Negli ultimi anni il dibattito sull’innovazione digitale nel settore culturale ha assunto un ruolo centrale, spesso oscillando tra entusiasmi retorici e diffidenze passive. La pandemia ha imposto una digitalizzazione d’urgenza; i fondi PNRR hanno poi portato risorse ingenti. Ma oggi, spente le sirene dell’emergenza, una domanda scomoda si impone: quanto queste risorse hanno davvero innalzato il livello di maturità digitale delle istituzioni culturali italiane?
Abbiamo assistito a un fiorire di tour virtuali, piattaforme temporanee, social media gestiti “in emergenza”. Ma siamo sicuri che tutto questo abbia inciso sulle capacità interne di governare il cambiamento? Non rischiamo di aver moltiplicato esperienze occasionali senza trasformarle in pratiche strutturali?
La verità è che innovare non è più un “di più”, ma una condizione di sopravvivenza. E la cultura italiana, con il suo patrimonio straordinario, continua ad accumulare gap significativi sui temi dell’innovazione a base creativa e tecnologica.
I LIVELLI DI MATURITÀ DIGITALE
Per orientarsi in questo percorso può essere utile adottare una mappa concettuale che descrive le diverse fasi di crescita digitale di un’organizzazione culturale:
- Assente: l’istituzione non ha politiche attive in ambito digitale, limitandosi a un sito web vetrina o ad una pagina social.
- Occasionale: la dimensione digitale viene affrontata solo in risposta a fattori esterni (un finanziamento, una proposta estemporanea di un partner esterno, un trend di mercato), senza una strategia né monitoraggio degli impatti.
- Sperimentale: emerge una visione più organica. Si avviano progetti pilota e si testano nuove tecnologie e linguaggi, ma senza piena integrazione con le attività ordinarie.
- Sostenibile: il digitale diventa parte della routine organizzativa. Nascono figure professionali dedicate all’interno dell’organigramma (con tutti i limiti del caso per i musei pubblici), i progetti sono monitorati e migliorati grazie ai feedback degli utenti.
- Generativo: il livello più avanzato. Le istituzioni non si limitano a utilizzare strumenti digitali, ma diventano esse stesse attori di innovazione, collaborando con imprese creative e start-up per generare nuove soluzioni ed economie.
La quasi totalità dei musei, biblioteche e teatri italiani oggi si collocano ancora tra i primi tre livelli con una preoccupante predominanza di assenza o occasionalità nelle politiche digitali. Acquisire consapevolezza di questa traiettoria rappresenta un primo passo per maturare. In fondo innovare non è più un “di più”, bensì un elemento strutturale di sostenibilità e sviluppo.
DAL CONSUMO ALLA PRODUZIONE CULTURALE
In un contesto storico in cui si parla sempre più spesso di “de-statalizzare la cultura”, è lecito porsi l’interrogativo opposto. Cosa accadrebbe se i musei divenissero, anche, luoghi in cui si crea nuova arte? E se le biblioteche fossero luoghi in cui, anche, si scrivono e pubblicano libri? Se i giardini botanici fossero luoghi di sperimentazione delle nuove tecnologie green?
Un tempo il museo era luogo di conservazione e “consumo” culturale. Oggi può diventare spazio di produzione, un laboratorio di sperimentazione. Alcuni esempi lo dimostrano: il New Museum di New York con l’incubatore “NEW INC”, il MArTA di Taranto con il laboratorio di artigianato digitale, o il Rijksmuseum di Amsterdam con la piattaforma “Studio”, che permette di scaricare e riutilizzare le opere digitalizzate.
Qui il digitale non è solo strumento di mediazione, ma piattaforma abilitante: apre a processi di co-creazione, contaminazione con startup e imprese creative, sperimentazione di linguaggi inediti.
