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storia, rischi e regole dell’igiene digitale


Smartphone, pc, social, cloud: la nostra vita è sempre più intrecciata con il mondo digitale. Ma ogni clic nasconde rischi e la sicurezza informatica non è più un’esclusiva dei tecnici informatici o delle grandi aziende. Un’email sospetta, un QR code truccato, una password troppo semplice possono aprire la porta a truffatori e criminali informatici. Il pericolo digitale è per tutti: istituzioni, cittadini, imprese, pubbliche amministrazioni. Al centro di questa consapevolezza di pericolo si colloca il concetto di cyber hygiene, ovvero quell’insieme di comportamenti quotidiani e buone pratiche che servono a proteggere dati, dispositivi e reti dalle minacce informatiche. Ma da dove nasce questa esigenza? E come si è evoluta la risposta normativa e tecnologica nel tempo?

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Il fattore umano: l’anello debole della sicurezza

La tecnologia può essere sofisticata, ma il punto debole resta spesso l’utente. Un clic frettoloso, una password banale, un file aperto senza controllare la provenienza: sono errori comuni che i cybercriminali sfruttano con abilità. Per questo la cultura della sicurezza digitale è fondamentale: buone pratiche e buon senso devono diventare automatismi, da applicare ogni giorno, a casa come sul lavoro.

Una minaccia che nasce da lontano

I primi segnali di allarme sulla sicurezza digitale risalgono agli anni ’80, quando virus come Elk Cloner e Brain iniziarono a diffondersi nei sistemi informatici. Ma è con l’avvento di Internet e dei personal computer che il pericolo diventa sistemico. L’attacco del worm ILOVEYOU, il 4 maggio 2000, fu un campanello d’allarme globale: venne inviato come allegato ad un messaggio email e  riuscì ad infettare olre 10 milioni di computer in poche ore con danni economici incalcolabili.

Dopo il worm ILOVEYOU (2000), che segnò una svolta storica per la rapidità e la portata globale dell’attacco, gli attacchi informatici si sono evoluti in quattro direzioni principali:

Anni 2000: la stagione dei virus di massa

I malware continuano a diffonsersi via email e come allegati infetti (Mydoom, Sobig),

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L’obiettivo è la visibilità e la diffusione indiscriminata, più che il guadagno economico,

Cominciano a diffondersi i primi worm di rete come Code Red e SQL Slammer, capaci di colpire migliaia di sistemi in pochi minuti.

Metà anni 2000 – primi 2010: l’era dei trojan e dei botnet

Nascono i trojan nel mondo bancario (Zeus, SpyEye), mirati al furto di credenziali e sottrazione di denaro, li hacker cominciano a creare botnet: reti di computer infetti usati per spam, attacchi DDoS o vendita di accessi, cresce il fenomeno del cybercrime organizzato, con i primi mercati neri online di malware “pronto all’uso”.

2010–2016: la cyber-guerra e gli attacchi mirati

Si diffondono dei rootkit avanzati e degli APT (Advanced Persistent Threats): attacchi su misura contro governi, industrie e infrastrutture critiche, fece scalpore il malware Stuxnet (2010)  usato per sabotare impianti nucleari iraniani di Natanz, Gli attacchi diventano strumenti di geopolitica, oltre che di crimine economico.

2017 ad oggi: ransomware e attacchi alla supply chain

I programmi informatici di attacco (malware) vengono trasformati in Ransomware (WannaCry, NotPetya nel 2017) diventano la minaccia principale con dati che vengono cifrati e “sequestrati” con richiesta di riscatto; si diffondono attacchi alla catena di fornitura (SolarWinds 2020) che colpiscono migliaia di organizzazioni partendo da un unico fornitore compromesso, cresce il fenomeno del phishing mirato e del business email compromise (BEC), molto redditizi; negli ultimi anni, emergono anche truffe basate su deepfake vocali e video, e malware che sfruttano l’intelligenza artificiale per rendersi più difficili da individuare.

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Il cyberspazio è diventato un vero e proprio dominio operativo, ed è considerato strategico al pari di terra, aria, mare e spazio. Ed è in questa “dimensione” che gli attacchi sono passati da essere atti spettacolari e “artificiali” (virus e worm che infettavano in massa) a diventare armi economiche, politiche e militari, sempre più mirate, sofisticate e redditizie. 

A fronte di ciò, anche la risposta normativa si è evoluta rapidamente.

