Il Ministero dell’Ambiente ha convocato per l’11 settembre un tavolo di lavoro per affrontare la crisi della raccolta e valorizzazione dei rifiuti tessili, messa a rischio da costi crescenti e mercati saturi. Sospensioni e rescissioni dei servizi in diverse regioni, con gravi difficoltà per aziende ed enti locali. Le imprese, dal canto loro, chiedono interventi urgenti, contributi transitori e tempi certi per l’avvio della responsabilità estesa del produttore
Individuare le cause delle criticità che rischiano di condurre al blocco della raccolta dei rifiuti tessili e mettere in sicurezza le filiere della valorizzazione nell’attesa dell’entrata a regime dei futuri sistemi di responsabilità estesa del produttore. Questo l’obiettivo del tavolo di lavoro convocato dal Ministero dell’Ambiente per il prossimo 11 settembre, con una lettera firmata dalla capo dipartimento per lo sviluppo sostenibile Laura D’Aprile e indirizzata ad Anci e alle principali associazioni nazionali di imprese. Un incontro “di approfondimento”, si legge, per fare luce sulle difficoltà segnalate con frequenza crescente dagli enti locali e dagli operatori nazionali della raccolta e valorizzazione degli abiti usati e dei rifiuti tessili.
Stretto nella morsa tra l’aumento dei rifiuti intercettati, il crollo della qualità causa fast e ultra fast fashion e la progressiva saturazione dei mercati di sbocco sia per i capi riutilizzabili che per le frazioni riciclabili, il settore della valorizzazione sconta costi di gestione crescenti a fronte di margini in drastico calo. Secondo gli operatori del second hand il valore della frazione riutilizzabile è crollato del 70% rispetto ai livelli pre covid, mentre la presenza di tessili non idonei al riutilizzo arriva a superare anche il 50% delle raccolte. Stando a un’indagine condotta da Ariu e Unirau, alla luce degli attuali valori di mercato gli operatori della raccolta starebbero lavorando quasi esclusivamente in perdita, sostenendo costi che vanno da un minimo di 0,08 a un massimo di 0,28 euro al chilo, mentre le imprese della selezione riescono nella migliore delle ipotesi a ricavare 0,04 euro per ogni kg di rifiuti tessili trattato, a fronte di perdite che possono arrivare fino a 34 centesimi.
“Le imprese della selezione e valorizzazione di abiti usati non riescono più a riconoscere agli operatori della raccolta prezzi sufficienti a coprire i loro costi operativi, e in molti casi hanno interrotto i ritiri perché i magazzini sono saturi”, spiega a Ricicla.tv Andrea Fluttero, presidente di Unirau, associazione nazionale delle imprese di raccolta e valorizzazione del tessile post consumo. “Da diversi mesi – aggiunge – gli operatori della raccolta stanno negoziando con Comuni e municipalizzate di riferimento nuove condizioni di affidamento del servizio, ma queste interlocuzioni risultano lunghe, complesse e forse insufficienti a risolvere una crisi che non è legata a una congiuntura ma strutturale”.
Per questo, sia a livello nazionale che europeo, le aziende fanno sempre più fatica a garantire la continuità delle attività di raccolta, sebbene questa sia obbligatoria in tutta l’Ue dal 1 gennaio di quest’anno. In Italia, dove l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili è scattato già dal 2022, le filiere sono a un passo dalla paralisi, come testimoniano gli avvisi di sospensione o interruzione del servizio che si moltiplicano in tutto lo Stivale, dalla Sicilia alla Lombardia.
In difficoltà non solo le piccole cooperative sociali tradizionalmente incaricate dei servizi di raccolta ma anche i grandi operatori nazionali della valorizzazione. Humana People to People Italia, ramo nazionale della federazione che raccoglie e recupera abiti usati in 46 paesi in tutto il mondo, ha invitato i cittadini di diversi Comuni in Emilia-Romagna e Piemonte a non conferire i propri rifiuti fino al prossimo 30 settembre “per motivi logistici temporanei”, mentre nel Comune di Sermide e Felonica, in provincia di Mantova, l’azienda si è addirittura vista costretta a recedere unilateralmente dal contratto per la raccolta, con effetto dal 31 agosto scorso, citando tra le cause “l’impossibilità di garantire la continuità economica del servizio”.
Situazione simile in Alto Adige, dove dopo oltre 50 anni la Caritas della diocesi di Bolzano-Bressanone ha annunciato lo stop al servizio di raccolta e valorizzazione in tutta la regione. Una decisione assunta “con grande rammarico” ha scritto la direttrice Beatrix Mairhofer, secondo cui “i costi per la raccolta, il trasporto, la selezione e la valorizzazione degli abiti aumenteranno notevolmente. Per poter continuare a offrire questo servizio – ha spiegato – dovremmo, solo per coprire queste spese, addebitare dei costi ai Comuni (e quindi ai contribuenti). Ma non siamo un’azienda di smaltimento rifiuti e non vogliamo diventarlo”. Parole che la dicono lunga sul rapporto ormai ribaltato tra le quantità di capi riutilizzabili e quelle delle frazioni a basso se non nullo valore aggiunto, che non hanno quasi alcuno sbocco se non la discarica o l’inceneritore.
Nel frattempo non si contano le segnalazioni di cassonetti traboccanti, di indumenti e scarti tessili non ritirati o abbandonati in strada e di magazzini al collasso. Solo pochi giorni fa in Campania, tra Pompei e Scafati, un capannone adibito a sito di stoccaggio di pezzame e abiti usati, già sequestrato nel 2018, è stato divorato dalle fiamme in un incendio sulle cui cause sono tuttora al lavoro inquirenti e forze dell’ordine. Il sospetto che si tratti di più di una coincidenza è forte. In un simile scenario, quello convocato dal Mase assumerà i contorni di un vero e proprio tavolo di crisi.
“Abbiamo chiesto l’intervento del Ministero per assicurare la continuità del servizio di raccolta, che rischia di essere interrotto su molte piazze italiane nel breve periodo – chiarisce Fluttero – l’auspicio è che l’incontro possa in primo luogo aiutare il Mase a prendere atto delle cause strutturali che stanno dietro la crisi del settore, ponendo le basi per la definizione degli interventi necessari a scongiurarne il collasso“. Tra le richieste degli operatori lo stanziamento di contributi transitori per colmare il divario tra costi di gestione crescenti e il crollo dei ricavi derivanti dal second hand, la ridefinizione su tutto il territorio nazionale dei meccanismi di affidamento dei servizi di raccolta, l’attivazione di ‘corsie preferenziali’ per l’avvio a recupero energetico delle frazioni non valorizzabili ma soprattutto l’individuazione di tempi certi per l’entrata in vigore del regime di responsabilità estesa del produttore, in virtù del quale chi immette sul mercato nazionale un capo d’abbigliamento dovrà contribuire, anche economicamente, a fare in modo che venga correttamente gestito una volta giunto a fine vita.
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