La rivoluzione digitale non è ancora di tutti. Nell’epoca del sempre connessi, 2,6 miliardi di persone, un terzo della popolazione mondiale, è in digital divide, ovvero completamente offline. Questo non coinvolge solo l’accesso a internet, ma la piena fruizione dei propri diritti e la capacità di innovare. All’indomani della pubblicazione dello studio Itu, che ha calcolato costi per 2.800 miliardi di dollari per colmare il divario digitale globale, Andrea Poggi, Head of Public Policy & Stakeholder Relations Centre di Deloitte Central Mediterranean, sottolinea le implicazioni del divario nel suo articolo pubblicato su Voices, la nuova piattaforma che ospita commenti sui temi di attualità firmati dagli esperti di Deloitte Italia.
“Nell’epoca della grande rivoluzione digitale, piattaforme e tecnologie evolvono con velocità crescente: dalla telemedicina al telelavoro, dall’e‑commerce all’e‑learning, Internet e i sistemi di intelligenza artificiale ridefiniscono modelli di business e interazioni sociali”, scrive Poggi. “Eppure un terzo della popolazione mondiale resta ancora offline, creando un divario digitale che coinvolge non solo l’accesso alla rete, ma anche la capacità di utilizzarla per innovare e partecipare alla vita economica e sociale”.
Digital divide: un terzo della popolazione mondiale è esclusa
Riprendendo il report “The Digital Divide: A Barrier to Social, Economic and Political Equity”, realizzato dal Public Policy & Stakeholder Relation Centre di Deloitte con Ispi, Poggi sottolinea che “a livello globale le differenze nell’uso delle nuove tecnologie rimangono marcate”.
Secondo lo studio, infatti, nei Paesi ad alto reddito la connessione è ormai data per scontata, con il 93% della popolazione online, mentre nelle nazioni più povere solo il 27% riesce a connettersi alla rete. Secondo le stime della Banca Mondiale, l’esclusione digitale potrebbe costare fino a 2.000 miliardi di dollari in termini di crescita perduta nel prossimo decennio.
Le soluzioni: investimenti e infrastrutture per la connettività mobile
Affrontare questo quadro così complesso richiede molteplici azioni. Innanzitutto, uno sforzo in termini di investimenti: “Le stime indicano che sono necessari 418 miliardi di dollari per connettere tutti i cittadini che sono oggi offline“, spiega Poggi. “I nuovi investimenti devono puntare anche a colmare le disparità all’interno degli stessi Paesi, dove l’83% di chi vive nelle città può navigare online, mentre nelle aree rurali solo il 48% ha questa possibilità. Una disomogeneità di accesso che accentua le disuguaglianze territoriali, rallentando lo sviluppo delle comunità più periferiche”.
Un’altra priorità strategica, secondo lo studio, deve essere data al potenziamento delle infrastrutture per la connettività dei dispositivi mobili.
“I dati dimostrano che un aumento del 10% della penetrazione della banda larga mobile può stimolare un incremento del Pil pro capite dell’1,5-1,6%. Vanno inoltre rafforzati i servizi digitali a favore del business. Piattaforme online avanzate possono portare in media un aumento dell’8% nell’afflusso di investimenti diretti esteri e favorire l’accesso al credito per oltre 19 milioni di imprese locali che altrimenti resterebbero tagliate fuori dai finanziamenti”, evidenzia Poggi.
Il divario digitale è questione anche di competenze
Ma il digital divide non è solo una questione infrastrutturale. C’è anche il nodo delle competenze. I giovani e le donne rappresentano i gruppi maggiormente esposti alle lacune formative: “Nei Paesi a basso reddito, ad esempio, il 90% delle ragazze tra i 15 e i 24 anni non ha accesso a internet e la loro possibilità di acquisire competenze digitali è inferiore del 35% rispetto ai loro coetanei maschi”, commenta Poggi.