Il quadro normativo: dall’Europa all’Italia

A livello europeo, il primo passo importante è stata la Direttiva NIS (Network and Information Security n. 1148/2016), che impone agli Operatori di servizi essenziali (soggetti, pubblici o privati, che forniscono servizi essenziali) ed ai Digital Service Provider (persone giuridiche che forniscono servizi e-commerce, social network, cloud computing, motori di ricerca, financial provider) specifici oneri:

adozione di misure tecniche e organizzative adeguate alle gestione dei rischi e a prevenire e minimizzare l’impatto degli incidenti di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi, al fine di assicurare la continuità del servizio;

obbligo di notifica, senza ingiustificato ritardo, degli incidenti di sicurezza con impatto rilevante, rispettivamante sulla continuità e la fornitura del servizio.

Alla Direttiva NIS è seguito il Regolamento GDPR (n. 2016/679), che protegge i dati personali con rigide prescrizioni di trattamento, e, successivamente, la Direttiva NIS 2 (n. 2555/2022), entrata in vigore in Italia il 16.10.2024, che amplia gli obblighi per le imprese e per le pubbliche amministrazioni.

In Italia, la risposta normativa è articolata principalmente su:

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– il Decreto-legge n. 105/2019 ha istituito il Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica per le infrastrutture critiche

– nel 2021 è nata l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN), con il compito di coordinare, prevenire e intervenire sugli incidenti informatici che coinvolgono enti pubblici e soggetti strategici.

I casi italiani: quando l’attacco è a casa nostra

Non si tratta solo di teoria. Gli attacchi informatici in Italia sono sempre più frequenti e colpiscono anche settori nevralgici, nel 2024 si sono registrati 146 attacchi informatici (il 10% degli attacchi nel mondo):

– Regione Lazio (2021): un attacco ransomware ha bloccato il portale sanitario regionale, impedendo perfino le prenotazioni vaccinali.

– Comune di Palermo (2022): un’intrusione ha paralizzato i servizi digitali comunali, compresi anagrafe, certificati e sito istituzionale.

– Ospedali e aziende sanitarie sono bersagli ricorrenti di phishing e furti di dati sanitari, spesso con ripercussioni dirette sulla cura dei pazienti.

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Questi episodi evidenziano come la cybersicurezza sia oggi una questione di interesse pubblico, strettamente legata al buon funzionamento della macchina statale e alla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.

Cyber Hygiene: cosa fare in concreto

Il termine “cyber hygiene” deriva dal mondo medico: proprio come ci laviamo le mani per prevenire le infezioni, così dobbiamo “pulire” e proteggere le nostre identità digitali. Parliamo quindi di un approccio quotidiano alla sicurezza, fatto di attenzione, aggiornamenti e prudenza.

Le buone pratiche di igiene digitale includono:

  • l’uso di password robuste e diverse per ogni servizio;
  • non salvare le credenziali sul browser;
  • l’autenticazione a due fattori (2FA);
  • diversificare i livelli di accesso nei sistemi condivisi;
  • disconnettersi al termine della navigazione;
  • backup frequenti dei dati;- aggiornamenti regolari di software e dispositivi;
  • installazione di antivirus e firewall affidabili;
  • prudenza nell’aprire email sospette o link sconosciuti;
  • cifrare i dati sensibili;
  • eseguire backup frequenti;
  • formazione e aggiornamento del personale nelle organizzazioni.

Sono azioni semplici, ma potentissime, capaci di ridurre i rischi degli attacchi più diffusi.

Alcune tipologie di attacchi e suggerimenti per difendersi

Il phishing resta una delle truffe più diffuse: una mail che imita la banca o un ente pubblico e che chiede di cliccare su un link. Basta un attimo per consegnare a sconosciuti password, identità e soldi.

Anche i QR code possono nascondere siti fraudolenti (QRishing). Attenzione quindi a dove conducono e usiamo solo app affidabili per la scansione di tali codici.

I primi strumenti idonei a difendersi sono i nostri comportamenti e le nostre abitudini digitali:

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– controllare sempre il mittente e l’header dei messaggi.

– passare il mouse sopra i link per verificare la destinazione reale.

– diffidare da richieste urgenti, errori grammaticali o imperfezioni grafiche, offerte troppo allettanti.

Nel mondo digitale la password è il primo baluardo di difesa, ma spesso viene trascurata. In molti casi, troppo spesso, si rivela essere fin troppo semplice, viene usata per più account, e quasi mai aggiornata. La ripetizione di tali comportamenti costituiscono errori che favoriscono i furti di identità e di informazioni delicate. Alcune semplice regole possono rendere la password meno vulnerabile:

– almeno 8 caratteri, con numeri, simboli e lettere maiuscole;

– niente riferimenti personali (date di nascita, nomi, città);

– cambi periodici;

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– non utilizzare la stessa password su più servizi;

– usare un password manager o generatori sicuri;

– attivare sempre l’autenticazione a due fattori.

