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Il riciclo europeo della plastica è vicino al collasso? Sono urgenti contromisure


L’Associazione europea dei riciclatori di plastica (Pre) ha lanciato nei giorni scorsi un allarme drammatico: «Un’ondata di chiusure di impianti di riciclaggio della plastica colpisce l’Europa», sottolineando che «l’industria europea del riciclo della plastica è sull’orlo del collasso».

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Che il riciclo della plastica in Europa negli ultimi due anni stia scricchiolando lo stanno segnalando numerose fonti, che registrano la chiusura di impianti e lo scioglimento di aziende come Viridor e Biffa (nel Regno Unito), Veolia (in Germania) e Cedo (nei Paesi Bassi). «Nei paesi Ocse un numero sempre maggiore di impianti di riciclaggio sta chiudendo», avverte il Basel action network (Ban). «Negli Stati Uniti, molti impianti di riciclaggio californiani funzionano al 50% della capacità, mentre in Germania altri due grandi impianti di riciclaggio stanno chiudendo definitivamente i battenti», afferma l’associazione che ha raccolto in una lista i casi analoghi in altri Paesi. Le aziende di riciclaggio di tutto il mondo stanno riscontrando problemi simili, con almeno trentatré strutture che hanno chiuso i battenti dal 2022.

Fenomeno che sta portando a una riduzione della capacità produttiva e di riciclo. Dal 2021 la capacità di riciclaggio dell’industria europea della plastica è iniziata a calare. Entro la fine del 2025, si prevede che in Europa si sarà persa una capacità di riciclaggio pari a quasi un milione di tonnellate rispetto al 2023. Paesi Bassi, Germania e Regno Unito sono stati i Paesi più colpiti da questa tendenza al ribasso.

Insomma, dopo anni di rapida espansione, la crescita del settore ha iniziato a rallentare dal 2021 e le previsioni indicano una crescita netta zero per il 2025. La capacità installata di riciclaggio della plastica è cresciuta del 6% su base annua nel 2023. L’anno precedente il tasso di crescita si era attestato al 10%, in calo rispetto al 17% del 2021.

Questo declino, avvertono i riciclatori, minaccia seriamente la capacità dell’Europa di raggiungere i target di contenuto riciclato stabiliti dal Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (Ppwr): «Il collasso del settore europeo del riciclo della plastica causerebbe danni irreversibili ai progressi ambientali e all’innovazione raggiunti nell’ultimo decennio, mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Ue e la sua competitività a lungo termine».

Per Alessia Scappini, amministratrice delegata di Revet – il principale hub per il riciclo dell’Italia centrale, con base a Pontedera – occorre una risposta rapida quanto decisa ai segnali in corso: «L’Ue e in particolare l’Italia, da essere modello dell’industria del riciclo della plastica stanno vivendo una forte crisi di settore. L’importazione di materiali “riciclati” che entrano in Ue senza soddisfare gli standard di sostenibilità e sicurezza normativi rendono poco competitiva l’industria europea: in questo contesto l’Italia sotto la morsa del caro energia è ancora più danneggiata. Per questo serve un intervento più coraggioso del legislatore, che si muove su questi temi ancora a macchia di leopardo, introducendo controlli efficaci nelle importazioni, misurazione delle performance ambientali con riconoscimento dei crediti di carbonio, accesso ad energia rinnovabile a prezzi calmierati per il settore della green economy».

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Più complesso capire le cause di questa situazione. Secondo la Pre dipende dall’impennata delle importazioni di plastica riciclata a basso prezzo, col conseguente calo della domanda di materiali riciclati prodotti nell’Ue, mentre le crescenti pressioni economiche e l’eccessiva burocrazia stanno costringendo un numero crescente di riciclatori dell’Ue a chiudere i battenti.

Le cause, per altri analisti, sono gli elevati costi di manutenzione e gestione e la bassa redditività legata alla riduzione della domanda di plastica riciclata di qualità inferiore e alla crescente consapevolezza degli impatti ambientali del riciclaggio, come l’inquinamento da microplastiche e i “rifiuti da rifiuti”. E poi c’è il costo relativamente basso della plastica vergine, che fa concorrenza (sleale, perché ignora gli impatti ambientali) a quella riciclata.

Secondo il Basel action network invece non si tratta di difficoltà legate al mercato, ma della “fallacia dell’economia circolare della plastica’: «Mentre i Paesi Ocse, in particolare l’Ue, continuano a raccogliere i rifiuti plastici sotto la bandiera del riciclaggio per raggiungere gli obiettivi di economia circolare, la chiusura degli impianti di riciclaggio nazionali ha portato a scaricare volumi crescenti di rifiuti nei Paesi in via di sviluppo. Questi Paesi destinatari spesso non dispongono di adeguate tutele ambientali e lavorative, mentre la dispersione e la combustione tossica a cielo aperto sono diventati la norma».

Per la Pre sembrano centrali i problemi legati alle oscillazioni dei mercati: «Gli impianti possono marciare se le condizioni di mercato lo permettono: con dumping di riciclati low cost di importazione (e di polimeri vergini spacciati per riciclati) e più in generale con un livello di prezzo delle materie prime persistentemente basso da parecchi trimestri c’è poco da fare».

Che fare, dunque? Per rilanciare la domanda di materiali riciclati nell’Ue e prevenire ulteriori chiusure, i produttori di plastiche riciclate chiedono che i policy maker attuino con urgenza meccanismi di difesa commerciale e di mercato, garantendo norme coerenti in materia di responsabilità estesa del produttore (Epr) e applicando rigorosamente la certificazione di terze parti e sanzioni armonizzate per i materiali non conformi.

A ciò devono essere affiancate misure che allevino le pressioni economiche per gli operatori del riciclo, come l’accesso a energia pulita e a basso costo, e la riduzione della burocrazia per ottenere e rinnovare i permessi. Anche il rafforzamento dei controlli doganali e l’introduzione di incentivi mirati agli investimenti sono fondamentali per ripristinare la competitività del settore. Nonostante alcune discussioni e misure parziali, come i sussidi energetici per i riciclatori in Germania o il Piano d’azione dell’Ue per il settore chimico, oggi la risposta politica è considerata però troppo lenta. 





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