dell’oro

Un altro punto cruciale del libro riguarda il ruolo della società e delle istituzioni. Le rivoluzioni tecnologiche non diventano automaticamente un’età dell’oro, per trasformarsi in cicli di prosperità diffusa devono essere orientate politicamente e socialmente. Nel corso dell’Ottocento, ad esempio, furono introdotte le prime regolazioni industriali che mitigarono gli effetti più duri dell’industrializzazione.

Nel Novecento, in parallelo alla produzione di massa e all’espansione delle grandi corporation, si svilupparono i sistemi di welfare state e le autorità antitrust, strumenti che hanno contenuto lo strapotere delle imprese e ridotto gli squilibri sociali. Oggi il contesto è ancora più complesso. I mercati finanziari appaiono instabili e concentrati su logiche speculative, il potere delle Big Tech si rafforza oltre misura, populismi e tensioni politiche si intrecciano con la minaccia crescente del cambiamento climatico. In assenza di risposte collettive adeguate, la rivoluzione dell’intelligenza artificiale rischia di produrre soprattutto nuove forme di instabilità, piuttosto che generare un benessere condiviso.

Perché leggere oggi Carlota Perez

Il libro Technological Revolutions and Financial Capital rimane oggi una lettura fondamentale per comprendere le dinamiche in atto. Perez illustra con chiarezza il modo in cui capitali e innovazione si intrecciano, mostrando che gli investitori, pur inseguendo profitti immediati, finiscono spesso per finanziare infrastrutture che diventano la base dello sviluppo futuro. L’opera dimostra inoltre che l’intelligenza artificiale non rappresenta un’anomalia isolata, bensì l’ennesima manifestazione di un modello storico che si ripete con regolarità. Il passaggio dalla fase di installazione a quella di diffusione, ricorda l’autrice, non avviene in modo spontaneo: richiede governance, regole adeguate e una visione politica capace di orientare la tecnologia verso il benessere collettivo. Per questo motivo, la prospettiva di Perez continua a offrire strumenti preziosi per interpretare l’attuale corsa all’AI e per immaginare come trasformarla in un’età dell’oro davvero inclusiva.

La grande sfida sul futuro dell’intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale si trova oggi nel pieno della sua fase di euforia speculativa, una stagione segnata da investimenti miliardari, da ritorni ancora incerti e da bolle che molti osservatori considerano inevitabili. La lezione della storia, però, suggerisce che proprio queste fasi, se ben governate, possono gettare le fondamenta per un nuovo ciclo di prosperità. Non si tratta di un processo automatico, ma di un percorso che richiede la capacità collettiva di orientare la tecnologia verso obiettivi di benessere condiviso e di stabilità di lungo periodo.

La grande domanda rimane aperta e riguarda la nostra epoca: una società segnata da crisi climatica, squilibri finanziari e concentrazione di potere sarà in grado di trasformare la fase attuale in un’età dell’oro? Lo storico A.J.P. Taylor, riflettendo sulle rivoluzioni del 1848, osservava che i paesi possono giungere a un punto di svolta senza però riuscire a compiere realmente la svolta. Un monito che risuona con forza oggi, mentre ci chiediamo se l’intelligenza artificiale diventerà il motore di un futuro più prospero e inclusivo o se resterà una promessa incompiuta, accompagnata da nuove instabilità.



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