Distribuzione iniqua della ricchezza e dominanza fiscale: sono gli ingredienti per una depressione da decade persa, secondo il segretario di Azione Carlo Calenda, ai margini del Forum Ambrosetti di Cernobbio.
La situazione fiscale attuale, commenta il senatore, è caratterizzata da un intervento sempre più ampio degli Stati all’interno dell’economia e da uno squilibrio nella distribuzione delle ricchezze. Si tratta di un atteggiamento non sostenibile a lungo che, sostiene l’ex ministro dello sviluppo economico, «potrebbe portare a una depressione economica paragonabile a quella del 1929».
Spesa pubblica come sostituto ai consumi
Calenda spiega che «quando tutto il valore aggiunto generato dal capitale non viene redistribuito al lavoro, difficilmente può essere redistribuito dalla fiscalità». Questo perché il capitale può circolare liberamente, quindi, aggiunge il senatore, «si sposta dove la fiscalità è più premiante». Gli effetti di tale dinamica si traducono in un rallentamento della domanda interna. È la ragione per cui i redditi reali delle persone non crescono e, aggiunge Calenda, questo diminuisce i consumi.
«Come hanno fatto fino a oggi i governi a compensare l’impatto del calo dei consumi sulla domanda aggregata?», si domanda il segretario di Azione. La risposta, secondo Calenda, sta nell’aumento della spesa pubblica e, conseguentemente, anche del debito statale.
La spirale del debito pubblico
L’ex rappresentante Ue delinea uno scenario potenzialmente distruttivo per l’economia globale: «Gonfiare il debito pubblico funziona un po’ come somministrare morfina: attenua il dolore, ma non risolve il problema. Allo stesso modo, anche consentire l’indebitamento privato serve a mascherare il fatto che il potere d’acquisto sta diminuendo.
Tuttavia, con l’avvento di nuove dinamiche economiche (come l’impatto dell’intelligenza artificiale), si rischia di arrivare a un punto critico: da un lato il debito pubblico diventa insostenibile, dall’altro i privati non riescono più a indebitarsi perché già troppo esposti e incapaci di ripagare. Questo doppio limite potrebbe preparare la prossima grande crisi». Per Calenda si tratterebbe di una situazione ben peggiore di quella che innescò la crisi del 2008 e gli effetti depressivi potrebbero essere analoghi a quelli della crisi del 1929.
Il giudizio su Meloni: in grado di garantire stabilità, ma continua a produrre declino
In merito alle iniziative del governo Meloni, nonostante un giudizio «positivo» in quanto «ha garantito una stabilità finanziaria che in questo momento è importante», Calenda evidenzia «un problema di execution rilevante, ci sono cose che continuano a non funzionare. Il problema fondamentale», prosegue Calenda, «è che a metà strada del percorso di governo manca una politica industriale ed energetica, una cosa inaccettabile. Inoltre, gli strumenti a supporto delle imprese sono inefficienti e, in tutto questo, il governo non accetta suggerimenti».
Sull’operato della Meloni il leader del Terzo Polo si esprime senza mezzi termini: «Continua a produrre declino. Poi è chiaro che se le alternative sono i pazzi che vogliono requisire le case private, aumentare la spesa pubblica, fare 100 redditi di cittadinanza e chiudere le aziende, allora meglio la Meloni. Certo. Però non possiamo accettare che la scelta sia tra il lento declino e il disastro.
L’alternativa liberale di Calenda: riforme incrementali per un consenso più solido
Per Calenda la risposta al mantenimento dello status quo Meloniano è il riformismo liberale. L’alternativa proposta da Azione è basata su riforme incrementali e non radicali. Viene preso in considerazione l’esempio dei dipendenti pubblici improduttivi: «Non puoi licenziare in tronco i dipendenti pubblici che non lavorano, perché nessuno ti voterebbe e non riusciresti neanche ad arrivare al governo».
