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Da Ivrea ad Ascoli, le fabbriche abbandonate diventano hub per imprese collaborative


C’è una bella differenza tra un condominio e un polo tecnologico. Nel primo si convive, provando a non darsi troppo fastidio. Nel secondo si collabora, creando innovazione. In estrema sintesi, è questa la visione che sta guidando Stefano Soliano nello sviluppo di Cnext, una nuova realtà che, da Lomazzo, vicino Como, ha trovato spazio in Piemonte e nelle Marche, nel segno dell’innovazione e della rigenerazione urbana.

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Soliano, partiamo dalle definizioni, che cos’è Cnext?

È un progetto nato all’interno del parco scientifico tecnologico Como Next, che ha sviluppato un modello molto particolare di technology transfer, ossia di collaborazione per l’innovazione.

Qual è la particolarità?

La maggior parte dei parchi scientifici in Italia nasce con l’intenzione di creare sviluppo sui territori. A causa della mancata coesione tra i diversi attori, però, capita spesso di trovarsi di fronte a iniziative immobiliari. Luoghi che offrono spazi per uffici e per laboratori ad imprese.

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È l’obiettivo comune di lavorare per creare valore economico e sociale sul territorio attraverso la costruzione di comunità. Mettendo a fattor comune le competenze di ciascuna delle aziende ospitate per farle collaborare, creando opportunità di sviluppo.

Stefano Soliano, ceo di Cnext

Ad esempio?

Identificare i bandi migliori per sviluppare l’innovazione, sondare le richieste del mercato, maturare una capacità di lettura dei bisogni delle imprese e dei soggetti del territorio per innovare prodotti, processi, materiali, identità aziendali o gli stessi modelli di business. Ci poniamo come animatori di comunità, dove l’interesse di ciascun membro è di tipo economico e sociale di rappresentanza dell’impresa sul territorio.

Chi sono i protagonisti di questo modello di collaborazione?

Assieme alle aziende che vengono ospitate nel polo, troviamo le università, le associazioni di categoria e gli istituti di credito, che danno vita ad un patto di sistema territoriale. Questo è accaduto nel primo polo, a Lomazzo, Como Next, che ci ha consentito di mettere a punto un modello regolato di collaborazione per creare innovazione, chiamato Next Innovation.

Da qui la scommessa di proporlo anche in altre zone?

Questo modello è stato messo a disposizione di altri territori. Da qui sono nati gli spin off attivi oggi, dove abbiamo incontrato gli attori economici, sociali e istituzionali per sviluppare il network insieme a loro, su loro stessa richiesta.

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Oggi siamo presenti a Ivrea, con circa 3mila metri quadri nell’area dell’ex Olivetti e ad Ascoli Piceno, dove è ancora in corso un’importante operazione di rigenerazione urbana nell’area della vecchia SGL Carbon. Entro la fine dell’anno dovremmo partire a Novara, nella zona dell’ex legatoria dell’Istituto geografico De Agostini, luogo iconico per la città, grazie a una collaborazione con Cassa depositi e prestiti. Tra i progetti in via di definizione, ce n’è uno nel territorio di Monza: con un’importante multiutility stiamo lavorando per costruire uno spazio pubblico dedicato alla cultura dell’innovazione e alla formazione per la cittadinanza.

In ogni luogo in cui andate è presente un’operazione di generazione urbana?

Il nostro modello non arriva per consumare suolo, ma recupera vecchi insediamenti diventati luoghi di degrado. Anche a Lomazzo, dove oggi c’è una piccola Silicon valley, è stata recuperata un cotonificio abbandonato metà degli anni ’70.

State aprendo anche al Terzo settore?

Nel capitale sociale di Cnext ci sono soggetti molto vicini al mondo sociale. La nostra non è un’operazione speculativa, ma un’iniziativa il più possibile aperta e diffusa e inclusiva. Quindi anche il capitale è stato il più possibile aperto e diffuso. Ne fanno parte, ad esempio, Sefea impact, il fondo d’impatto di Confcooperative, Eneaip net, il consorzio che riunisce le Eneaip in Italia e la fondazione Giordano Dell’amore. C’è poi l’agenzia per il lavoro Umana, che non è un ente del Terzo settore, ma ha una mission sociale di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro.

