Le chiusure, le sospensioni e le disattivazioni degli account sui social network rappresentano un fenomeno in costante aumento, che investe tanto gli utenti privati quanto le imprese.
Le sospensioni degli account social tra phishing e gestione unilaterale
Ogni giorno si moltiplicano le segnalazioni di persone che, dopo aver cliccato su un link ingannevole ricevuto tramite phishing, perdono il controllo del proprio account. La piattaforma interviene tempestivamente, ma spesso con un blocco totale che finisce per penalizzare proprio chi è stato vittima di un attacco esterno.
Parallelamente, crescono anche i casi di blocchi e sospensioni imposti direttamente dai gestori delle piattaforme, senza preavviso e senza motivazioni dettagliate. In questo quadro emerge una relazione profondamente sbilanciata tra chi gestisce lo strumento e chi lo utilizza come mezzo di comunicazione, di lavoro o di promozione commerciale.
Tutela del consumatore in caso di sospensione dell’account personale
Quando l’account è personale, la normativa europea e nazionale offre strumenti concreti. L’utente può rivolgersi al tribunale della propria residenza e chiedere tutela. Questa possibilità vale anche quando l’account è utilizzato in modo ibrido, cioè sia per finalità private sia per attività professionali. L’ordinanza del Tribunale di Bologna del 10 marzo 2021 ha affermato che, in presenza di un contratto stipulato come account personale, prevale la qualifica di consumatore, anche se nel tempo quell’account ha iniziato a veicolare attività lavorative.
Questo orientamento è di grande importanza per i professionisti che hanno sottoscritto contratti standard e che si trovano a utilizzare i social come strumenti di promozione del proprio lavoro. Nei ricorsi che arrivano ai tribunali, spesso si dimostra che la fase iniziale del rapporto contrattuale era destinata a un uso personale e questo consente di applicare tutte le tutele proprie del consumatore, con la possibilità di invocare norme come il Codice del Consumo e ottenere un foro di prossimità.
Violazione contrattuale e inefficacia delle procedure di recupero
In questi casi, il fulcro dei motivi di ricorso è rappresentato dall’inadempimento contrattuale, inteso come mancato rispetto delle condizioni sottoscritte al momento dell’iscrizione e delle obbligazioni di correttezza e trasparenza che vincolano la piattaforma. Nelle azioni legali viene evidenziato che la chiusura o la sospensione dell’account avviene senza motivazioni circostanziate e in violazione delle procedure interne promesse all’utente. Inoltre, le procedure di recupero che le piattaforme dichiarano di mettere a disposizione risultano spesso inefficaci, si bloccano in passaggi ripetitivi e non permettono mai di interagire con un operatore, lasciando l’utente in un circuito senza via d’uscita.
Dati personali e accesso negato dopo la chiusura dell’account
Un altro profilo di rilievo, spesso alla base dei ricorsi dei privati, riguarda la protezione dei dati personali. Molti utenti lamentano che la chiusura dell’account ha impedito l’accesso a dati propri, fotografie, contatti e contenuti che spesso rientrano nella sfera tutelata dal Regolamento europeo 2016/679, con conseguente perdita definitiva di materiali di valore e aggravamento del pregiudizio subito. Viene richiamato il diritto di accesso ai dati, sancito dall’articolo 15 del GDPR, e il diritto alla portabilità. Nei ricorsi si evidenzia che la piattaforma, con la disattivazione unilaterale e l’assenza di strumenti efficaci per recuperare le informazioni, ha leso anche diritti fondamentali in materia di privacy, aggravando l’impatto della sospensione.
Il regolamento platform to business per le imprese
Il contesto cambia invece radicalmente quando il soggetto titolare dell’account è un’impresa. In questo caso trova applicazione il Regolamento europeo 2019/1150, noto come Platform to Business. Questo testo normativo è nato per colmare una lacuna evidente: le piattaforme digitali erano divenute, nel tempo, veri e propri snodi commerciali essenziali e molte imprese avevano sviluppato un livello di dipendenza economica e tecnica tale da non poter sostenere interruzioni o blocchi arbitrari. L’Unione Europea ha riconosciuto che, dopo aver regolato per anni i rapporti B2C (Business to Consumer) e B2B (Business to Business), era necessario intervenire anche nel rapporto tra piattaforme e imprese. Il regolamento impone alle piattaforme obblighi di trasparenza, motivazioni circostanziate in caso di sospensione e un preavviso adeguato, di norma non inferiore a trenta giorni, prima di interrompere o limitare un servizio essenziale per l’attività.
Violazioni sistematiche del regolamento P2B e conseguenze operative
Nei casi pratici seguiti dallo studio emergono sistematicamente violazioni di queste regole. Un gruppo societario che gestiva campagne pubblicitarie per clienti terzi si è visto sospendere, in un solo giorno, tutti gli account aziendali e quelli personali di alcuni amministratori. La conseguenza immediata è stata il blocco di milioni di euro di credito pubblicitario e la perdita di continuità operativa su decine di campagne in corso. Nessuna motivazione dettagliata, nessuna possibilità di interloquire con un referente umano, soltanto messaggi automatici privi di indicazioni concrete.
