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In tema di rapporto tra processo penale e processo tributario la Cassazione perde la bussola


Per la Cassazione (da ultimo ord. n. 21081/2025) la sentenza irrevocabile di assoluzione, perché il fatto non sussiste (o l’imputato non lo ha commesso) nel processo tributario limita la sua rilevanza alla sola comminazione della sanzione, ma non dilata i suoi effetti al tributo. Pur essendo stata rimessa al giudizio dirimente delle Sezioni Unite che, ad oggi, non si sono pronunciate, la questione, per i Principi di diritto sulla significatività indiziaria delle prove nei 2 processi tributario e penale che coinvolge, richiede un esame.

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Il caso di cui alla citata ordinanza n. 21081/2025 si raccorda all’esito di una verifica condotta da militari della G.d.F. e alla consegna del relativo processo verbale di constatazione. L’Agenzia delle Entrate aveva notificato un atto impositivo con il quale, in particolare, contestava alla società accertata la contabilizzazione di fatture per operazioni ritenute inesistenti emesse da una ditta individuale. La CTP di Palermo accoglieva il ricorso proposto dalla contribuente in ordine ai suddetti costi asseriti inesistenti e la CTR della Sicilia ribadiva l’indimostrata inesistenza da parte dell’ufficio dei costi in questione.

L’Agenzia delle Entrate, con l’impugnazione di rito della sentenza della CTR, aveva chiesto la cassazione della sentenza per «violazione e falsa applicazione degli artt. 109 TUIR, 19 e 54 DPR 633/72, nonché 2697 e 2729 (in tema di onere della prova e significatività indiziaria delle presunzioni)», per l’assenza dei requisiti minimi organizzativi e la totale evasione d’imposta del fornitore, la cui ditta era stata, pertanto, considerata una mera cartiera.

Nella memoria illustrativa, la difesa della società ha invocato gli effetti dell’art 21-bis, D.Lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), D.Lgs. n. 87/2024, a mente del quale: «La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi», allegando a tal fine la sentenza penale pronunciata dal Tribunale di Palermo, con la quale i rappresentanti legali della Società erano stati assolti dai reati loro ascritti relativi alla emissione di fatture per operazioni inesistenti. La Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno sospendere la definizione del giudizio in attesa della pronuncia delle SS.UU. alle quali, nell’ambito del giudizio RGN 27278/2017, con ordinanza n. 5714/ 2025, è stata rimessa la decisione circa la rilevanza del giudicato penale nel giudizio tributario, in ordine a una sentenza definitiva di assoluzione dell’imputato, con formula perché il fatto non sussiste o l’imputato non ha commesso il reato. La Corte di Cassazione (in attesa della pronuncia delle SS.UU.) in ordine all’applicazione del suddetto art 21-bis ha delineato un’interpretazione (a dir poco originale) che limita la rilevanza assolutoria della sentenza al solo comparto sanzionatorio, scindendo la sorte del tributo che rimarrebbe in tal modo soggetto alle regole processuali e allo standard probatorio del rito tributario.

Da tale scissione la dottrina ha fatto derivare la convinzione che, per il giudice di Cassazione, esistano 2 livelli di raccordo indiziario con il fatto materiale: uno penale e uno amministrativo. In base a tale anomala scissione, la sentenza di assoluzione del giudice penale, in quanto il fatto non sussiste o in quanto l’imputato non lo ha commesso, si riverserebbe sul contenzioso tributario, con effetti vincolanti limitati al solo potere punitivo, senza pregiudicare la sorte del tributo connessa al medesimo fatto materiale. Nel processo tributario, quindi, il tributo potrebbe venire dichiarato dovuto, ma la relativa condotta (omissiva o commissiva) non venire punita, perché il fatto non sussiste. Indubbiamente un connubio di rara logicità sillogistica. Ora, e al di là dei vari temi relativi al principio generale sull’autonomia dei 2 processi (che proprio il suddetto art 21-bis, D.Lgs. n. 74/2000, sembra aver decisamente incrinato), quello che emerge dalla vicenda processuale in esame, come sottolineato anche in dottrina (Marco Di Siena), è la convinzione del giudice di Cassazione di un diverso livello di rinforzo probatorio nei 2 processi, un livello minorato (quello tributario) e uno rigoroso (quello penale), per cui alla Corte è evidentemente apparsa troppo spinta una prospettiva tesa ad avvallare la piena osmosi tra i 2 processi, con l’esito di divaricare il crinale della prova in ordine al tributo da quello della condotta che genera il pregiudizio fiscale, non punibile se nel processo penale il fatto contra legem non emerge. Non può non apparire evidente l’illogicità dell’asimmetria tra tributo e sanzione.

