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Perché le startup europee (e italiane) vanno in Silicon Valley?


Perché le startup e i founder si trasferiscono in Silicon Valley? È una domanda che ci facciamo in Europa (e in Italia) da tanto tempo.

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Perché le startup europee vanno in Silicon Valley? Due fenomeni

Ci sono due fenomeni abbastanza strutturati: la startup relocation e la founder migration

La startup relocation

Il primo è quello della startup relocation. Ad un certo momento, dopo avere mosso i primi passi in Europa e raccolto i primi capitali, le startup fanno il cosiddetto “flip” , diventando una “dual company”. Spostano la “testa” negli Stati Uniti (il CEO, gli headquarter e la società controllante con l’IP), lasciando le “braccia” (in genere sviluppatori e operations) nel paese di origine.

È il percorso che, insieme a Fabrizio Capobianco, avevamo seguito con Funambol ad inizio millennio. “Quando abbiamo fatto il flip con Funambol, eravamo dei pionieri: non c’era un manuale. Abbiamo scoperto che per crescere davvero serviva pensare da americani, non solo da italiani in trasferta”. Oggi è un fenomeno alquanto diffuso (uno studio di Mind the Bridge stima che circa il 15% delle scaleup europee sono dual companies). Non è forse la migliore soluzione possibile per il Vecchio Continente (ci piacerebbe avere campioni europei che nascono e crescono qui), ma un “second best” non disprezzabile (le startup migrano per raccogliere più capitali e parte di questi vengono reinvestiti nei paesi di origine creando occupazione qualificata; l’alternativa sarebbe quella di rimanere piccole aziende locali sottocapitalizzate).

La founder migration

Il secondo fenomeno è quello della founder migration. Molti wanna-be-founder lasciano il Paese di appartenenza e si trasferiscono in ecosistemi più evoluti per fare partire la propria startup. Perché? Per avere accesso ad un network più ampio e denso e a condizioni maggiormente favorevoli (capitali, supporto, mentorship, esperienza, …).

Londra è il caso scuola per l’Europa. ma anche Berlino e Parigi sono hub con crescente attrazione (la capitale francese soprattutto per gran parte del Nord Africa). In questo secondo caso la Silicon Valley resta un po’ più all’orizzonte, perché presenta costi e condizioni di accesso che la rendono un posto difficile dove muovere i primissimi passi (tranne che per gli  imprenditori nativi, siano essi serial o nuovi ma con pedigree di Stanford/Berkeley).

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Fonte: Mind the Bridge

Settimana scorsa il tema della startup migration è tornato alla ribalta grazie ad un post di LinkedIn di Lora Fahmy.

Storia nella storia. Chi è Lora Fahmy?

Lora Fahmy ha 30 anni è nata in Italia da una famiglia egiziana. Ha studiato architettura e computational design tra Pavia e la Cina per poi lavorare tra Shaghai e Barcellona.

A gennaio è stata scelta tra i 4 Entrepreneurs-in-Residence di The Liquid Factory, lo startup studio fondato da Fabrizio Capobianco (già, ancora lui) che connette la Valtellina alla Silicon Valley, con l’obiettivo di spingere le nuove generazioni a pensare in grande. Con lei c’è Alessandro Duico, 27 anni, laureato in intelligenza artificiale alla Delft University of Technology. Insieme hanno fondato la startup elephantroom.ai che sta rivoluziondo il settore dell’interior design attraverso l’AI.

Alberto Onetti con Lora Fahmy a San Francisco a fine luglio

La Silicon Valley è un acceleratore del tempo

La domanda è rilevante ed è, tra le altre cose, al centro della agenda della Commissione Europea che sta cercando di frenare questa migrazione di imprese e imprenditori (che peraltro segue quella dei cervelli).

Di recente è stato commissionato uno studio sul tema e dovremmo vederne i risultati tra qualche mese (disclaimer: mi avevano invitato a partecipare al tender per l’assegnazione ma hanno scelto qualcun altro; quindi non ho informazioni sulla presunta pubblicazione, ma lo leggerò con interesse). 

Però, se cerchiamo delle risposte , basta chiedere ai founder che hanno fatto questa scelta. Lora è da luglio a San Francisco (Alessandro ne prenderà il posto a settembre). Lora, in una frase, disarmante nella sua semplicità, ha colto nel segno:

Because in just one week, I met more like-minded people than I did in the last three months”.

La Silicon Valley è un acceleratore del tempo. Una settimana lì vale quanto tre mesi in Europa. In un caffè a Palo Alto incontri più persone utili alla tua startup che in mesi di conferenze in giro per l’Europa.

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Perché? Perchè lì vivi nel futuro (rectius nel presente, siamo noi qui che siamo ancorati al passato, bollando come improbabilmente futuristici fenomeni che sono già ampiamente diffusi: guida autonoma, agentic AI, per limitarsi ad un paio di esempi). E lì sei esposto ad una concentrazione clamorosa di talento e di esperienza che sono al servizio di chi prova a cambiare il mondo. Il tutto in contesto brutale nei suoi modi (solo merito ed efficienza vanno avanti) ma imperniato di positività e tollerante verso il fallimento.

Che cosa deve fare l’Europa per non far fuggire le startup?

Quindi non solo un tema di capitali (che sono comunque esponenzialmente più alti).
È un tema di mindset, ambizione e connessioni che rende la Silicon Valley il miglior posto al mondo per scalare una impresa innovativa..
Finché l’Europa non sarà in grado di offrire qualcosa di simile, la migration non si fermerà. In questo quadro e in questa fase storica, la cosa più intelligente che l’Europa può fare è quella di:

  • Continuare ad ampliare l’offerta di servizi e capitali a favore dei founder e delle startup, cosa che peraltro sta succedendo e che sta – in qualche misura – non frenando il fenomeno, ma ritardandolo (ossia le startup si muovono negli Stati Uniti per raccogliere late stage capital o per fare una exit).
  • Non demonizzare la Silicon Valley ma creare ponti. Su questo aspetto sono ovviamente “biased”, ma, al di là di Mind the Bridge, The Liquid Factory e la stessa Innovit sono modelli che cercano di favorire la crescita su entrambi i lati. 

E come ricorda Fabrizio Capobianco (sempre lui): “Non è una fuga: è un ponte. Andare in Silicon Valley serve a crescere, ma poi riportiamo indietro capitali, competenze e connessioni”.



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