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Lovaglio, il gigante che nessuno ha visto arrivare


L’uomo che sta per rivoluzionare la finanza italiana dovrebbe teoricamente essere già in pensione. A 70 anni suonati, Luigi Lovaglio, amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena, resterà nella storia per aver fatto cadere – con una semplice mossa che nessuno aveva mai osato neppure concepire, un’offerta pubblica di scambio azionario su Mediobanca – la roccaforte storica della finanza milanese. Mediobanca, da sempre ben gestita anche se non è più da molti decenni il pivot del sistema finanziario come ai tempi di Enrico Cuccia, finisce sotto l’ombrello dell’istituto di Siena che era sull’orlo del fallimento e che è stato salvato con che era sull’orlo del fallimento e che è stato salvato con circa venti miliardi, secondo Unimpresa, provenienti dalle tasche dei contribuenti italiani. Non è questa l’unica contraddizione di questa vicenda, come vedremo.

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Ma intanto Lovaglio emerge come un gigante: estremamente preparato, determinato, non frenato dai pregiudizi su cosa si può o non si può fare (non è poco: la maggior parte delle persone sono più realiste del re). La nuova entità che dovrebbe nascere unirà una banca di credito commerciale, Mps appunto, con una che è forte, oltre che nel credito al consumo, nel wealth management, ovvero nella raccolta e nella gestione del risparmio, e nel corporate e investment banking, l’assistenza alle imprese medie e grandi per le loro operazioni sul capitale. La banca risultante dalla fusione continuerà a essere composta, almeno per il momento, da due entità separate. Come a dire che Mediobanca manterrà una sua relativa indipendenza: Lovaglio ha tenuto a precisare che l’insieme delle professionalità che vi si trovano devono essere salvaguardate. Ovviamente a impartire gli ordini sarà d’ora in avanti Mps, anche se bisognerà vedere in quale misura. A venerdì 5 settembre la soglia raggiunta è stata del 46 per cento del capitale, ma c’è ancora lunedì 8 settembre.

Per Lovaglio quest’operazione è comunque il culmine della sua lunga carriera, in grandissima parte avvenuta nell’anonimo middle management e infine nel top management di Unicredit, ma fuori dall’Italia. E dunque fuori da quell’insieme di relazioni che consentono a un bravo banchiere di avere le migliori opportunità nel proprio Paese. Ad esempio, il lavoro che ha fatto nella polacca Banca Pekao, dal 2003 fino al 2017, quando l’amministratore delegato di Unicredit, Jean Pierre Mustier, aveva deciso di venderla, è considerato da manuale: la banca, comprata da Unicredit, era stata fatta crescere fino a dare lavoro a 15mila dipendenti con una capitalizzazione di 10 miliardi, la più alta della Borsa polacca. Ma prima, tra il 2000 e il 2003, aveva già ricoperto con successo la posizione di vice presidente del management board e direttore esecutivo della bulgara Bulbank.

Nel 2018, dopo aver lasciato Unicredit, il ritorno in Italia è segnato dalla difficile ma riuscita ristrutturazione del Creval, poi venduto al Credit Agricole nel 2021. Infine, a inizio del 2022 il governo Draghi, che allora controllava ben il 64,23 per cento della banca salvata a suon di miliardi, lo chiama alla guida del Monte dei Paschi per completarne la ristrutturazione. Cambiato il governo, dalla Meloni ottiene un ulteriore aumento di capitale da 2,5 miliardi sostanzialmente per prepensionare circa 4.000 dipendenti che se ne sono andati contenti ma lasciando la banca in condizione di tornare a una piena redditività. Portata a termine quest’importante operazione, a fine 2022, Lovaglio ha raccontato che aveva già a quell’epoca in mente l’Ops su Mediobanca e che ne aveva parlato già allora con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.

È evidente che l’operazione su Mediobanca è certamente il frutto del piano di un banchiere a lungo e ingiustamente sottovalutato dal mainstream finanziario (poi vedremo il perché). Ma è anche stata resa possibile da una serie di eventi. Per primo l’assenso del governo Meloni, che ha sottoscritto l’aumento di capitale volto all’Offerta pubblica d’acquisto, con un intervento dirigistico nel sistema finanziario che raramente si è visto prima e che ha alterato il libero gioco delle forze di mercato. Il fatto che mettendo le mani su Mediobanca si ottiene per dote anche il controllo del 13 per cento di Generali, non è stato estraneo alle decisioni dell’Esecutivo.