Se nel processo penale viene appurato che il fatto criminoso dell’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti non sussiste, sulla base di quale diversa consistenza indiziaria si può arrivare a confutarne l’esito nel processo tributario, se la delineazione strutturale delle presunzioni è in ogni caso (in entrambi i processi) da raccordare alla c.d. struttura ternaria della gravità, precisione e concordanza, dove il requisito della precisione è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della gravità al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della concordanza, richiede che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza. Da quale astratto principio ordinamentale riesce a derivare (al di fuori della tassativa casistica di violazioni di legge che ammette nel rapporto d’imposta l’uso delle c.d. presunzioni semplicissime, sprovviste, quindi, delle riportate prerogative di rinforzo indiziario) l’affievolimento dei supporti di prova nel contenzioso tributario. Se la presunzione nell’assetto legale precisato dall’art 2729, c.c., è la solo struttura della presunzione ammessa in entrambi i contesti processuali, per quale motivo in quello tributario può rendersi concepibile un regime probatorio minorato in grado di far emergere ciò che non è emerso nel processo penale?

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Inoltre, anche ammesso per astratto la coesistenza dei 2 diversi livelli di forza presuntiva nei 2 diversi processi, una volta che viene ritenuto che il fatto da cui dipende il tributo si è manifestato nella realtà economica, la scissione del tributo rispetto alla sanzione come appare giustificabile? Verrebbero a coesistere 2 verità processuali parziali: una sul tributo e una sulla condotta connessa alla sanzione. Ma se la condotta connessa alla sanzione non è esistita, non si può non considerare che quella condotta è la medesima alla base del fatto economico da cui è derivato il tributo. Un chiaro corto circuito di logica ordinaria, prima ancora che di diritto.

La questione, per chi scrive, è che sulla struttura delle presunzioni la Cassazione ha da tempo perduto la bussola che ne dovrebbe, invece, coordinare l’orientamento nomofilattico e nella sostanza abdicato al suo potere (dovere) di indagine. Anche con la recente ordinanza n. 21058/2025, la Cassazione è tornata a reiterare il suo consolidato principio di diritto a mente del quale, sebbene il ragionamento presuntivo non possa sottrarsi al controllo in sede di legittimità, la denuncia, in Cassazione, per violazione o falsa applicazione del citato art 2729, c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si rende prospettabile solo quando il giudice di merito afferma che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti, ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota. In ogni altro caso, la struttura del ragionamento presuntivo partecipa della discrezionalità valutativa del giudice di merito. Per la Cassazione il motivo d’impugnazione va considerato come inammissibile, quando attraverso il paradigma della violazione di Legge il contribuente, nella sostanza, intenta una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, scrutinio precluso nel giudizio di legittimità. In tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato dal giudice di merito, nonché la valutazione del materiale probatorio, in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante, costituisce espressione della discrezionalità valutativa del solo giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C..

Trattasi di una giurisprudenza di Cassazione che ha ormai abdicato a qualsiasi forma di scrutinio sui principi di diritto a governo della delineazione strutturale del ragionamento presuntivo. Se al giudice di Cassazione può essere rimesso solo il caso, del tutto manifestatamente astratto, che il giudice, nei gradi di giudizio delle CGT, abbia espressamente affermato che il ragionamento presuntivo può assumere a premessa indizi non gravi, precisi e concordanti o se raccorda, sempre astrattamente, il ragionamento presuntivo a un fatto storico inesistente o privo di ogni significatività, è chiaro il proclama di disinteresse (solo fattuale, ma non di corretto governo del diritto) del giudice di legittimità in ordine alle prerogative strutturali della presunzione. Chi scrive, invece, ritiene che proprio perché una presunzione, per potersi appropriare dell’autentica struttura ternaria della gravità, precisa e concordanza, deve essere nella condizione processuale di rappresentarsi non solo come un’inferenza logica tra il fatto noto e il fatto indotto, ma come l’inferenza deduttiva più probabile tra i 2 poli del raccordo presuntivo, capace di scartare ogni altra combinazione deduttiva che, se pur dotata di una qualche prospettiva di coerenza, appare coesistere o addirittura soccombere rispetto ad altre logiche inferenziali fondate su un diversa combinazione di fatti noti, il giudice di Cassazione non possa esimersi dal verificare se la presunzione alla base del recupero fiscale è dotata di un tale livello di vis dimostrativa. Più precisamente, se attraverso un diverso raccordo riflessivo di fatti noti con il correlato esito deduttivo si riesce a prospettare una criticità logica dotata di un livello di verosimiglianza superiore alla coerenza di sintesi su cui si fonda il convincimento del giudice dell’appello, tale diversa configurazione indiziaria non va intesa alla stregua di una diversa prospettazione dei fatti, ma, piuttosto, come destrutturazione dell’autentica prerogativa della presunzione grave, precisa e concordante e, quindi, come violazione di Legge ex art 2729, c.c..

Tale riportato disinteresse ermeneutico della Corte verso la struttura della presunzione appare essere anche alla base della convinzione che connota come lecito un regime probatorio minorato nel processo tributario, nel cui contesto evidentemente non appare necessario il garantismo che modella il processo penale. È sperabile che le Sezioni Unite, chiamate a dirimere la controversia, indirizzino finalmente in modo corretto l’orientamento della bussola, non più direzionata verso l’onnipotenza del Fisco, ma verso l’onnipotenza del diritto e della logica delle sue regole.



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