Un’altra azienda, operante come venditore su una piattaforma e-commerce, ha visto congelare oltre duecentomila euro per presunte anomalie nei rimborsi. Anche in quel caso, l’impresa aveva già inviato un piano di azione dettagliato per sanare eventuali criticità, ma la piattaforma non ha fornito un preavviso e non ha mai comunicato una motivazione specifica e verificabile.
Inefficacia dei sistemi di reclamo delle piattaforme
Questi episodi non sono isolati. Nelle diffide inviate alle piattaforme ricorrono sempre gli stessi elementi: chiusura improvvisa, assenza di motivazioni puntuali, mancato rispetto dell’obbligo di preavviso e totale opacità sui canali di reclamo. Il Regolamento Platform to Business prevede anche che le piattaforme mettano a disposizione un sistema interno di gestione dei reclami, ma nei casi affrontati tali sistemi si sono rivelati inefficaci o inesistenti. Le imprese hanno presentato richieste di chiarimenti e documenti comprovanti la regolarità delle operazioni svolte, ricevendo in cambio soltanto risposte automatiche, mai un esame sostanziale della questione.
Limiti giurisdizionali e ostacoli all’azione legale delle imprese
E allora, la difficoltà maggiore emerge nel momento in cui si tenta di far valere i propri diritti. I contratti standard delle piattaforme spesso indicano fori giurisdizionali esteri, con costi e tempi tali da scoraggiare anche le realtà più strutturate, ma, in diversi casi, applicando le regole generali, la competenza resta del tribunale del convenuto, cioè il tribunale del luogo in cui ha sede la piattaforma o quello individuato in base alle norme di diritto internazionale privato. Questa distinzione genera complessità operative, incertezze e costi altissimi. La possibilità di intraprendere un ricorso realmente efficace si riduce drasticamente e le piattaforme mantengono così una posizione di forza incontrastata. Se vuoi, vieni a difenderti a casa mia.
Asimmetria contrattuale e impatto delle sospensioni sul business
La sproporzione tra le risorse legali e tecnologiche delle piattaforme e la capacità di reazione delle imprese emerge con evidenza. Le aziende, anche se operano come soggetti business, restano spesso prive di una rete di protezione paragonabile a quella riconosciuta ai consumatori. Le aziende dovrebbero poter contare su una tutela equivalente perché le piattaforme sono diventate infrastrutture essenziali per l’attività economica. Si tratta di contratti per adesione, nei quali l’impresa non ha alcuna possibilità di negoziare: o accetta le condizioni e le regole imposte, oppure rinuncia al servizio. Questa dinamica rende evidente uno squilibrio enorme di forza economica e contrattuale, che lascia il business in una posizione di estrema vulnerabilità.
La sospensione improvvisa di un account può bloccare vendite, campagne pubblicitarie e rapporti con i clienti, causando danni che vanno ben oltre quelli di un utente privato. Proprio per questo la logica di protezione, oggi garantita solo al consumatore, dovrebbe estendersi anche al business, così da assicurare continuità operativa e la possibilità reale di far valere i propri diritti.
La necessità di nuove norme per la tutela effettiva delle imprese
Il Regolamento P2B già citato ha rappresentato un segnale politico e giuridico importante, ma l’esperienza sul campo dimostra che non basta. Le piattaforme continuano a gestire in modo unilaterale gli account delle imprese, senza motivazioni chiare e senza rispettare i termini di preavviso, sapendo bene che la maggior parte delle aziende, in particolare le piccole e micro imprese, difficilmente riuscirà ad affrontare un contenzioso vero e proprio davanti a un tribunale.
Tutti i diritti teorici che oggi esistono per le aziende passano dalla possibilità concreta di avviare un’azione legale efficace, proprio come avviene per il consumatore che può rivolgersi al proprio tribunale. Se questa possibilità resta solo sulla carta, la tutela è puramente apparente e quindi inconsistente. È necessario che l’Unione Europea intervenga con regole più incisive, in grado di garantire alle aziende una protezione effettiva, concreta e realmente esercitabile, così da riequilibrare la relazione e assicurare una difesa paragonabile a quella già riconosciuta ai consumatori. Le imprese hanno costruito un intero modello operativo intorno alle piattaforme digitali, ma non dispongono ancora di strumenti realmente utilizzabili per difendere il proprio lavoro e le proprie risorse. Servono norme armonizzate, applicabili in ogni Stato membro, che permettano alle aziende di ottenere risposte rapide, motivazioni documentate e la possibilità reale di far valere i propri diritti senza ostacoli sproporzionati.
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