Così, la mancanza di “alfabetizzazione” informatica – dalla navigazione di base all’uso di piattaforme evolute – esclude vaste fasce di popolazione da opportunità di formazione, lavoro e innovazione, pregiudicando ancora di più la crescita economica dei Paesi più deboli.
“L’impatto di queste disparità digitali si propaga attraverso tutti gli ambiti della società contemporanea. Nel mondo del lavoro, chi non possiede competenze digitali si trova relegato ai margini di un mercato sempre più esigente, mentre le imprese che operano in contesti digitalmente arretrati perdono competitività. Parallelamente, in ambito sanitario, l’impossibilità di accedere a servizi online significa spesso rinunciare alle cure, soprattutto per chi vive lontano dai centri urbani”, scrive Poggi.
La formazione digitale per superare il digital divide
Fondamentale anche promuovere programmi strutturati di formazione digitale, con particolare attenzione alle fasce più vulnerabili della popolazione. Servono interventi mirati per migliorare le competenze informatiche di giovani, donne e lavoratori poco qualificati, così da rafforzare la resilienza dei sistemi produttivi e ad ampliare la base di cittadini in grado di partecipare attivamente alla trasformazione tecnologica.
“Superare il digital divide è una sfida che richiede un approccio integrato: investimenti significativi in infrastrutture ad alta capacità, programmi capillari di alfabetizzazione digitale, incentivi mirati per il settore privato e politiche pubbliche coraggiose”, conclude Poggi. “Per rendere efficaci queste azioni, è fondamentale una volontà condivisa a livello socio-politico e un coordinamento sinergico tra istituzioni, business community, mondo associativo e realtà accademiche e di ricerca, guidati dagli organismi istituzionali internazionali. Solo così sarà possibile trasformare la tecnologia da fattore di divisione a strumento di equità, inclusione e democrazia partecipativa, gettando le basi per un futuro più prospero anche per quei Paesi che ancora restano ai margini della rivoluzione digitale”.
Il report dell’Itu: quanto costa il divario digitale
Raggiungere la connettività universale e significativa entro il 2030 è un obiettivo ambizioso, ma imprescindibile per garantire pari opportunità nell’accesso all’istruzione, al lavoro e ai servizi essenziali. Secondo il nuovo report “Connecting Humanity Action Blueprint” pubblicato dall’International Telecommunication Union (Itu) in collaborazione con la Commissione per le comunicazioni, lo spazio e la tecnologia dell’Arabia Saudita, il costo per colmare il digital divide globale si aggira tra i 2,6 e i 2,8 trilioni di dollari.
Una cifra che riflette non solo la necessità di espandere le infrastrutture digitali, ma anche di rendere accessibili i servizi, formare le persone e modernizzare i quadri normativi.
La voce più rilevante del piano è rappresentata dalle infrastrutture digitali, che da sole richiedono tra 1,5 e 1,7 trilioni di dollari. Si tratta di investimenti necessari per portare la banda larga a 2,6 miliardi di persone ancora offline, attraverso una combinazione di fibra ottica, wireless fisso 4G e satelliti per le aree più remote.
Il report evidenzia che il 91,7% della popolazione mondiale è coperto da reti 4G, ma la copertura non equivale all’uso. In molte regioni, soprattutto in Africa e Sud Asia, la disponibilità di rete non si traduce in accesso effettivo, a causa di barriere economiche, culturali e infrastrutturali.
Il report propone un Action Blueprint articolato in due parti. La prima analizza lo stato attuale della connettività globale, le barriere e i costi per superarle. La seconda offre un piano operativo basato su partnership multistakeholder, con raccomandazioni pratiche, casi studio e progetti trasformativi.
Tra questi, spiccano iniziative come il Giga Project per connettere tutte le scuole del mondo, il Last-Mile Connectivity Investment Fund per finanziare piccoli operatori nei Paesi emergenti, e il Global Digital Divide Data Observatory per migliorare la raccolta e l’uso dei dati a livello subnazionale.
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