Il progetto da 100 miliardi di dollari al confine con Singapore è l’ennesima utopia liberista che non è riuscita a decollare. Ma un ex imprenditore nel settore delle criptovalute sta cercando di tenere vivo il sogno con una scuola pensata per chi non crede nello Stato
Forest City affonda le radici in un sogno: creare una città «intelligente», «dinamica», «ecologica» e «armoniosa». Una parola, quest’ultima, tanto cara alla cultura cinese, che sull’armonia ha costruito una società e una nazione. E che ora viene esportata anche in realtà nuove, fuori dal territorio della Cina. Una di queste è proprio la metropoli da 100 miliardi di dollari che aspirava ad attirare 100 milioni di abitanti. Costruita nella punta meridionale della Malesia, a due passi dal confine con Singapore, adesso questa utopia si è quasi spenta come un fiammifero nel vento. I suoi palazzi sono quasi interamente vuoti, la vita brulicante immaginata fra le sue strade è solo silenzio e solitudine.
Altro che milioni di abitanti. Qualcuno, però, resiste. E si aggrappa con forza all’utopia di una metropoli del futuro. Sono imprenditori, cripto-ossessionati e «tecnottimisti» (si definiscono così) che vedono in realtà come Forest City un modo per costruire la società dei propri sogni: un posto dove l’innovazione supera l’idea di Stato, dove l’impresa individuale è premiata e non penalizzata, dove costruire una costosissima scuola per iper-progressisti della Silicon Valley.
Costruzione e declino di una città
Facciamo un passo indietro. Torniamo al 2006, quando è stata annunciata la costruzione di una città su un’isola artificiale realizzata sullo stretto di Johor, che divide la Malesia da Singapore. Un progetto ventennale inaugurato nel 2016. A occuparsi di edificare sui quasi 3 chilometri quadrati è Country Garden, una società immobiliare cinese che proprio negli anni del boom edilizio stava collezionando progetti su progetti. Una città costruita dai cinesi per i cinesi: l’obiettivo era quello di puntare al ceto benestante del gigante asiatico, attirare persone e capitali per creare una exclave di Pechino e dintorni.
Tanto era grande l’ambizione per Forest City, tanto più grande il suo fallimento. In pochi anni il sogno si è sgonfiato: gli abitanti non sono arrivati, così come le imprese che avrebbero dovuto portare ricchezza su quella che — molti anni più tardi, ormai nel 2024 — è stata dichiarata zona economica speciale. E quindi un’area esente da tasse, che avrebbe dovuto attirare aziende all’avanguardia e creare così benessere per tutta la regione.
A contribuire all’insuccesso dell’iniziativa sono state le vicende economiche, politiche e sociali avvenute dal 2016 in poi. Dalla crisi politica malese del 2020 alla pandemia da Covid-19, passando attraverso alla gravissima crisi immobiliare che ha colpito la finanza cinese. Country Garden è infatti una delle grandi aziende del mattone a essere colpite duramente dal crollo immobiliare del 2023/2024 (lunedì 14 agosto 2023, in un solo giorno, le azioni della società avevano perso il 19%).
Già dal 2022 si comincia a percepire che qualcosa è andato storto in questa utopia mancata. Grattacieli ed edifici commerciali svettano bianchissimi di fronte allo specchio d’acqua che divide Forest City dall’altrettanto futuristica (e decisamente più riuscita) Singapore. Qualcuno comincia a definirla una vera e propria città fantasma. Altri decidono proprio di scappare. «Non mi importava del deposito che avevo versato, non mi importava dei soldi. Dovevo solo andarmene», ha raccontato alla Bbc, nel 2023, un anonimo ex-abitante della fallita metropoli. «Mi viene la pelle d’oca solo a tornare qui. È un posto solitario, ci sei solo tu con i tuoi pensieri».