L’operazione è stata possibile anche grazie al gioco su più fronti (nel capitale di Mps e di Mediobanca) di Franco Caltagirone e degli eredi di Del Vecchio, che da tempo accumulavano azioni di entrambe le banche (e di Generali) con lo scopo di arrivare a questo epilogo, il controllo di Mediobanca prima e quello su Generali dopo. Dopo l’Ops i due avranno la maggior quota di azioni del nuovo aggregato, con una diminuzione del ruolo dello Stato. Inoltre, c’è stato l’appoggio all’ultimo aumento di capitale – più politico che determinato da ragioni meramente economiche (e anche se ci fossero non sono mai state esplicitate) – di tre Casse di previdenza: quella dei medici (Enpam), quella degli agenti di commercio (Enasarco) e quella degli avvocati (Cassa Forense).

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L’operazione di Lovaglio, tecnicamente perfetta, si innesta dunque in un gioco a più attori. In questo gioco la politica e soggetti economici con mire diversificate hanno ciascuno fatto la loro parte rendendola possibile. Per Lovaglio è il coronamento di una vita, ma anche una piccola rivincita personale. Entrato in Unicredit nel 1973 a soli 18 anni, quando contava molto il “posto fisso”, ha saputo costruire la sua vita professionale con costanza, fatica e determinazione. In fondo si è laureato in Economia come studente lavoratore, dimostrando insolita tenacia. La sua famiglia, proveniente dal Sud, non faceva parte né del gotha della finanza né della Milano che conta. Per lui è stata una scalata lenta ma pervicace. Da notare che ha lavorato per quasi 40 anni in Unicredit, scalando varie posizioni e arrivando a creare uno dei più clamorosi casi di rilancio e crescita di un’impresa creditizia con Banca Pekao.

Oggi, finalmente, Luigi Lovaglio ha il riconoscimento che merita. Non è facile raggiungere questo traguardo per chi non ha un background familiare importante. Il suo successo è solo merito suo, delle sue capacità, ma anche e soprattutto del suo quotidiano impegno. Chi lo conosce dice che tutti i giorni arriva a lavorare anche quindici ore di seguito ed è “sempre sul pezzo”, ovvero sa sempre tutto prima degli altri. Se fosse uno stratega militare sarebbe uno che arriva al piano di battaglia sapendo qualcosa in più del nemico.

Tuttavia, Lovaglio ha pur sempre 70 anni e probabilmente resterà ancora al suo posto per qualche anno. Ma in un certo modo il dopo-Mediobanca per Mps è già cominciato. Gli azionisti potrebbero già avere in mente altri piani, con l’immissione di manager più giovani e con strategie, soprattutto per la conquista di Generali, ancora da implementare.

Così il massimo successo di Lovaglio potrebbe coincidere anche con il suo canto del cigno. Ma non c’è ancora chiarezza sui tempi di questo passaggio di consegne. E ora per lui è tempo di godersi il momento di gloria.

Da notare che è un banchiere tradizionale colui che riesce a spezzare le consolidate trame della finanza milanese. Egli ha in mente un modello di banca tradizionale che non ha niente di nuovo nell’impostazione o negli obiettivi. In fondo, il nuovo aggregato è la riproposizione del vecchio modello della “banca universale”, che ha un prodotto per tutti, dai prestiti e dai conti correnti per la clientela retail agli strumenti per i risparmiatori-investitori, per finire alle operazioni sul capitale delle imprese. Mps-Mediobanca assomiglierà in piccolo a Intesa o a Unicredit, o alle più grandi banche spagnole. La domanda che si pongono molti esperti del settore è se un modello del genere possa attagliarsi a una banca, Mps, che ha avuto sempre il retail come punto di riferimento. E dove l’investment e corporate banking è già svolto dai big Intesa e Unicredit: ci sarà davvero spazio anche per il più piccolo Mps?

Inoltre, qualcuno nota che, tolti l’ad di Unicredit, Andrea Orcel, e quello di Intesa, Carlo Messina, provenienti dal settore finanziario, il comparto bancario italiano è ancora dominato da una generazione di vecchi banchieri nati e cresciuti nelle filiali tradizionali come Giuseppe Castagna (ad di Banco Bpm), Gianni Franco Papa (ad di Bper), e che comprende lo stesso Lovaglio. Ma questo, per ora, è ciò che passa il convento.



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