Investimenti infrastrutturali, formazione e incentivi alle aziende sono, secondo Andrea Poggi di Deloitte, le chiavi per superare il digital divide
La digitalizzazione è spesso data per scontata, ma non è così ovunque. Il digital divide persiste e oggi più che mai è necessario colmarlo.
Sul tema del digital divide si esprime Andrea Poggi, Head of Public Policy & Stakeholder Relations Centre di Deloitte Central Mediterranean che, nel suo articolo pubblicato su Voices, la nuova piattaforma che ospita commenti sui temi di attualità firmati dagli esperti di Deloitte Italia, scrive: “Nell’epoca della grande rivoluzione digitale, piattaforme e tecnologie evolvono con velocità crescente: dalla telemedicina al telelavoro, dall’e‑commerce all’e‑learning, Internet e i sistemi di intelligenza artificiale ridefiniscono modelli di business e interazioni sociali. Eppure, circa 2,6 miliardi di persone, un terzo della popolazione mondiale, restano ancora offline, creando un divario digitale che coinvolge non solo l’accesso alla Rete, ma anche la capacità di utilizzarla per innovare e partecipare alla vita economica e sociale”.
Andrea Poggi: “Il digital divide non è solo una questione infrastrutturale, ma anche di competenze”
Riprendendo il report “The Digital Divide: A Barrier to Social, Economic and Political Equity”, realizzato dal Public Policy & Stakeholder Relation Centre di Deloitte con ISPI, Andrea Poggi sottolinea “come a livello globale le differenze nell’uso delle nuove tecnologie rimangano marcate”. Secondo lo studio, infatti, nei Paesi ad alto reddito la connessione è ormai data per scontata, con il 93% della popolazione online, mentre nelle nazioni più povere solo il 27% riesce a connettersi alla rete. Secondo le stime della Banca Mondiale, l’esclusione digitale potrebbe costare fino a 2.000 miliardi di dollari in termini di crescita perduta nel prossimo decennio.
“Il digital divide non è solo una questione infrastrutturale, ma anche di competenze. I giovani e le donne rappresentano i gruppi maggiormente esposti alle lacune formative: nei Paesi a basso reddito, ad esempio, il 90% delle ragazze tra i 15 e i 24 anni non ha accesso a Internet e la loro possibilità di acquisire competenze digitali è inferiore del 35% rispetto ai loro coetanei maschi”, commenta Andrea Poggi. Così, la mancanza di “alfabetizzazione” informatica – dalla navigazione di base all’uso di piattaforme evolute – esclude vaste fasce di popolazione da opportunità di formazione, lavoro e innovazione, pregiudicando ancora di più la crescita economica dei Paesi più deboli.
“L’impatto di queste disparità digitali si propaga attraverso tutti gli ambiti della società contemporanea. Nel mondo del lavoro, chi non possiede competenze digitali si trova relegato ai margini di un mercato sempre più esigente, mentre le imprese che operano in contesti digitalmente arretrati perdono competitività. Parallelamente, in ambito sanitario, l’impossibilità di accedere a servizi online significa spesso rinunciare alle cure, soprattutto per chi vive lontano dai centri urbani”, scrive Andrea Poggi.
Quali, dunque, le soluzioni per contrastare il fenomeno?
“Affrontare questo quadro così complesso richiede molteplici azioni. Innanzitutto, uno sforzo in termini di investimenti: le stime indicano che sono necessari 418 miliardi di dollari per connettere tutti i cittadini che sono oggi offline”, spiega Andrea Poggi. “I nuovi investimenti devono puntare anche a colmare le disparità all’interno degli stessi Paesi, dove l’83% di chi vive nelle città può navigare online, mentre nelle aree rurali solo il 48% ha questa possibilità. Una disomogeneità di accesso che accentua le disuguaglianze territoriali, rallentando lo sviluppo delle comunità più periferiche”.
Migliorare le competenze informatiche di giovani, donne e lavoratori poco qualificati
Un’altra priorità strategica, secondo lo studio, deve essere data al potenziamento delle infrastrutture per la connettività dei dispositivi mobili.
“I dati dimostrano che un aumento del 10% della penetrazione della banda larga mobile può stimolare un incremento del PIL pro capite dell’1,5-1,6%. Vanno inoltre rafforzati i servizi digitali a favore del business. Piattaforme online avanzate possono portare in media un aumento dell’8% nell’afflusso di investimenti diretti esteri e favorire l’accesso al credito per oltre 19 milioni di imprese locali che altrimenti resterebbero tagliate fuori dai finanziamenti”, afferma Andrea Poggi.
Fondamentale anche promuovere programmi strutturati di formazione digitale, con particolare attenzione alle fasce più vulnerabili della popolazione. Servono interventi mirati per migliorare le competenze informatiche di giovani, donne e lavoratori poco qualificati, così da rafforzare la resilienza dei sistemi produttivi e ad ampliare la base di cittadini in grado di partecipare attivamente alla trasformazione tecnologica.
“Superare il digital divide è una sfida che richiede un approccio integrato: investimenti significativi in infrastrutture ad alta capacità, programmi capillari di alfabetizzazione digitale, incentivi mirati per il settore privato e politiche pubbliche coraggiose. Per rendere efficaci queste azioni, è fondamentale una volontà condivisa a livello socio-politico e un coordinamento sinergico tra istituzioni, Business community, mondo associativo e realtà accademiche e di ricerca, guidati dagli organismi istituzionali internazionali. Solo così sarà possibile trasformare la tecnologia da fattore di divisione a strumento di equità, inclusione e democrazia partecipativa, gettando le basi per un futuro più prospero anche per quei Paesi che ancora restano ai margini della rivoluzione digitale”, conclude Andrea Poggi, Head of Public Policy & Stakeholder Relations Centre di Deloitte Central Mediterranean.
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