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58 ecosistemi su 85 sono a rischio


Bisogna rafforzare la tutela della natura e garantire coerenza delle politiche, migliorare gli strumenti di gestione e monitoraggio dei programmi per la biodiversità, in un’ottica sistemica, dare attuazione a livello nazionale agli impegni globali sottoscritti con la Convenzione sulla diversità biologica. Occorre inoltre potenziare la contabilità ambientale, tenere in considerazione il rapporto tra costi e benefici per la realizzazione dei progetti, estendere l’approccio europeo del Do no significant harm (Dnsh) oltre i confini del Pnrr e coinvolgere il mondo dell’economia nella protezione della biodiversità.

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Sono queste, in sintesi, le raccomandazioni che arrivano dal Sesto rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia, pubblicato lo scorso 28 agosto dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (Mase). Lo studio contiene i principali concetti, e i progressi, relativi alla misurazione e alla valutazione dello stato del capitale naturale, dei servizi ecosistemici e degli impatti delle politiche pubbliche su di essi.

Nel lavoro del Mase si sottolinea l’importanza della modifica costituzionale del 2022, definita una “svolta storica per l’Italia”, capace di riconoscere la tutela degli ecosistemi e della biodiversità come principio fondamentale della Repubblica. La natura diventa così elemento essenziale per garantire la salute delle cittadine e dei cittadini e per preservare i servizi fondamentali che il capitale naturale fornisce, come aria pulita, acqua potabile, suolo fertile e cibo sano.

In risposta agli impegni internazionali presi – dall’Agenda 2030 all’Accordo di Parigi, fino alla dichiarazione approvata dalla Cop 15 sulla biodiversità -, nel corso degli ultimi mesi l’Italia ha aggiornato la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, ha adottato la Strategia nazionale biodiversità 2030 e ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc). Strategie che si affiancano ad altri piani “chiave”, come la Strategia forestale, il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), il Piano per la transizione ecologica (Pte) e le misure previste dal Pnrr.

Nel 2023, ricorda inoltre il Rapporto, è nato il National biodiversity future center (Nbfc), una rete nazionale che riunisce università, centri di ricerca, associazioni e realtà private e sociali. Il suo obiettivo è intraprendere azioni concrete per arrestare la perdita di biodiversità, ripristinare gli ecosistemi e valorizzare il capitale naturale, contribuendo a raggiungere l’impegno europeo di proteggere almeno il 30% del territorio nazionale entro il 2030.

Ecosistemi a rischio

Secondo la Lista rossa degli ecosistemi a rischio stilata dall’Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura), in Italia sono a rischio 58 ecosistemi. Tra questi, sette versano in condizioni critiche, 22 sono classificati come “in pericolo” e 29 come “vulnerabili”. Complessivamente, le aree del Paese sottoposte a pressioni ambientali di varia intensità coprono il 19,6% del territorio nazionale, pari a circa il 43% della superficie occupata da ecosistemi naturali e seminaturali.

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C’è poi la questione suolo, spesso sottovalutata dall’opinione pubblica. Nel Rapporto vengono riportati i dati europei in relazione al suo consumo e degrado. Nel nostro Continente tra il 60% e il 70% dei terreni è definito “non sano”; sono presenti, inoltre, circa 2,8 milioni di siti potenzialmente contaminati. “Un suolo sano è essenziale per l’agricoltura, per l’ecosistema nel suo complesso e per l’equilibrio territoriale. La biodiversità dei suoli sani contribuisce alla resilienza delle piante, anche quelle coltivate”, si legge nello studio del Mase. Per questo motivo, la Commissione europea, sulla base della Strategia dell’Ue per il suolo per il 2030, ha avviato un percorso per la definizione di un quadro normativo dedicato alla tutela dei suoli. Obiettivo è ottenere un buono stato di salute del suolo entro la metà del secolo.

Investire nella natura conviene

Il Rapporto ha ribadito i tanti vantaggi generati dalla transizione verso un’economia decarbonizzata. Gli investimenti nel ripristino della natura, come ricordato anche dalla Commissione Ue, possono infatti generare da quattro a 38 euro di valore economico per ogni euro speso. In Italia la riqualificazione ecologica potrebbe addirittura portare benefici per 2,4 miliardi di euro, a fronte di costi pari a 261 milioni di euro: un rapporto superiore a quello medio dell’Ue.

Un’analisi pubblicata dalla Banca centrale europea (Bce) nel 2023 evidenzia come circa il 72% delle 4,2 milioni di imprese non finanziarie attive nei 20 Paesi dell’eurozona dipenda in maniera diretta da almeno un servizio ecosistemico. Non solo: quasi il 75% dei prestiti bancari concessi a questo tipo di aziende è legato ad attività fortemente dipendenti dal funzionamento degli ecosistemi naturali. L’importanza dei servizi ecosistemici è stata sottolineata in più occasioni. La Banca mondiale, per esempio, ricorda che il declino della fornitura di “soli” tre servizi – impollinazione, cibo proveniente dalla pesca, fornitura di legname – comporterebbe una perdita per il Pil globale pari a 2,7mila miliardi di dollari entro il 2030.

La perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi costituiscono dunque una seria e crescente minaccia per l’economia, e possono compromettere in misura significativa la stabilità finanziaria. La prospettiva corretta, conclude l’analisi, “non dovrebbe portare a concentrarsi sul profitto immediato ma sulla redditività di lungo periodo”. Ciò significa assicurarsi benefici economici futuri salvaguardando al tempo stesso le condizioni che li rendono possibili, nel rispetto dei principi di sostenibilità e di equilibrio tra attività umane e sistemi naturali.

Per quanto riguarda il budget destinato alla protezione del capitale naturale, nel 2022 il gettito delle imposte ambientali ammontava a circa 41,5 miliardi di euro: 24,4 miliardi di imposte sono state pagate dalla famiglie e 16,6 miliardi di euro dalla attività economiche (il resto dai non residenti).

Le risorse destinate dallo Stato alla spesa primaria per la protezione dell’ambiente e per l’uso e la gestione delle risorse naturali erano invece pari a 33,9 miliardi di euro, in pratica il 3,4% della spesa primaria complessiva del bilancio dello Stato, rispetto ai 12,8 miliardi di euro del 2021. Un aumento dovuto alle risorse stanziate per contrastare l’aumento dei costi dell’energia elettrica e del gas.

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di Ivan Manzo

 

Copertina: Unsplash



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