In Romania la forte crescita dei prezzi mette in risalto tutti i problemi del paese: pesante deficit, rischio recessione e forte instabilità. Una situazione che rischia di approfondire le tensioni sia politiche che sociali di un paese già diviso
In Romania l’inflazione continua a registrare una crescita galoppante. Da un giorno all’altro tutto diventa più caro mentre le previsioni della Banca Nazionale destano preoccupazioni. Solo a luglio 2025 ,il paese ha registrato un tasso di inflazione del 7,8% su base annua, in netto aumento rispetto al mese precedente (5,7%).
Le previsioni ufficiali parlano ormai apertamente di un’inflazione che potrebbe superare il 9% entro la fine dell’anno. La Romania resta quindi al primo posto nell’Unione Europea per crescita dei prezzi. Un fatto collegato alle conseguenze di un sistema economico vulnerabile e da un apparato statale difficile da riformare.
Il deficit come origine del male
Secondo il governatore della BNR, Mugur Isărescu – figura centrale della vita economica romena da oltre tre decenni – le radici dell’inflazione vanno ricercate nel deficit di bilancio. Il 2024 si è chiuso con un disavanzo del 9,3% del Pil, il più elevato di tutta l’Unione Europea, e i primi mesi del 2025 hanno mostrato la stessa traiettoria. In queste condizioni, l’inflazione risulta un riflesso degli squilibri fiscali cronici.
Il governo ha risposto con misure anticrisi: aumento dell’Iva, rialzo delle accise, provvedimenti che colpiscono in maniera diretta i consumatori e alimentano la spirale dei prezzi. Ma per alcuni analisti le misure sono come “un cerotto su una ferita aperta”: soluzioni temporanee che non incidono sui problemi strutturali, come la scarsa efficienza della spesa pubblica o l’ampia evasione fiscale.
Questa strategia, tuttavia, ha un costo politico e sociale. I sacrifici sono richiesti soprattutto alle famiglie e alle piccole imprese, le prime linee del sistema produttivo.Le statistiche mostrano infatti l’impatto dell’inflazione sulla vita quotidiana. Tra luglio 2024 e luglio 2025, i prezzi della frutta sono aumentati del 28%, quelli delle verdure dell’11%, l’energia del 34%. Servizi essenziali – dall’acqua alla sanità fino alla ristorazione – hanno registrato rincari superiori all’8%.
In queste condizioni, la crescita dei salari appare piuttosto un’illusione ottica. L’Istituto Nazionale di Statistica segnala che lo stipendio netto medio ha raggiunto i 1.100 euro, appena 6 euro in più rispetto all’anno precedente. Insignificante rispetto in confronto all’inflazione e alla sostanziale perdita del potere d’acquisto. I romeni, in altre parole, comprano sempre meno pur spendendo di più.
Le conseguenze sono molteplici: le famiglie riducono i consumi, gli imprenditori vedono calare le vendite, il credito al consumo diventa più costoso.
Rischio recessione
Sul fronte macroeconomico, la Romania non è ancora in recessione, ma i segnali di rallentamento sono evidenti. Nel secondo trimestre 2025 la crescita è stata appena dello 0,3%. Nel mentre le proiezioni della BNR per il biennio 2025–2026 parlano di una crescita modesta, condizionata dalle politiche di austerità fiscale e la domanda esterna, in particolare quella proveniente dall’Europa occidentale.
Lo stesso Isărescu ha parlato apertamente del rischio di recessione, sottolineando la dipendenza dell’industria romena dalle dinamiche continentali: “La situazione in Europa non è molto buona”, ha ammesso. Da qui la raccomandazione a utilizzare in modo più efficace i fondi europei, soprattutto quelli legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Per il governatore, rappresentano l’unico strumento capace di stimolare una ripresa duratura.
“Se vogliamo evitare la recessione, è essenziale accelerare l’assorbimento dei fondi europei”, ha ribadito, legando la credibilità internazionale del Paese alla capacità di rispettare gli impegni fiscali.
La prospettiva di adottare l’euro, un tempo dichiarata priorità nazionale, è ormai accantonata. L’ultima riunione ufficiale sul tema si è tenuta nel 2018. Il governatore della Banca Nazionale ha ricordato che la Romania ha soddisfatto le condizioni per l’adesione all’Eurozona tra il 2013 e il 2015 ma questo obiettivo è stato abbandonato da Bucarest e allora si è trattato di una decisione politica, sostenuta da “quasi tutti i partiti“.
Inflazione e stabilità politica
Secondo le proiezioni della BNR, l’inflazione potrebbe rientrare nei parametri europei (attorno al 2,5%) solo nel 2026 o nel 2027. Ma la condizione è duplice: disciplina fiscale e stabilità sociale. Due variabili tutt’altro che garantite in un contesto politico segnato da divisioni interne e conflittualità latente.
“Non siamo in recessione, i dati lo confermano. Ma il rischio c’è”, ha detto Isărescu, richiamando la necessità di dare continuità al programma fiscale per mantenere credibilità. “Speriamo di non dover aumentare i tassi d’interesse. Ma se l’instabilità dovesse crescere, potremmo essere costretti a farlo”.
Intanto, il Leu si mantiene relativamente stabile, grazie alla ricostituzione delle riserve valutarie. Secondo un rapporto ERSTE, la Banca Nazionale della Romania avrebbe speso sei miliardi di euro (circa 10% della riserva valutare) per rafforzare la moneta autoctona e per bilanciare il corso di cambio.
“Il corso non ha più bisogno del nostro sostegno diretto”, ha affermato il governatore, definendolo però fondamentale per la fiducia dei mercati.
Tensioni sociali
Sempre più dipendenti pubblici protestano contro le misure di austerità prese dal governo di coalizione guidato dal liberale Ilie Bolojan. Dopo magistrati, professori e medici anche i dipendenti dei comuni annunciano proteste.
L’Unione Nazionale dei Comuni e delle Città della Romania (SCOR) ha annunciato la chiusura di tutti i municipi del paese, a partire dal 29 agosto, se il governo non abbandonerà le misure considerate “abusive” nei confronti dell’amministrazione locale.
Il secondo pacchetto di misure varato dal Governo prevede una riduzione del 25% del personale pubblico nei municipi, in aggiunta alla riduzione del 10% applicata lo scorso anno.
A protestare anche la polizia. Il sindacato nazionale degli ufficiali di polizia e del personale contrattuale (SNPPC) critica duramente le intenzioni dell’esecutivo di modificare il regime pensionistico militare, avvertendo che le misure annunciate compromettono la sicurezza nazionale e promettendo proteste su larga scala se il governo non abbandonerà questi piani.
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