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Il vertice di Tianjin, la minaccia cinese e la necessità per l’Occidente di fare politiche di cooperazione al  di là di Trump, la linea giusta è quella del Piano Mattei


di ANTONIO GOZZI

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Insisto da tempo nel dire che il principale problema prospettico che l’industria europea e al suo interno quella italiana dovranno affrontare in un prossimo futuro (per alcuni settori già oggi è così) sarà la violenta e aggressiva concorrenza dell’industria cinese, che sta facendo balzi in avanti tecnologici e qualitativi impressionanti e che è quasi sempre sorretta da ingentissime sovvenzioni pubbliche.

La sovracapacità produttiva cinese determinata dalla non volontà/possibilità politica di gestire le fasi calanti del ciclo economico interno riducendo l’offerta (e ciò per mancanza di ammortizzatori sociali e timori di disordini sociali) spinge quel Paese a riversare sull’estero, con esportazioni spesso in dumping, queste eccedenze produttive, che invadono i mercati mondiali a prezzi bassissimi distruggendo i margini per le imprese occidentali.

Ciò fino a ieri è avvenuto solo per i prodotti di base, primo fra tutti l’acciaio. In questo momento però il fenomeno si riproduce e si estende a moltissimi altri settori quali l’auto, il legno-arredo, la moda ecc.

Colloco in questo contesto la mia riflessione sul recente summit di Tianjin dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) che, sotto la regia cinese del presidente cinese Xi Jinping, ha riunito una serie di Paesi euro-asiatici, primi fra tutti India e Russia, per tessere la tela di una rivoluzione geopolitica che punta a spostare il cuore del potere del globo dall’Atlantico all’Eurasia. 

I dieci Paesi membri dello SCO (Cina, Russia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan,  Uzbekistan, India, Pakistan, Iran e Bielorussia) rappresentano l’80 per cento delle terre emerse, il 40 per cento della popolazione e il 25 per cento del PIL mondiale. Ma se a questo PIL si aggiunge quello dei due Paesi Brics (altra organizzazione di Paesi emergenti anch’essa co-presieduta dalla Cina) non aderenti allo SCO, e cioè Brasile Sudafrica, si supera la metà della ricchezza mondiale.

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Come giustamente sottolineato da molti osservatori, Pechino è diventato il punto di congiunzione fra dimensione strategica ed economica del Sud Globale del mondo, che ormai in termini di numero di Paesi aderenti rappresenta la maggioranza dell’Assemblea dell’ONU. Maggioranza che non ha aderito alla sanzioni contro la Russia dopo l’aggressione all’Ucraina.

Una serie di considerazioni.

L’idea alla base della visione occidentale della globalizzazione, e cioè che la crescita delle economie avrebbe condotto nell’ambito della democrazia la maggior parte delle potenze economiche emergenti, con una connessione automatica tra economia di mercato e istituzioni democratiche, si è rivelata illusoria e ancora una volta ideologica.

Questa visione ideologica ha provocato gravi danni economici, primo fra tutti l’apertura agli scambi con la Cina senza condizioni e la sua ammissione nel WTO (l’Organizzazione del Commercio Mondiale) e sempre più gravi problemi per la sicurezza internazionale, come dimostrato dall’aggressività russa con l’invasione dell’Ucraina e dalla strategia dell’Iran e delle sue proxy (Hezbollah, Hamas, Houthi) finalizzata a distruggere Israele.

Abbiamo così assistito negli ultimi 20 anni alla crescita di un capitalismo forte e aggressivo anche in Paesi non democratici; la Cina e Russia ne sono ne  l’esempio più evidente. 

In questi Paesi il ruolo autoritario e dirigista dello Stato, con enormi investimenti pubblici e sovvenzioni a imprese pubbliche e private, ha favorito la crescita economica e dimensionale delle imprese domestiche che, grazie a questi sostegni, competono sempre più aggressivamente e slealmente con le imprese occidentali.

Nel gruppo dei Paesi riuniti a Tianjin si sono registrate presenze di nazioni non tradizionalmente vicine alla Cina, prima fra tutte la presenza dell’India e del suo premier Modi. Ma tra gli invitati e i dialoganti si è registrata anche la presenza di tradizionali e importanti amici e alleati degli USA e dell’Occidente come Turchia (Erdogan è in bella vista nella photo-opportunity del summit), QatarEgittoEmirati Arabi Uniti, Arabia Saudita.

Lo sforzo “imperiale” della Cina, come ha detto il suo ministro degli esteri Wang Yi, è far sì che, entro dieci anni, nasca “un ordine internazionale multipolare contrapposto alla mentalità della guerra fredda, alla logica dei blocchi e al bullismo” con cui i cinesi identificano l’Occidente e il presidente Usa Trump.

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Senza trarre conclusione affrettate, perché certamente non bastano le cordialità di un vertice a sopire i contrasti e il conflitto di interessi che da decenni oppongono l’India alla Cina, bisogna sottolineare che sarebbe un gravissimo errore per americani ed europei consentire alla Cina di ampliare la sua influenza economica e geo-politica verso Paesi che ci sono tradizionalmente amici.

India ed Arabia Saudita sono i primi di questi Paesi con i quali l’Occidente e l’Italia hanno cercato di costruire negli anni rapporti importantissimi di cooperazione e di alleanza. Le intemerate del Presidente Trump non possono compromettere questi rapporti che sono sempre più vitali affinché l’Occidente non si limiti a gestire il suo declino diventando un fantastico e ricco, per ora, mercato di vecchi a disposizione delle industrie dei Paesi emergenti.

L’Italia e il suo Governo non hanno pensato al Piano Mattei per chiudersi a riccio gestendo una rendita declinante; al contrario, lo hanno concepito come uno straordinario strumento di sviluppo e di cooperazione egualitari con il Sud del mondo, per coniugare la cultura e la capacità manifatturiera dell’Occidente, di cui facciamo orgogliosamente parte, con l’attenzione ai bisogni e alle speranze di quella parte del globo che nei prossimi anni sarà sempre più importante e strategica.

Non lasciamo queste cure a Cina e Russia. Le esperienze neo-imperialistiche in Africa di questi due Paesi negli ultimi anni sono lì a dimostrare che c’è spazio per un’azione e un’iniziativa occidentale.

Abbiamo bisogno di nuovi mercati e di consolidare amicizie con Paesi che ci guardano e nutrono speranze nei nostri confronti. Evitiamo che la nostra disattenzione e negligenza li obblighino a guardare altrove.



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