La «Network School» da 1.500 dollari al mese
Cosa si fa di una città fantasma costruita su un’isola artificiale che fino a poco tempo fa non esisteva? Si prova a tenerla operativa in ogni modo. D’altronde, il sogno di una «startup city» non può morire così facilmente. Sono poche le realtà simili che sono state create nel mondo: «città libere», con regimi fiscali vantaggiosi per le aziende e poche regole per non imbrigliare lo slancio imprenditoriale delle startup tecnologiche. Non tutte riescono a realizzare l’utopia. Si veda il caso di Próspera, il paradiso liberista costruito all’interno di una zona economica speciale in Honduras e che oggi fatica a mantenersi in piedi, fra guai giudiziari e il malcontento degli abitanti locali.
Ma Forest City sta lottando per rimanere in vita. O almeno, sono altri a farlo per lei. Balaji Srinivasan è l’ex Chief Technology Officer di Coinbase ed ex partner della venture capital Andreessen Horowitz. Nel suo sangue scorrono tecnologia all’avanguardia e criptovalute. E nella sua mente sembra non esserci altra idea che quella di creare Stati decentralizzati, come dimostra il fatto di avere scritto un libro intitolato «The Network State: How to start a new country», cioè come fondare un nuovo Stato. In questo caso esiste già ed è al tempo stesso la sede della sua scuola per giovani tecno-ottimisti.
Fino a ora sono stati circa 400 gli studenti che sono passati dalla Network School, definita appunto «la comunità di frontiera dei tecno-ottimisti». Molti di loro, come riporta Bloomberg, sono imprenditori o hanno creato startup legate al mondo delle criptovalute. Tutti sono accomunati dallo stesso interesse per uno Stato che va oltre il concetto di Stato. E, soprattutto, tutti condividono le disponibilità economiche per rimanere iscritti nella costosissima scuola da 1.500 dollari al mese. Che, comunque, danno diritto a vitto e alloggio (condiviso con altri coinquilini), spazi dove poter lavorare e addirittura allenarsi. Oltre, ovviamente, le lezioni che impegnano tutta la giornata degli appassionati alunni. Di mattina si concentrano sulle attività a carattere più pratico, dal perfezionamento dei progetti nell’ambito delle crypto alle sessioni di allenamento in palestra, perché avere un fisico scolpito è parte del pacchetto ideologico (si veda l’ossessione per la longevità di Bryan Johnson, che figura fra gli “insegnanti” della scuola). Di pomeriggio, invece, si basano soprattutto su seminari e classiche lezioni frontali sugli argomenti più disparati, dalla storia dell’industrializzazione giapponese in epoca Meiji agli approfondimenti di natura tecnologica.
Essere ammessi nella scuola non è automatico e bisogna dimostrare di aderire alle idee fondanti dell’iniziativa. «Più rispetto hai per le istituzioni tradizionali e più rispetto hanno loro per te, meno sarai adatto come candidato», aveva scritto nel 2024 Srinivasan in un post in cui annunciava le prime iscrizioni. Non solo: «Dal punto di vista ideologico, la Network School è pensata per chi ammira i valori occidentali, ma riconosce anche che l’Asia è in ascesa e che il prossimo ordine mondiale sarà incentrato più su Internet, ovvero su un codice neutrale, che sulle istituzioni occidentali in declino o sullo Stato cinese in ascesa».
Chi ha deciso di iscriversi, lo ha fatto senza dubbio con convinzione. Così tanto che alcuni — come riporta sempre Bloomberg — avrebbero lasciato il lavoro o spostato il proprio business a Forest City per vivere pienamente l’esperienza utopica. Pochi esploratori delle frontiere che hanno deciso di lasciarsi tutto alle spalle per abitare una città che, secondo le ultime rilevazioni, non fa più di novemila abitanti ma che incarna lo spirito coraggioso del vero imprenditore liberista: giocarsi tutto, a costo di perdere tutto in un paradiso delle libertà che, secondo loro, non possono trovare negli Stati “tradizionali”.
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