Negli ultimi giorni sono esplose profonde proteste in Indonesia, Filippine e Malesia. I motivi sono sempre gli stessi: i privilegi della classe politica e la corruzione dilagante.
Sono giorni di profonde proteste contro la corruzione e la classe politica nel Sudest asiatico. Le rivolte più diffuse e violente riguardano l’Indonesia, dopo che a fine agosto è stato approvato un nuovo aumento di stipendio per i parlamentari. Migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro il carovita e per chiedere stipendi più adeguati. L’uccisione dell’autista di un moto-taxi da parte della polizia, durante le proteste, ha fatto salire ulteriormente la tensione. Nelle Filippine i disordini sono invece scoppiati dopo che è venuto allo scoperto un giro di presunte tangenti nei progetti governativi di controllo delle inondazioni. In Malesia, infine, il modo veloce e approssimativo con cui è stata approvata la tanto attesa legge contro la corruzione ha suscitato proteste da parte delle opposizioni e della società civile.
Le proteste in Indonesia
In Indonesia la tensione è salita a partire dal 25 agosto. Migliaia di persone sono scese in piazza nella capitale Jakarta per protestare contro un aumento dei benefit economici dei parlamentari, il cui stipendio è circa dieci volte il salario medio nel paese. Al centro delle rivendicazioni, in particolare, un nuovo bonus per l’alloggio per i parlamentari di circa 3mila dollari.
L’Indonesia sta vivendo un periodo di austerità e autoritarismo, da quando nel febbraio 2024 il potere è stato preso dal presidente Prabowo Subianto, vicino ai militari. Nel corso dei mesi nel paese sono stati approvati pesanti tagli a sanità, istruzione ed educazione, mentre una legge approvata lo scorso marzo ha spianato la strada all’assunzione dei militari in comparti civili, compresa l’industria e l’agricoltura.
Le proteste di piazza sono esplose di fronte ai nuovi privilegi per la classe politica, considerata profondamente corrotta, in un periodo di difficoltà economiche per la popolazione. Durante le manifestazioni la contestazione ha riguardato il carovita, mentre sono stati invocati aumenti salariali e maggiori investimenti nelle politiche sociali. Nel corso dei giorni le proteste hanno assunto toni molto duri, con edifici dati alle fiamme e repressione violenta da parte delle forze dell’ordine e dell’esercito. E la situazione è degenerata il 28 agosto, quando durante i disordini un mezzo corazzato dell’esercito ha investito e ucciso uno dei manifestanti, l’autista 21enne di moto-taxi Affan Kurniawan.
Da quel momento le proteste si sono estese a tutta l’Indonesia, nonostante il presidente Subianto abbia annunciato la revoca del nuovo bonus-casa per i parlamentari. A Makassar i manifestanti hanno dato fuoco al palazzo del parlamento regionale e sono state prese di mira anche le proprietà private dei rappresentanti del governo. Le forze di sicurezza hanno risposto in maniera brutale all’escalation e tra gli scontri e gli incendi finora sono morte sei persone, ci sono stati oltre 400 feriti e più di 1.200 arresti. Come ha denunciato la Commissione per le persone scomparse e le vittime di violenze (KontraS), nei primi dieci giorni di proteste in Indonesia sono scomparse almeno 20 persone, mentre l’Onu ha chiesto l’apertura di un’inchiesta indipendente sui decessi dei manifestanti.
Le proteste nelle Filippine
Anche le Filippine in questi giorni sono alle prese con una serie di proteste contro la corruzione e la classe politica. La questione riguarda i progetti statali di controllo delle inondazioni e una serie di presunte tangenti.
Un audit governativo ha rivelato che, su 545 miliardi di pesos stanziati dal 2022, molti progetti risultano privi di documentazione o inesistenti mentre 15 tra oltre 2mila appaltatori accreditati, quelli con maggiori connessioni con la classe dirigente politica, hanno incassato il 20 per cento del budget complessivo. Tra le altre cose venute allo scoperto c’è il fatto che gli appaltatori detenevano diverse compagnie spesso in competizione tra loro, in quelle che dunque erano gare d’appalto di facciata.
Queste rivelazioni hanno portato la società civile a chiedere un’indagine indipendente, processi a carico dei funzionari corrotti, recupero dei fondi rubati e blacklist nei confronti dei soggetti coinvolti. il presidente Marcos ha promesso la creazione di una commissione indipendente per perseguire penalmente i responsabili, ma questo non ha impedito le proteste di piazza. Sono state attaccate le sedi di alcune delle aziende coinvolte nello scandalo, con scritte fatte di vernice e fango su muri e cancelli. Nel paese si è poi diffusa una forma di protesta lanciata sui social network dalle generazioni più giovani, chiamata “lifestyle policing”. Sono state rese virali le immagini di ostentazione pubblicate sui propri profili privati dai figli dei politici e dei dirigenti delle società coinvolte nello scandalo, tra macchine di lusso, viaggi dall’altra parte del mondo e abbigliamento firmato. Per l’11 settembre, intanto, è stata annunciata una grande mobilitazione nazionale contro la corruzione.
Le proteste in Malesia
A inizio settembre 2025 anche la Malesia si è trovata al centro di un acceso dibattito politico, dopo l’approvazione in parlamento di una legge di riforma focalizzata sul settore degli appalti pubblici. Il testo, concepito come pilastro dell’agenda del presidente Madani, mirava a mettere fine al diffuso fenomeno dei contratti opachi in materia di appalti, stabilendo l’obbligo di gare pubbliche aperte, incentivi per le imprese locali e green procurement, con sanzioni severissime in caso di corruzione.
Sebbene il contenuto della legge fosse largamente accolto come un passo necessario verso la trasparenza, il processo legislativo ha suscitato critiche e proteste da parte delle opposizioni e della società civile. Il dibattito è stato frettoloso, prendendo solo una settimana e senza che ci sia stato un esame approfondito da parte della Commissione parlamentare competente. Manifestazioni spontanee si sono moltiplicate da Kuala Lumpur a Penang, da Johor Bahru e Ipoh, con le persone in piazza che hanno intonato slogan come “La trasparenza parte da voi” e “Il popolo non è muto”, sintomo di un diffuso sentimento di sfiducia verso il governo e la classe politica.
Questa reazione è connessa agli strascichi lasciati nel paese dallo scandalo del fondo d’investimenti 1Malaysia Development Bhd (1Mdb), co-fondato dall’ex premier malese Najib Razak con l’aiuto del finanziere Low Taek Jho. Si stima che oltre 4,5 miliardi di dollari siano stati sottratti illegalmente e usati per acquisti di lusso, investimenti e tangenti in diversi paesi. L’ex primo ministro Razak è stato accusato di aver ricevuto personalmente centinaia di milioni di dollari e furono coinvolte anche banche come Goldman Sachs. Lo scandalo 1MDB, con la sua enorme sottrazione di denaro pubblico per interessi personali, è stato un enorme shock nella storia recente della Malesia. Da qui la forte pressione a dotarsi di una legge anti-corruzione impeccabile, che le opposizioni e la società civile non hanno visto nel testo approvato nei giorni scorsi.
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