di Valter Barbero, produttore di Mango
LETTERA AL GIORNALE – Gentile direttore, mi rivolgo a Gazzetta d’Alba come estremo tentativo di dare voce a un problema che rischia di compromettere il futuro del Moscato d’Asti e delle aziende agricole come la mia: realtà che coltivano, vinificano e imbottigliano le proprie uve, investendo da anni nella qualità del Moscato d’Asti Docg e nella costruzione di un mercato solido e credibile, che – a differenza dell’Asti spumante – non vive una situazione di crisi.
Con riferimento al provvedimento vendemmiale 2025 per la Docg Asti relativa alla riduzione della resa a 90 q/ha (di cui 5 q/ha soggetti a stoccaggio, desidero esprimere con fermezza la mia contrarietà a tale misura.
Ragioni della contrarietà
1. Contraddizione evidente nella gestione delle rese
È doveroso ricordare che dal 2021 al 2023 gli stessi soggetti industriali che oggi invocano la riduzione delle rese, hanno imposto rese superiori a quelle previste dal disciplinare, affermando di averne necessità per rispondere alla domanda. Oggi, quelle scelte si stanno rivelando miopi e dannose: hanno generato uno squilibrio strutturale, incrementato le giacenze e messo in difficoltà l’intera filiera.
2. Andamento del mercato
Dal 2014 ad oggi l’Asti spumante ha registrato un calo costante e strutturale nelle vendite, mentre il Moscato d’Asti ha mostrato una tendenza di crescita. Questo evidenzia che il problema non è soltanto quantitativo, ma riguarda soprattutto la capacità di valorizzare e riposizionare il prodotto, in particolare l’Asti spumante, il cui trend negativo non può più essere ignorato.
3. Giacenze fuori controllo
Siamo passati da una mancanza di prodotto nel 2010 a una giacenza ormai cronica, che ha raggiunto gli attuali 377mila ettolitri di giacenza complessiva che non può diventare una giustificazione permanente per imporre tagli produttivi. È semmai la conferma della mancanza di una strategia seria e coordinata di gestione dell’offerta, di promozione dei consumi e di riequilibrio tra produzione e domanda.
4. Penalizzazione delle aziende agricole virtuose
La riduzione a 85 q/ha è particolarmente ingiusta per le aziende agricole che, oltre a coltivare, vinificano e imbottigliano uve di propria produzione, lavorando con cura e ottenendo prodotti di qualità. Queste aziende, che non hanno giacenze di mosto, pur avendo oggi un potenziale in vigneto di 100 q/ha sono costrette a dover acquistare fino al 15% di uve o mosti da terzi, spesso da realtà che non condividono lo stesso standard qualitativo.
5. Assenza di una visione qualitativa e strategica
Non si intravede, in questa proposta, alcuna volontà di rilanciare la denominazione investendo su qualità, comunicazione e selezione. Non è accettabile che, in assenza di una campagna strutturata di valorizzazione e promozione del prodotto, si scelga la strada più semplice — e più dannosa — della riduzione delle rese. Occorre, piuttosto, impegnarsi concretamente per vendere meglio il prodotto che già esiste, responsabilizzando l’industria e coinvolgendo la Regione Piemonte, la cui azione di garanzia risulta oggi quanto mai indispensabile.
6. Disparità di rappresentanza nel Consorzio
La proposta si inserisce in un contesto in cui la rappresentanza all’interno del Consorzio è squilibrata, con l’industria e la cooperazione che dominano le decisioni grazie a meccanismi ponderati che escludono di fatto i piccoli produttori indipendenti e gli agricoltori.
7. Tempistiche inaccettabili e gravi per la pianificazione aziendale
Non è accettabile che un produttore agricolo venga a conoscenza della resa consentita per il proprio vigneto solo a circa tre settimane dalla vendemmia. Una decisione così tardiva compromette la programmazione agronomica, le scelte vendemmiali e la pianificazione economica dell’intera annata. Allo stesso modo, è inaccettabile che un vinificatore in proprio venga a sapere, a così ridosso della raccolta, di quale quantità di mosto Moscato d’Asti Docg potrà disporre. Queste condizioni impediscono un’organizzazione seria del lavoro, ostacolano gli acquisti e le relazioni commerciali con l’estero. La filiera non può continuare a vivere in uno stato di incertezza strutturale.
8. Sospetti legittimi su logiche opportunistiche
Si fa sempre più strada l’ipotesi che alcune grandi industrie spumantiere stiano sostenendo la riduzione della resa anche per motivazioni estranee all’equilibrio reale del mercato. In particolare, si teme che la riduzione venga utilizzata come strumento per creare le condizioni affinché l’Unione Europea, rilevando ufficialmente una situazione di crisi produttiva, possa intervenire con misure di sostegno economico. Se questo sospetto fosse fondato, ci troveremmo di fronte a una manovra speculativa a danno dell’intero comparto agricolo. Sarebbe inaccettabile che, per permettere a pochi grandi attori di ottenere fondi europei sulle giacenze accumulate, si sacrifichino le rese e la sostenibilità economica di centinaia di aziende agricole che lavorano in modo serio, senza creare eccedenze e senza chiedere nulla.
9. Necessità di trasparenza sui dati di stoccaggio
Chiediamo che vengano forniti in modo chiaro e dettagliato i dati aggiornati relativi allo stoccaggio suddiviso tra Asti spumante Docg e Moscato d’Asti Docg. Solo disponendo di queste informazioni sarà possibile valutare con obiettività quale delle due tipologie sia effettivamente in sofferenza commerciale e quale invece presenti margini di tenuta o crescita. Non è più accettabile assumere decisioni così impattanti sull’intera filiera agricola basandosi su dati aggregati e poco trasparenti. La distinzione tra le due denominazioni è fondamentale per elaborare una strategia produttiva coerente con l’andamento reale del mercato.
La proposta
Venga mantenuta la resa a 100 q.li/ha prevista dal disciplinare almeno per quelle aziende che producono, vinificano e imbottigliano esclusivamente uve di propria produzione, in assenza di giacenze e nel rispetto di criteri di qualità certificabile.
Questa è una proposta, che tutela gli equilibri della denominazione, premia i produttori virtuosi e restituisce dignità e giustizia ai produttori di moscato d’asti.
Queste scelte, così come vengono oggi prospettate, rischiano di colpire proprio le aziende agricole che vivono esclusivamente di questo lavoro: realtà che non hanno margini di diversificazione e che, se messe nelle condizioni di non poter programmare con certezza la loro attività, si troveranno a rischio concreto di sopravvivenza.
Il Moscato d’Asti è il frutto del lavoro di centinaia di famiglie che, con dedizione e sacrificio, hanno costruito nel tempo un patrimonio economico e culturale riconosciuto in tutto il mondo. Non possiamo permettere che decisioni miopi compromettano tutto questo.
A rendere la situazione ancora più grave è il fatto che le case spumantiere che oggi dettano le regole dell’intera filiera non vivono di Moscato d’Asti, ma producono vini e prodotti alcolici di ogni tipo, spesso legati alle mode del momento, e quindi indifferenti al destino di questa denominazione: per loro il Moscato è solo una parte marginale, mentre i loro bilanci si reggono su ben altro.
Mi auguro che chi ha responsabilità di governo della denominazione e delle politiche agricole sappia rendersi conto della gravità della situazione e possa intervenire con equilibrio e coraggio, affinché le aziende che lavorano seriamente non vengano penalizzate e possano continuare a garantire futuro e valore al nostro territorio.
Grazie per avermi dato voce.
Cordiali saluti.
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