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«Tecnologie e innovazione per creare futuro ai giovani»


Il dibattito aperto dal fondo del direttore del “Mattino” Roberto Napoletano, ha acceso riflessioni in più settori della vita cittadina. E in questo solco si innesta anche il mondo agroalimentare, che in Campania rappresenta un patrimonio economico e sociale in continua crescita e sviluppo, in particolare tecnologico. A sostenerlo è Danilo Ercolini, direttore del Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II e direttore scientifico del Centro Nazionale Agritech.

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Direttore Ercolini, l’editoriale «Ragazzi, tornate a Napoli” come si riflette nel suo settore accademico?

«Mi è piaciuto molto, l’ho trovato interessante e stimolante. Personalmente lo allargherei: i ragazzi non devono solo tornare in città, ma anche in Campania. Il nostro territorio regionale ha enormi potenzialità e l’agroalimentare è un settore trainante, vitale per l’economia locale e nazionale. Ci sono spazi concreti per costruire carriere solide. Napoli e la Campania hanno un vantaggio competitivo grazie alla presenza della Federico II e del Dipartimento di Agraria, che, insieme al centro Nazionale Agritech, offrono percorsi di studio avanzati, fortemente connessi con le esigenze del mercato. È un’occasione che i giovani devono cogliere».

In che modo la formazione in Agraria oggi si distingue rispetto al passato?

«Oggi un corso di laurea non può prescindere da temi come sostenibilità e cambiamenti climatici. I contenuti si aggiornano continuamente. I nostri studenti acquisiscono competenze che vanno oltre l’agronomia tradizionale: imparano a usare sensori, algoritmi, intelligenza artificiale, droni. Non compilano più un “quaderno di campagna” a mano, ma pianificano i trattamenti con app e sistemi digitali che ottimizzano l’uso di acqua e risorse. E lo facciamo in maniera più approfondita anche con Agritech Academy. È un cambio di prospettiva radicale: si formano professionisti che non solo garantiscono la produttività, ma proteggono la biodiversità e riducono l’impatto ambientale. Anche l’industria alimentare chiede figure con questo profilo. Non si tratta più solo di controllo qualità: oggi servono esperti di blockchain per la tracciabilità, di sistemi di risparmio energetico e di tecnologie innovative».

E in questo processo di trasformazione tecnologica, qual è il ruolo del Centro Nazionale Agritech?

«Un ruolo centrale. Con i fondi del Pnrr abbiamo potuto realizzare infrastrutture che prima erano impensabili. Penso al dimostratore che nascerà a San Giovanni, in una palazzina di quattro piani, con due livelli dedicati interamente al vertical farming. Sarà un luogo dove le imprese potranno sperimentare colture fuori suolo e nuove tecnologie, uno spazio di contaminazione tra ricerca e impresa. Poi ci sono le piattaforme di ecotroni, camere che riproducono diversi microclimi: lì possiamo osservare come le piante reagiscono a stress ambientali, come le ondate di calore che al Sud diventano sempre più intense. Questi strumenti ci consentono di individuare varietà più resistenti e pratiche agricole sostenibili. Sono infrastrutture uniche in Campania, utili sia alla ricerca che alle aziende».

Il centro lavora anche con le startup. A che punto siete?

«Abbiamo avviato il programma di incubazione e accelerazione. Entro l’inizio del 2026 supporteremo trenta nuove imprese. Le idee sono molto varie: sistemi di supporto alle decisioni, nuove varietà vegetali arricchite in proteine, tecnologie digitali per l’agricoltura di precisione. È un’attività finanziata dal Pnrr, ma che vogliamo rendere stabile grazie al contributo dei soci della Fondazione Agritech. Napoli sta diventando un polo di riferimento per chi ha un’idea imprenditoriale nel settore agroalimentare e cerca un contesto favorevole per svilupparla. E noi crediamo fortemente che Napoli sia il luogo giusto per poter creare nuove aziende innovative».

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Negli ultimi anni Napoli è diventata anche attrattiva per ricercatori che rientrano dall’estero.

«È vero. Anche noi ad Agraria abbiamo riportato in città diversi studiosi che lavoravano in America o in Europa. Alcuni non erano nemmeno napoletani e hanno scelto deliberatamente di trasferirsi qui. Il Dipartimento oggi ha un corpo docente e di ricerca giovane e internazionale, attinto anche da Agritech Academy. Con i fondi Pnrr e con lo status di Dipartimento di eccellenza, abbiamo rafforzato reclutamenti e infrastrutture. Cito un esempio: il corso di laurea in “Manager della sostenibilità”, il primo in Italia, nato proprio a Napoli. I ragazzi stanno facendo stage con grandi multinazionali, da Riomare a Nestlé fino a Kraft Heinz. I primi laureati usciranno a ottobre e sono certo che saranno assorbiti subito dal mercato. Questo dimostra che restare o tornare a Napoli non significa rinunciare a un futuro competitivo. Ma sul fronte dell’internazionalizzazione, lavoriamo anche in un’altra direzione».

Quale?

«Agritech guarda anche oltre i confini italiani. Partecipiamo a bandi europei e stiamo avviando collaborazioni con il Ministero degli Esteri per progetti in Africa e nel Mediterraneo. In Egitto, Tunisia, Etiopia si stanno progettando centri di ricerca all’avanguardia sulla bioagricoltura, e noi portiamo competenze per aiutarli a nascere. È un modo per dare respiro internazionale al nostro lavoro e allo stesso tempo aprire nuove opportunità ai giovani formati a Napoli».

Lei è tra i ricercatori più citati al mondo. Quanto incide questo riconoscimento sull’attrattività di Napoli?

«Molto. Essere tra gli highly cited significa avere un biglietto da visita internazionale che dice: qui si fa ricerca di qualità. Per un giovane è un incentivo forte a venire o restare. Io ho origini semplici, vengo da una famiglia umile. Ho sempre creduto nel lavoro e nell’entusiasmo. Questo è il punto: se ce l’ho fatta io, può farcela chiunque abbia voglia di impegnarsi. Le opportunità ci sono, ma vanno affrontate con passione. Tornare a Napoli deve significare tornare con il sangue agli occhi, con entusiasmo. È la parola che mi rappresenta di più: se fai le cose con entusiasmo, prima o poi arrivano risultati importanti. Napoli va vissuta così, cogliendo tutto quello che può offrire, dall’università alla ricerca, fino all’impresa».

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