Cosa è maturato dal confronto con questi stakeholder?

Il bisogno di portare l’innovazione tecnologica che siamo abituati a sviluppare nelle aziende – metalmeccaniche come di servizi – per migliorare il proprio business, anche agli enti del Terzo settore. Ponendoci come un soggetto fiduciario in grado di mostrare che l’alta tecnologia può essere molto utile per sviluppare meglio le ambizioni sociali di supporto alle categorie più deboli.

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Un esempio?

Con Pfizer, che ha uno dei suoi stabilimenti europei più grandi proprio ad Ascoli, il prossimo ottobre è in partenza il progetto Startup academy. Una cinquantina di studenti di quarta e quinta superiore lavoreranno con quelli del primo anno di università sui temi dell’imprenditorialità e delle start up. Sarà una settimana intensiva, con i manager dell’azienda, la nostra presenza e il coinvolgimento di scuole, università e del comune di Ascoli. Una prova di start up e di social innovation, per far scoprire ai ragazzi possibili strade diverse per costruirsi il futuro e possibilmente investire sulle idee migliori che dovessero emergere.

Qual è il valore aggiunto per l’azienda?

Anzittuto la possibilità di sviluppare progetti che rispondono ai criteri Esg a cui queste aziende si ispirano. Poi quella di non limitare il proprio supporto al mondo sociale alla charity, favorendo lo sviluppo di una capacità e di una mentalità innovativa nei giovani. L’academy è un caso relativo alla formazione. Ma l’idea è far sì che l’azienda finanzi progetti di alta tecnologia – ad esempio con una cooperativa sociale per automatizzare alcuni aspetti dell’assistenza alle persone – contribuendo anche con il lavoro dei propri manager per portare nuove competenze di innovazione all’ente. Migliorando in modo ben visibile e rendicontabile il proprio impatto sul territorio.

Coinvolgerete solo le grandi aziende?

L’obiettivo è di lavorare man mano anche con le piccole e medie imprese. Vogliamo far capire al mondo delle imprese che l’essere attivi nel non profit è un modo di integrare e di tendere a quel tipo di ibridazione in cui lo steccato tra profit e non profit cade. Per far emergere un “unico” modo di fare impresa che include per se stesso un impegno sociale vero.

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Qual è il ruolo dell’entità Cnext in questi progetti?

Cnext è la società benefit capogruppo di un sistema di poli territoriali, che ha elaborato e detiene il modello per la creazione di innovazione di cui abbiamo parlato con questi esempi. E che lo replica partecipando al 51% le società benefit locali costituite ad hoc, quali Cnex Ivrea, Piceno e così le altre.

Come vi svilupperete?

Ad Ivrea si arriverà a 15mila, man mano che nuovi spazi verranno riqualificati. Ciascuna delle società territoriali è anche incubatore di startup. Inoltre, quando apriamo bandi per raccogliere le idee, un elemento comune è sempre la presenza di una componente di sostenibilità.

In che modo, nella vostra esperienza, il Terzo settore può trovare maggior supporto nella tecnologia?

Il mondo del Terzo settore è uno dei più portati a innovare i processi. È quasi una questione di sopravvivenza. Una componente di sospetto è ancora presente nei confronti della robotica, dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie di automazione. Spesso queste tecnologie sono associate al tema della sostituzione dell’uomo con la macchina. Un fenomeno che può certamente verificarsi. Ma occorre adoperarci per utilizzare le tecnologie affinché i lavori più ripetitivi e meno nobilitanti vengano svolti dall’automazione e dalle macchine. Consentendo alle persone di crescere non tanto nell’utilizzo della singola tecnologia, ma nello sviluppo di ulteriori capacità per lavorare meglio.

Foto in apertura, il polo ex Olivetti di Ivrea. Credit: ufficio stampa Cnext.

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