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USA: Trump e l’emergenza permanente


Il Dipartimento della Difesa americano cambia nome. D’ora in poi, dovrà chiamarsi ‘Dipartimento della Guerra’. Lo ha stabilito il presidente Donald Trump, ripristinando la denominazione in uso fino agli anni Quaranta per trasmettere un messaggio di forza e determinazione. “L’esercito degli Stati Uniti è la forza combattente più forte e letale al mondo e il presidente ritiene che questo Dipartimento debba avere un nome che rifletta il suo potere senza pari e la sua prontezza nel proteggere gli interessi nazionali”, spiega la Casa Bianca in una nota informativa. “Avevamo una storia incredibile di vittorie quando era il Dipartimento della Guerra, poi lo abbiamo cambiato in Dipartimento della Difesa”, aveva detto Trump nel corso di un briefing nello Studio Ovale la scorsa settimana, attribuendo il cambiamento alle “politiche woke” e al “politically correct”. L’ordinanza stabilisce che il Segretario alla Difesa Pete Hegseth sarà noto come ‘Segretario alla Guerra’ e, sebbene non siano state diffuse cifre, i media statunitensi prevedono costi significativi per il rebranding di centinaia di agenzie, loghi, indirizzi e-mail e uniformi. Inizialmente il dipartimento utilizzerà il nuovo nome come ‘titolo secondario’, mentre l’amministrazione cercherà di rendere il cambiamento permanente attraverso l’approvazione del Congresso. Sebbene la mossa fosse stata più volte anticipata, in molti ne hanno sottolineato il tempismo: la decisione, infatti, arriva subito dopo la presentazione da parte della Cina di una serie di nuove armi, droni e altri equipaggiamenti militari in una grande parata che molti hanno interpretato come un chiaro messaggio di sfida agli Stati Uniti e ai loro alleati.

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Emergenza, the new normal?

Il cambio di nome del dipartimento segna il 200° ordine esecutivo firmato dal presidente da quando è entrato in carica. Finora, in soli sette mesi, Trump ha firmato più ordini esecutivi di quanti non abbia fatto Joe Biden nell’arco della sua intera presidenza e, in generale, molti più dei suoi predecessori. Così facendo – concordano gli osservatori – il tycoon sta estendendo e mettendo alla prova i limiti del potere presidenziale come nessun altro prima di lui aveva fatto. Dichiarando emergenze tutti i dossier che gestisce, dalla politica commerciale all’immigrazione, e ricorrendo all’uso dello strumento ad esse riservato – gli ordini esecutivi, appunto – Trump bypassa i normali iter legislativi e, di fatto, governa per decreto. È così che ha imposto dazi, sostenendo fosse  un’emergenzala necessità di contenere i deficit commerciali; hadeportato immigrati senza un giusto processo, rivendicando la necessità contrastare l’emergenza posta dalle gang venezuelane. E ha persino inviato la Guardia Nazionale in città come Los Angeles con l’obiettivo di rispondere all’emergenza di sedare proteste e criminalità. Lo stato di eccezione perenne, in buona sostanza, permette al presidente di fare quello che vuole, compreso inviare militari per le strade e dichiarare l’università di Harvard una “minaccia per la democrazia”.

Parola alla Corte Suprema?

In questa cornice, in cui l’opposizione è perennemente all’inseguimento, la giustizia diventa l’ultimo contrappeso. Finora i tribunali di grado inferiore sono stati disposti a intervenire e contrastare gli eccessi trumpiani. La Corte Suprema, al contrario, si è dimostrata molto più disponibile nei confronti della Casa Bianca. Ma presto l’organo di giustizia supremo dell’ordinamento americano si troverà ad affrontare la prova più difficile: una recente sentenza della Corte d’Appello ha infatti invalidato l’autorità con cui Trump imponeva dazi unilaterali. Il team del presidente, però, ha già presentato ricorso e la questione approderà al massimo organo giudiziario. Il pronunciamento è considerato cruciale sia per la questione dell’imposizione dei dazi in sé, sia per la questione, ben più ampia e significativa, dell’autorità presidenziale in generale. Se la Corte dovesse stabilire che Trump ha oltrepassato i limiti, sarebbe il primo caso in cui i giudici interverranno per frenarlo. Ma se, al contrario, dovesse sostenere la affermazione di emergenza invocata da Trump, si tratterebbe di una decisione di enorme portata, che segnalerebbe la completa abdicazione della Corte al potere di revisione. “Affermare che il futuro del sistema costituzionale di pesi e contrappesi dipenda dall’operato della Corte non è esagerato”, osserva la rivista The Atlantic.

Una via per l’autoritarismo?

Negli Stati Uniti si moltiplicano le voci dissenzienti, secondo cui tutte queste emergenze altro non sono che pretesti per accumulare potere. “Non c’è alcuna emergenza criminalità a Washington, nessuna invasione al confine e nessuna minaccia straordinaria a cause del deficit commerciale. C’è solo l’immaginazione febbrile del presidente”, osserva il New York Times secondo cui l’emergenza “è negli occhi di chi guarda”. L’abuso dei poteri di emergenza è tutt’altro che un’esclusiva dell’attuale amministrazione. Ma Trump ha portato questa tendenza a nuovi livelli fino a renderla una minaccia per lo stato di diritto. “In qualsiasi regime di eccezione, è fondamentale che il fattore scatenante sia attentamente definito e applicato con cautela, per evitare che l’emergenza diventi la nuova normalità. Eppure, questo sembra essere esattamente ciò che Trump vuole: governare in modalità di crisi perpetua”, afferma David Pozen, professore di giurisprudenza alla Columbia University. Da una prospettiva storica, il ricorso di Trump all’uso dei poteri di emergenza rientra nella classica strategia da manuale per l’autoritarismo: dichiarare un’emergenza “per far sì che l’eccezione ingoi la regola e non torni mai più alla norma”, scriveva nel 1922 il filosofo fascista Carl Schmitt, secondo cui “Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione”.

Il commento

Di Mario Del Pero, ISPI e Sciences Po

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“Nato nel 1947, il dipartimento della Difesa fu il prodotto – assieme alla CIA e al Consiglio di Sicurezza Nazionale – di una profonda riorganizzazione istituzionale, necessaria per meglio coordinare i diversi apparati di sicurezza del paese nella transizione dalla Seconda Guerra Mondiale alla Guerra Fredda. Proporre oggi di tornare a chiamarlo ‘dipartimento della Guerra’ ha una funzione principalmente simbolica e nondimeno assai rilevante. Serve per trasmettere l’idea che gli Usa siano nuovamente in uno stato di guerra – peraltro esplicitamente evocato in un ordine esecutivo di Trump secondo il quale è in atto un’invasione degli Stati Uniti da parte del Venezuela. Uno stato di guerra, questo, centrale nella narrazione apocalittica di Trump, e usato per descrivere sia le minacce esterne sia quelle interne, in particolare le città (democratiche) che sarebbero infestate dalla criminalità e dal degrado. Al quale consegue una situazione di emergenza che giustificherebbe i poteri eccezionali richiesti da Trump e la patente deriva autoritaria che ne consegue”



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