Tuttavia, continua l’ex ministro dello sviluppo economico, «quello che puoi fare è costruire un meccanismo come io ho fatto al ministero, per cui il dipendente del ministero viene fatto lavorare. A quelli che non lavorano non dai responsabilità, cioè non gli fai incasinare il paese. Questo è un esempio di riforma incrementale che puoi fare».
Un altro esempio di riforma menzionato dal Senatore consiste «nell’affamare la bestia». Per rendere chiaro il concetto, Calenda prende in considerazione le aziende idriche italiane e spiega: «Faccio l’esempio dell’acqua, dove hai 2500 società partecipate dai comuni, dalle regioni, dagli enti che non riescono a fare investimenti. Devi avere una società della rete idrica nazionale quotata in borsa, perché quello consente di fare gli investimenti ed economie di scala. Inoltre, ti permette di eliminare – con opportune razionalizzazioni della pianta organica – un bel po’ di posti di lavoro che oggi non servono a niente. Tra questi i membri dei Cda e il personale che non lavora».
Calenda: Nucleare? Imprescindibile
Sul fronte energetico, per il leader di Azione «l’Italia non può fare a meno del nucleare: deve tornare al nucleare, ma nel mentre deve sganciare non le rinnovabili dal gas, che è una cosa teorica, soprattutto per chi importa un sacco di energia, è molto difficile da fare. Uno, chi produce e chi ha le concessioni idroelettriche ha due scelte davanti: o dà energia nel rinnovo a prezzo calmierato alle imprese portandola fuori borsa, o non può continuare a pensare di avere investimenti ammortizzati, produrre a un costo di 20 euro a megawattora e vendere a 140 euro a megawattora, perché è una indebita rendita di posizione che società che hanno Ebit a livello di Hermès, perché di questo si tratta, stanno estraendo valore dalle aziende italiane. E quindi il governo deve avere il coraggio di fare questo passo se vuole tenere la manifattura in Italia».
Infrastrutture: prioritario farsi trovare pronti
Tuttavia, prima di parlare di transizione al nucleare, bisogna anche considerare un discorso parallelo: quello delle infrastrutture. «Se l’Italia va verso il nucleare, questo va fatto molto più rapidamente di quanto lo sta facendo il governo. A quel punto dobbiamo prevedere che almeno Brindisi e Civitavecchia vengano date a prezzo calmierato alle imprese italiane.
Così più o meno con un pò di gas release e qualche altro provvedimento si riescono a coprire quei 100 terawatt che servono alle imprese per stare sui 60-65 euro a megavattora. A questo aggiungo che questo Paese ha bisogno di un piano in cui si facciano 11-12 termovalorizzatori. Perché è indegno il fatto che noi continuiamo a mandare indifferenziata in Finlandia con emissioni e costi giganteschi».
Mediobanca e Generali dal lato della Francia
Tra i vari temi trattati dall’ex ministro dello sviluppo economico, figura anche anche quello delle banche. Il Senatore si è soffermato su Mediobanca e Generali, alla luce dei suoi trascorsi passati con gli istituti di credito.
«Purtroppo ho avuto a che fare molto con Mediobanca sulle crisi bancarie e molto con Generali e diciamo che me le sono sempre trovate dal lato della Francia», dichiara Calenda a margine dei lavori prima di parlare dell’ipotesi di un tassazione per colpire gli extra profitti delle banche tagliando corto: «Ma ogni anno.. La Robin Hood Tax, la tassa sulle banche… Quante volte a Cernobbio si è parlato di queste cose? Bene, non hanno mai funzionato. Qui si lanciano un sacco di idee a cavolo, il dato politico vero è questo, il governo ha consenso tra gli imprenditori pur non facendo assolutamente nulla dagli incentivi alle imprese, all’energia per gli imprenditori, semplicemente perché le opposizioni fanno proposte stravaganti». (riproduzione riservata)
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