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I Digital Act europei che sfidano Trump: “Non cediamo su diritti”


La vicepresidente della Commissione europea Teresa Ribera ha dichiarato al Financial Times che l’Unione europea deve difendere in modo integrale il Digital Services Act e il Digital Markets Act, anche a costo di rinunciare a un accordo commerciale già pronto con gli Stati Uniti.

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Le minacce di Trump e la risposta europea

La presa di posizione risponde alle minacce del presidente Donald Trump, il quale ha annunciato dazi e restrizioni all’export contro i Paesi che adottano regole considerate dannose per le imprese tecnologiche americane. Alla stessa linea si sono associati gli interventi della Federal Trade Commission, che ha indirizzato ai colossi digitali l’indicazione di non privilegiare la conformità alle norme europee quando ciò possa intaccare la tutela dei diritti interni. Francia e Germania hanno espresso sostegno a Bruxelles, sottolineando che la regolazione digitale rientra pienamente nella sfera di sovranità normativa europea e che strumenti di difesa, come il regolamento anti-coercizione, possono controbilanciare eventuali pressioni esterne.

La dimensione costituzionale della regolazione digitale Ue

Un simile quadro fattuale introduce una questione che investe la dimensione costituzionale dell’ordinamento europeo. Il Digital Services Act e il Digital Markets Act incarnano l’autorità dell’Unione a disciplinare lo spazio digitale come parte del proprio ordine pubblico economico e come presidio dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta di Nizza. La scelta di preservare tali strumenti anche con il rischio di fratture commerciali mostra che l’Unione concepisce la regolazione digitale come nucleo della propria costituzione materiale. La potestà normativa esercitata attraverso gli articoli 114 e 16 del TFUE si trasforma così in una vera e propria manifestazione di sovranità.

Due concezioni opposte della sovranità digitale

La reazione statunitense, sostenuta da minacce tariffarie e da un apparato amministrativo volto a difendere le libertà costituzionali interne, svela l’attrito tra due concezioni della stessa categoria giuridica. L’Unione europea attribuisce priorità alla tutela dei diritti e alla limitazione del potere privato delle piattaforme, mentre gli Stati Uniti rivendicano la centralità della libertà di espressione e dell’iniziativa economica nazionale.

La vicenda descritta dal Financial Times mette dunque in scena due ordinamenti che si fronteggiano su un terreno non riducibile alla diplomazia commerciale, bensì intrinsecamente costituzionale.

Sovranità normativa e potestà regolatoria europea

La prima questione riguarda la nozione stessa di sovranità normativa. Se l’Unione europea difende il Digital Services Act e il Digital Markets Act come strumenti intangibili anche a costo di sacrificare un accordo commerciale con la prima potenza economica mondiale, ciò significa che la potestà regolatoria europea nel settore digitale assume il rango di elemento costitutivo dell’ordinamento. La domanda allora diventa: quale forma di sovranità esprime l’Unione attraverso questa scelta, e in quale misura tale sovranità si differenzia dalla tradizione degli Stati membri?

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Tutela dei diritti versus protezione dell’industria tech

Una seconda questione riguarda il rapporto tra tutela dei diritti e protezione dell’industria tecnologica. L’ordinamento europeo concepisce le piattaforme digitali come soggetti capaci di produrre effetti sistemici sul mercato e sulla sfera delle libertà individuali, perciò le sottopone a vincoli ex ante volti a prevenire abusi. L’ordinamento statunitense, al contrario, difende le stesse piattaforme come se incarnassero la libertà di espressione e l’iniziativa economica. La contrapposizione conduce a un interrogativo di ordine costituzionale: fino a che punto la disciplina europea può limitare il potere privato senza tradursi, agli occhi di Washington, in violazione di principi supremi dell’ordinamento americano?

Strumenti di difesa dell’autonomia normativa Ue

Un terzo livello riguarda gli strumenti di reazione disponibili per l’Unione europea. La minaccia di dazi e restrizioni costituisce un atto di pressione che investe la legittimazione stessa della potestà normativa. La Carta di Nizza e i Trattati conferiscono alla Commissione e agli Stati membri la responsabilità di difendere tale potestà, e il regolamento anti-coercizione offre un meccanismo giuridico predisposto a tale scopo. La domanda diventa allora: quale equilibrio tra diritto internazionale economico e autonomia costituzionale consente all’Unione di proteggere i propri regolamenti senza scivolare in una spirale di conflitti commerciali?

Diritto del digitale tra costituzioni in conflitto

Infine, la vicenda apre una questione comparata. L’ordinamento europeo e quello statunitense utilizzano categorie simili — libertà di espressione, concorrenza, pluralismo — ma le interpretano con esiti opposti. L’Europa vede nella disciplina digitale un limite al potere privato per garantire diritti collettivi, gli Stati Uniti vedono nella difesa delle imprese tecnologiche un modo per custodire libertà individuali. Di qui un interrogativo decisivo: come può stabilizzarsi un diritto del digitale che si confronta con due costituzioni in conflitto, entrambe fondate su principi supremi e non disponibili a compromessi?

L’architettura costituzionale dei regolamenti digitali europei

Il Digital Services Act e il Digital Markets Act possiedono una fisionomia che va oltre la regolazione settoriale, poiché tracciano l’architettura costituzionale dell’autonomia normativa europea. Attraverso l’articolo 114 del TFUE, l’Unione esercita la competenza in materia di mercato interno, ma l’intervento definisce invece un perimetro normativo che incide direttamente sulle forme del potere economico privato. L’articolo 16 del TFUE, unitamente agli articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali, conferisce al quadro giuridico digitale un fondamento che intreccia libertà economiche, diritti della persona e garanzie di pluralismo.