Al netto dei casi specifici, è possibile declinare tre macro-approcci alla generazione di innovazione in seno alle istituzioni:
MUSEO RICERCA: L’organizzazione culturale si dota di figure professionali interne che apportano nuove visioni e competenze. Penso a figure oggi imprescindibili come il CTO (chief technology officer) o Chief Experience Officer (CXO) in grado di governare la complessità tecnologica e quindi guidare il luogo culturale nell’abbracciare con maturità i nuovi processi e prodotti. Purtroppo per l’attuale legislazione vigente, i musei statali ed in generale pubblici non possono bandire concorsi per assumere internamente queste “nuove” figure con il risultato di una loro assenza. Discorso diverso per istituzioni private o fondazioni che presentano una maggiore flessibilità nella decisione dell’organigramma. E’ importante sottolineare come queste figure professionali in grado di governare le tecnologie ed immaginare il futuro non dovrebbero andare a formare un dipartimento “digitale” ma essere parte integrante del ciclo di progettazione di ogni processo e servizio sia rivolto internamente che esternamente all’organizzazione. Il digitale non è qualcosa di altro rispetto al fisico, ma rappresenta una delle cinghie di trasmissione delle esperienze.
MUSEO INCUBATORE: L’organizzazione culturale ospita nei propri spazi creativi e start up a tema esterne. Pur rimanendo soggetti giuridicamente distinti, ciascuno impara dall’altro per osmosi e beneficia del know how e competenze mancanti nel proprio organigramma. Ed è così che una start up operante nella sperimentazione delle intelligenze artificiali generative può validare il proprio prototipo nel museo e, viceversa, il museo ricevere formazione e sperimentazione attiva. Pragmaticamente il Museo può mettere a disposizione spazi di co-working o accelerare la creatività privata mettendo a disposizione servizi e, finanche, capitali come negli esempi precedentemente citati nel mondo anglosassone.
MUSEO PIATTAFORMA: È una vita alternativa alle precedenti che non prevede assunzione di nuove figure nell’organigramma e tantomeno il diretto investimento di spazi o risorse in start up esterne. L’organizzazione culturale diventa una piattaforma immateriale mettendo a disposizione servizi e contenuti a cui chiunque nel mondo può accedere e farne base di elaborazione ai fini di nuove creazioni. Un museo che diventa SAAS (“software as a service” generando eredità a partire dai propri contenuti che creativi da tutto il mondo possono utilizzare e declinare attraverso differenti tecnologie e linguaggi. Il caso più duraturo e studiato è quello del Rijksmuseum di Amsterdam che da oltre una decade consente a chiunque di utilizzare, anche con libera licenza commerciale, le proprie opere digitalizzate per trasformarle in oggetti di design o opere multimediali
LO SCENARIO MULTI-PLATFORM: CINQUE TRAIETTORIE POSSIBILI
Parallelamente ai livelli di maturità, le istituzioni possono muoversi in cinque scenari di sviluppo digitale, che spesso coesistono:
- Digitale estensivo – il digitale supporta la comunicazione: social, siti web, app informative. È un livello basico che dovrebbe essere ormai parte integrante delle politiche culturali e pertanto non merita, in questa sede, ulteriori approfondimenti.
Esempio: una biblioteca che aggiorna i lettori tramite Instagram e newsletter.
- Digitalizzazione – attività nate nel fisico vengono trasposte online: virtual tour, dirette streaming, chatbot. Anche questo passaggio è stato ampiamente dibattuto anche se, ancora nel 2025, è visto come un fine e non come un momento di inizio di una strategia digitale. Digitalizzare significa mettere in campo un’operazione meramente tecnica di travaso di contenuto dalla sua essenza analogica ad un database digitale. Non genera nuova creatività, non coinvolge figure artistiche nel processo e soffrirà di una veloce obsolescenza perché i supporti ed i formati digitali cambiano velocemente rendendo il lavoro, e l’investimento, di fatto inutili se non vi è qualcuno che ne sviluppi il potere trasformativo e generativo. Spesso finiscono per rinchiudere ulteriormente il contenuto culturale reso inaccessibile anche nella sua trasposizione digitale in assenza di database liberamente consultabili e con interfacce smart.
Esempio: un teatro che trasmette le opere in live streaming su YouTube.
Digitale parzialmente nativo – progetti che pur nascendo da radici pre-esistenti, ad esempio gli oggetti di una collezione, vengono rielaborati digitalmente dando vita a qualcosa di nuovo in cui radici e ali si fondano.
