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Boom pensionamenti, chi sostituirà 3 milioni di lavoratori (e come)


Nei prossimi anni, il lavoro in Italia è destinato a una fase di massiccio turnover. Una recente indagine dell’Ufficio Studi Cgia Mestre ha infatti evidenziato che, tra l’anno in corso e il 2029, oltre tre milioni di lavoratori raggiungeranno il fatidico traguardo della pensione, lasciando mansioni d’ufficio, studi professionali, cantieri, catene di montaggio. Un esodo epocale per il mondo del lavoro del nostro paese.

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Come al solito, numeri e percentuali delineati dalla Cgia aiutano a capire qual è la situazione socio-economica e quali sono le problematiche da affrontare, per non perdere crescita in termini di Pil e non aggravare le difficoltà strutturali del sistema previdenziale italiano. Sono perciò dati che spiegano criticità e indicano aree di intervento, in modo da agevolare la sostituzione dell’enorme numero di lavoratori prossimi al termine della carriera.

Vediamo insieme, in sintesi, gli esiti dell’analisi di Cgia, sul piano geografico e dei settori più interessati, ma cerchiamo anche di fare il punto su quali saranno le possibili soluzioni, per compensare il boom di pensionamenti.

Più di una sostituzione su due riguarderà le aziende

Non solo raggiungimento dei limiti di età e pensione. Per una percentuale ristretta di persone, anche ritiro volontario, perdita dell’impiego e conseguente disoccupazione forzata, emigrazione all’estero, cambio di attività saranno le altre cause che determineranno la fine del rapporto di lavoro subordinato.

Estrapolando i dati emersi dalla periodica elaborazione del Sistema Informativo Excelsior, l’Ufficio studi Cgia Mestre calcola che, di questa sorta di rivoluzione del mercato del lavoro, saranno protagonisti circa 1.6 milioni di dipendenti del settore privato – pari al 52,8% del totale da sostituire – 768mila del settore pubblico, 25,2% del totale, e 665mila lavoratori autonomi, ossia il 21,9%.

Le uscite più consistenti saranno localizzate in Lombardia, Lazio e Veneto, ossia in tre delle regioni italiane a più alto tasso di occupazione e composte, in moltissimi casi, da persone con un percorso di carriera solido e definito da decenni. I numeri parlano da sé, considerato che la Lombardia è in testa alla speciale classifica dei pensionamenti e ritiri, essendo chiamata a sostituire circa 567.700 lavoratori. Al secondo posto il Lazio con circa 305.000 e sul gradino più basso del podio il Veneto con più di 291mila unità.

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Il fondo della classifica è occupato da regioni meno abitate e, conseguentemente, con un inferiore numero di occupati. Sono l’Umbria con circa 44.800 lavoratori, la Basilicata con circa 25.700 e, infine, il Molise a quota 13.800 unità da rimpiazzare.

Sette rimpiazzi su 10 interesseranno i servizi

Di questi tre milioni di addetti, che entro il prossimo quinquennio lascerà il posto di lavoro, quasi 2.205.000 (il 72,5% del totale da sostituire) sono occupati nei servizi. Altri 725.900 nell’industria (23,8%) ai quali vanno sommate più di 111mila unità (3,6%) occupati nell’agricoltura. In altre parole, a livello nazionale oltre 7 sostituzioni su 10 interesseranno il settore del terziario, con uscite particolarmente consistenti nel commercio, nella sanità pubblica/privata e nella PA.

Il raggiungimento dei limiti di età è un essenziale spartiacque tra carriera e riposo, ma è anche spia del progressivo invecchiamento del paese. Cgia Mestre fa notare che, in un contesto come questo, le aziende saranno costrette a “rubarsi” i dipendenti migliori.