Vincoli ex ante e controllo dei gatekeeper

L’innovazione sostanziale si manifesta nell’imposizione di obblighi ex ante ai cosiddetti gatekeeper. Il legislatore europeo stabilisce sin dall’origine limiti precisi all’uso dei dati, all’interoperabilità dei servizi, alla trasparenza degli algoritmi e alla tracciabilità della pubblicità. La logica del controllo ex post, tipica del diritto antitrust, cede così il passo a un paradigma normativo che mira a prevenire la formazione di concentrazioni di potere tali da compromettere l’equilibrio del mercato e la stessa effettività dei diritti fondamentali.

Regolazione economica e protezione delle libertà

Il nucleo costituzionale di questa architettura risiede proprio nella connessione tra regolazione economica e protezione delle libertà. L’Unione concepisce l’iniziativa privata come componente essenziale del mercato, ma la subordina a vincoli destinati a preservare l’integrità dell’ecosistema informativo e la dignità della persona. Da questa prospettiva, il DSA e il DMA assumono il ruolo di strumenti costitutivi, paragonabili a una vera e propria carta dei rapporti digitali, poiché disciplinano tanto la dimensione economica quanto quella politica della rete.

Competenza europea e uniformità normativa

La portata costituzionale della disciplina digitale si riflette inoltre nel rapporto tra istituzioni europee e Stati membri. La competenza attribuita all’Unione esclude interventi disomogenei delle legislazioni nazionali e garantisce uniformità nell’intero spazio europeo. Ciò produce un duplice effetto: rafforza l’autonomia normativa dell’Unione nei confronti di ordinamenti esterni e consolida l’autorità sovranazionale rispetto agli stessi Stati membri, che vedono limitata la propria capacità di adottare soluzioni divergenti.

Il conflitto con le regole del commercio internazionale

La vicenda illustrata dal Financial Times mette in luce che la vera posta in gioco consiste nella capacità dell’Unione di esercitare questa architettura come fonte di legittimazione.

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La minaccia di dazi e restrizioni all’export annunciata dal presidente Trump assume la natura di una misura coercitiva in senso proprio, inserita in un contesto dominato dalle regole del diritto internazionale economico. Il sistema dell’Organizzazione mondiale del commercio impone un quadro fondato su principi di non discriminazione, trattamento nazionale e reciprocità. Ogni intervento che introduca tariffe con finalità punitive rischia di infrangere il nucleo stesso di queste regole, salvo che lo Stato dimostri la sussistenza di eccezioni legittime. L’Unione europea, nel difendere i propri regolamenti digitali, può quindi invocare l’esistenza di finalità superiori, quali la tutela dell’ordine pubblico, la protezione dei diritti fondamentali e la salvaguardia della concorrenza, tutte riconducibili alle clausole generali previste dagli accordi commerciali multilaterali.

Il regolamento anti-coercizione come autotutela

In questo contesto acquista centralità il nuovo regolamento europeo contro la coercizione esterna. Tale strumento attribuisce alla Commissione la facoltà di reagire con misure proporzionate contro atti di pressione che incidono sulla libertà normativa dell’Unione. Si tratta di un atto giuridico che inserisce nell’ordinamento un vero e proprio meccanismo di autotutela, concepito per garantire che l’Unione non subisca condizionamenti capaci di svuotare di contenuto i propri atti legislativi. La sua portata si estende al cuore della sovranità normativa europea, poiché afferma che la regolazione del digitale non può dipendere da pressioni economiche esterne.

Architettura costituzionale della sovranità digitale

La sovranità digitale si manifesta come capacità ordinante dell’Unione di regolare l’infrastruttura tecnologica con strumenti dotati di valore costituzionale. Tale capacità esprime la funzione originaria di definizione dello spazio informativo. L’Unione, attraverso il Digital Services Act e il Digital Markets Act, ha costruito un corpo normativo che incide simultaneamente sul mercato e sui diritti fondamentali, traducendo in regole vincolanti un principio di autonomia normativa che assume rango costituente.

Il fondamento giuridico di questa categoria risiede nella combinazione tra articoli 114 e 16 del TFUE e articoli 7, 8, 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali. L’intervento legislativo non opera come misura tecnica di regolazione economica, ma come affermazione di un potere sovrano che disciplina algoritmi, flussi di dati e assetti concorrenziali. In tal modo la sovranità digitale europea si salda con la tradizione del costituzionalismo che ha sempre attribuito al diritto la funzione di limitare il potere e di garantire spazi effettivi di libertà.

Ue e Usa: due visioni inconciliabili della sovranità digitale

Il confronto con l’ordinamento statunitense conferma la natura dialettica di questa categoria. L’Europa interpreta la sovranità digitale come presidio dei diritti e strumento di riequilibrio delle asimmetrie create dalle piattaforme. Gli Stati Uniti interpretano la stessa categoria come protezione delle imprese tecnologiche nazionali e tutela della libertà economica interna. Due concezioni incompatibili, entrambe fondate su principi supremi, che attribuiscono alla disciplina del digitale il ruolo di elemento costitutivo dell’ordine giuridico.



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