Esempio: Father and Son del Museo Archeologico Nazionale di Napoli che, pur partendo da luoghi e collezioni esistenti sviluppa intorno una nuova narrativa e modalità di accesso all’esperienza attraverso un videogioco.
- Digitale nativo – esperienze progettate per vivere esclusivamente online, con linguaggi propri in grado di rompere gli inveterati modelli di produzione, circuitazione e fruizione culturale. Si tratta di creazioni ex novo che non attingono a radici culturali pre-esistenti.
Esempio: I progetti di musei interattivi del collettivo giapponese Teamlab.
Sebbene con nomenclature differenti, ho avuto già il piacere di affrontare queste tematiche in un precedente articolo apparso su Letture Lente nel 2023 e pertanto ne consiglio la lettura per approfondire (https://www.agenziacult.it/letture-lente/era-digitale/le-culture-del-xxi-secolo/).
- Transmedia Figitale – Negli ultimi anni, molte istituzioni culturali hanno adottato strumenti digitali per migliorare l’accessibilità e l’esperienza dei visitatori. Un’app mobile, un’audioguida in realtà aumentata, un videogioco, una pagina Instagram ben curata; singolarmente ognuno di questi elementi offre valore, ma come possono diventare parte di una visione più ampia? Come si può creare un’esperienza culturale che attraversi più piattaforme e contesti, parlando linguaggi diversi senza perdere coerenza? La risposta sta nell’adozione di una strategia transmediale figitale, un approccio che permette al pubblico di vivere un’unica esperienza attraverso differenti tecnologie e linguaggi (AR, VR, AI, Videogames, fumetti, installazioni fisiche). Un unico grande universo narrativo ed esperienziale che si dipana attraverso differenti apporti fisici e digitali superando l’idea di singole esperienze isolate e non comunicanti tra di loro. Questo approccio apre alla dimensione figitale, in cui reale e digitale si intrecciano fino a diventare indistinguibili. Non più “o dentro il museo o online”, ma un ecosistema fluido, dove un visitatore può entrare attraverso un videogioco e poi visitare fisicamente il museo, o viceversa.
Si pensi al caso studio italiano della “Balena Giuliana” portato avanti dal Museo Archeologico Nazionale di Matera attraverso un racconto dislocato lungo tre linguaggi differenti.
A fine 2022 una installazione digitale immersiva è stata collocata al piano terra del museo Domenico Ridola offrendo ai visitatori in presenza un’esperienza fortemente emotiva e narrativa legata alla scoperta e musealizzazione di uno dei più grandi fossili del Pleistocene mai rinvenuti. Parallelamente il fumetto “La Regina degli Abissi” estendeva la narrazione ed ampliava il pubblico intercettando potenziali visitatori esterni al museo. Infine nel 2023 la strategia transmediale giungeva a termine con la pubblicazione del videogioco mobile “A Whale’s Journey” destinata ad un pubblico mondiale.
Una strategia a cerchi concentrici per raggiungere differenti tipologie di pubblico in magnitudini geografiche via via progressive. Tre progetti autonomi che raccontano, da angolature differenti, la storia della Balena Giuliana ma che fruiti complessivamente ampliano la narrazione singola dando vita ad una esperienza transmediale.
Su una scala più ampia, il Comune di Dossena (BG) popolato da 900 abitanti ha da alcuni anni intrapreso una grande infrastrutturazione transmediale figitale composta da interventi fisici come il recupero delle antiche miniere dove oggi è possibile avventurarsi sia a livello museale che di parco avventura, la realizzazione di un ponte tibetano di oltre 500 metri, la creazione di percorsi artistici tra i boschi ed anche digitali come installazioni immersive nelle miniere, la realizzazione di app di esplorazione del territorio e tour digitali del territorio.
ABSTRACT
Fabio Viola explores the digital transformation of cultural institutions in Italy, questioning the real impact of emergency-driven initiatives and public funding. By outlining levels of digital maturity and innovative models—from research-driven museums to transmedia phigital strategies—he highlights the urgent need to move beyond occasional projects toward structural, generative innovation.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link