Lo studio infatti evidenzia l’avanzare degli anni della forza lavoro, con un indice di anzianità passato dal 61,2% nel 2021 al 65,2% nel 2023, mostrando che su 100 dipendenti under35 ce ne sono 65 over55. Le cause principali stanno nel basso ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e nella permanenza più lunga dei lavoratori anziani. È uno squilibrio che crea difficoltà nel reperire personale qualificato e l’anzianità delle maestranze è un problema soprattutto per gli imprenditori delle regioni più piccole, come Molise o Basilicata.

Ecco perché l’associazione veneta sottolinea che, nel prossimo futuro, i datori di lavoro privati saranno costretti a competere per i migliori talenti, offrendo salari più alti. Una competizione che potrebbe portare a comportamenti poco etici tra datori di lavoro e dipendenti, fa notare Cgia Mestre.

Le possibili soluzioni tra formazione mirata e incentivi economici

Il dato generale che emerge dal rapporto Cgia è certamente allarmante. Ma attenzione, la questione del rimpiazzo di milioni di occupati non è solo quantitativa (quanti lavoratori mancheranno), ma qualitativa: mancheranno soprattutto persone esperte, difficili da sostituire con giovani che non hanno ancora competenze ed esperienza adeguate. Il rischio di trovarsi innanzi a una sorta di coperta corta è altissimo.

Le soluzioni inquadrabili fin da ora discendono dal buon senso e dagli strumenti offerti dalla legge. L’orientamento verso percorsi di studio coerenti con la domanda del mercato occupazionale, il rafforzamento della formazione scuola-lavoro, il potenziamento degli Its (Istituti Tecnici Superiori) e dell’apprendistato professionalizzante, sono alcuni possibili percorsi per avvicinare le nuove generazioni alle reali esigenze delle imprese. Parallelamente, gli incentivi all’assunzione con sgravi contributivi per chi assume giovani under 30, con particolare attenzione alle figure tecniche e specialistiche, sono e saranno ulteriori tasselli del piano di sostituzione.

D’altro lato, la valorizzazione delle competenze dei lavoratori senior è altro elemento chiave. Programmi di mentorship interna per favorire il trasferimento del know-how aziendale, iniziative mirate a permettere a ex dipendenti qualificati di collaborare come consulenti esterni, mantenendo un legame con l’azienda, e strumenti per l’uscita posticipata dal lavoro (si pensi oggi al bonus Maroni), magari con orari più flessibili o contratti in vario modo agevolati, saranno anch’essi utili per una sostituzione graduale ma inevitabile.

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Tecnologia, work-life balance e questione salari

E ancora, automazione e digitalizzazione saranno altri elementi chiave: gli investimenti in robotica, IA e software gestionali potranno ridurre la dipendenza dal lavoro manuale o ripetitivo e, al contempo, lo smart working per “fidelizzare” i talenti (e che può essere utile anche per evitare lo spopolamento dei borghi) – nei contesti dove è o sarà possibile adottarlo – contribuirà a ottimizzare processi produttivi e organizzativi, così da fare di più con meno persone e/o in meno tempo.

Altra questione clou è quella della lotta al precariato e dell’aumento delle buste paga, al fine di rendere più attrattivo il lavoro specie in settori come l’edilizia o il turismo. Molti giovani rifiutano le proposte a causa di stipendi troppo bassi e condizioni poco dignitose, e si recano all’estero per trovare miglior fortuna. Insomma, l’idea di fondo è quella di un migliore work-life balance, grazie a flessibilità oraria e sagge misure di welfare aziendale.

Concludendo, la sostituzione dei 3 milioni di addetti non si potrà affrontare con una sola misura. Servirà un mix di politiche, provvedimenti normativi, interventi in legge di Bilancio o in decreti ministeriali riguardanti delicati temi come la formazione, l’allungamento della vita lavorativa, l’immigrazione qualificata, la tecnologia e gli incentivi alle imprese. Non una missione semplice, ma un percorso doveroso per il futuro delle generazioni più giovani e per la tenuta dell’economia del paese.





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