Tali regole risultano vane nel momento in cui anche una password complessa non viene custodita correttamente ad esempio lasciandola in chiaro sul dispositivo o condividendola con altri.

Anche i social possono diventare facile strumento di attacchi digitali nonché fonte di dati che ci riguardano. Le foto, i post, i like sono tutte informazioni che una volta pubblicate sui social divengono elementi preziosi per le aziende che possono calibrare le loro azioni di marketing ed anche per i truffatori/criminali. La troppa condivisione di dati e momenti può esporci a molteplici rischi tra i quali il furto d’identità, la manipolazione con tecniche di social engineering, conseguenze per la nostra sicurezza personale. Nell’era moderna è difficilmente ipotizzabile la rinuncia ad una vita sociale digitale ma alcuni accorgimenti possono rendere difficile il lavoro a chi cerca di colpirci:

– limitare la visibilità dei contenuti, impostando profili privati.

– evitare la geolocalizzazione quando non necessaria.

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– usare email dedicate per i social, separate da quelle personali.

– controllare periodicamente le impostazioni della privacy.

La misura che può salvare i nostri dati in caso di attacco ransomware o di guasto al sistema restano sempre i backup meglio se con copie multiple, anche offline. Certo che i sistemi di archiviazione in cluod sono ormai diventati indispensabili per i backup ma anche nelle attività quotidiane perché archiviare in cloud risulta comodo e duttile, ma può diventare rischioso se non gestito con attenzione. Si dovrebbero separare le tipologie di contenuti (sensibili, condivisi, pubblici), impostare dei controlli regolari, aggiornare le password e usare sempre l’autenticazione a 2 fattori e sistemi di crittografia.

Eppure le trappole digitali continuano a mietere milioni di vittime. È sempre il nostro comportamento a fare la differenza: distrazione, monotonia, falsa percezione di sicurezza sono i principali fattori umani. Spesso navighiamo da casa convinti di essere al sicuro, e abbassiamo la guardia. Ma la rete è uno spazio pubblico, dove il pericolo è sempre dietro l’angolo.

L’intelligenza artificiale: alleata o minaccia?

Nell’attuale scenario, un ruolo sempre più rilevante è svolto dall’intelligenza artificiale (IA), che rappresenta al tempo stesso una risorsa e un rischio.

Sul fronte positivo, l’IA è già oggi uno strumento chiave per la difesa informatica:

– identifica comportamenti anomali in tempo reale;

– anticipa vulnerabilità e attacchi;

– automatizza le risposte a incidenti critici;

– supporta i team di sicurezza nell’analisi delle minacce.

Molte aziende e pubbliche amministrazioni stanno integrando sistemi di IA nei loro Security Operation Center (SOC), per aumentare la rapidità e la precisione nella gestione degli allarmi.

Ma l’IA è anche una nuova arma nelle mani dei criminali digitali:

– genera deepfake credibili per truffe o disinformazione;

– scrive email di phishing iper-realistiche;

– crea malware adattivi che sfuggono ai controlli tradizionali;

– analizza i social media per costruire attacchi di ingegneria sociale su misura.

Nel rapporto Europol – IOCTA, l’intelligenza artificiale sta abbassando le barriere tecniche agli attacchi: anche chi non è un esperto può oggi lanciare offensive sofisticate grazie a strumenti “as-a-service” basati su IA (si tratta di malware Ramsomware sviluppati da hacker e messi a disposizione di altri hacker).

Conclusione

Nel tempo dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione pervasiva, la cyber hygiene non è più opzionale. È un dovere individuale e collettivo. Riguarda la protezione dei nostri dati, della nostra identità, della nostra stessa democrazia digitale. Nessuna tecnologia, per quanto avanzata, potrà mai sostituire la consapevolezza e l’educazione alla sicurezza. Solo con comportamenti corretti, strumenti adeguati e una cultura diffusa della prevenzione possiamo costruire una società digitalmente resiliente, capace di affrontare le sfide del presente e del futuro.

La cyber hygiene sia chiaro a noi tutti non è un optional tecnico, è una responsabilità comune.

Ogni volta che scegliamo una password robusta, diffidiamo di un messaggio sospetto o aggiorniamo il nostro smartphone, non proteggiamo solo noi stessi: contribuiamo a rendere più sicuro l’intero ecosistema digitale.

Per approfondire:

  • rapporto CLUSIT sulla Cybersecurity nell’Italia e nel mondo 2025
  • www.acn.gov.it
  • Europol Spotlight – Cyber Attacks: the apex of crime as a service
  • https://digital-strategy.ec.europa.eu/it