Il 2025 è un anno elettorale per l’Argentina. In ottobre ci saranno le elezioni di medio termine per il rinnovo della Camera dei deputati e di metà del Senato, mentre a Settembre si eleggerà l’assemblea legislativa della provincia di Buenos Aires, che da sola ospita un terzo della popolazione nazionale ed esprime circa il 37% dell’elettorato del Paese. Due test di verifica per il governo di Javier Milei al potere dal dicembre 2023. Un governo fuori dagli schemi tradizionali della politica argentina che aveva promesso che avrebbe fatto piazza pulita delle vecchie classi dirigenti, considerate corrotte e incompetenti, e di riportare il Paese ai fasti della prosperità come negli anni fra le due guerre mondiali, quando era la quinta potenza economica del mondo e attraeva milioni di immigrati europei.
Nel suo discoro di insediamento il 10 dicembre 2023 Milei disse con enfasi: “La nostra alternativa competitiva non solo metterà fine alla “casta politica” parassitaria, ladra e inutile che ha affondato questo Paese. Oggi abbiamo fatto il primo passo per la ricostruzione dell’Argentina. Il modello della decadenza è alle nostre spalle. Oggi riabbracciamo le idee della libertà per ridiventare una potenza mondiale.” Una formula che richiama da vicino lo slogan trumpiano Make America Great Again (MAGA), e non è l’unico punto di contatto tra gli Stati Uniti di Trump e l’Argentina di Milei. Le affinità comprendono anche l’avversione verso ogni forma di controllo da parte di organi costituzionali indipendenti, della magistratura, della stampa libera e dei giornalisti critici.
Dopo 18 mesi è possibile tracciare un primo bilancio del governo Milei, che ha ereditato una situazione economica e sociale disastrosa, il risultato di 16 anni di governi peronisti nella versione populista del kirchnerismo, intervallati da 4 anni inconcludenti sotto la guida dell’imprenditore liberal-centrista Mauricio Macri.
Bastano pochi dati per descrivere la situazione che il governo peronista di Albero Fernandez consegnò a Milei nel dicembre 2023: una economia in recessione con un tasso di inflazione del 20% al mese (il 2023 si è chiuso con un aumento dei prezzi del 210% su base annua), una moneta nei fatti svalutata del 50% ma tenuta artificialmente alta con un cambio ufficiale di 350 pesos per 1 dollaro, mentre nel mercato parallelo occorrevano fra 900 e 1000 pesos, un deficit pubblico al 2,7% a fronte di una crescita del PIL negativa, le riserve della Banca centrale al minimo storico e una emissione di moneta circolante fuori controllo.
Questi dati macroeconomici tradotti sul piano sociale si traducevano in un livello di povertà che affliggeva il 42% della popolazione, disoccupazione giovanile di massa, insicurezza e consumo di droga dilagante fra le nuove generazioni senza futuro, una rincorsa continua fra prezzi e salari accompagnata da tassi di interesse proibitivi fra il 60 e l’80% che bloccavano risparmi e investimenti di imprese e privati, e un sentimento diffuso di frustrazione e sfiducia nella politica e nei partiti.
Tutte le condizioni erano mature perché l’economista ultraliberista Javier Milei, che, brandendo una motosega, aveva giurato di spazzare via la “casta” dei partiti e avviare un ajuste shock dell’economia, potesse emergere. Come scrive un analista del quotidiano La Nación “L’Argentina è talmente malata di populismo che per battere quel peronismo iperstatalista, nazionalista che da almeno 40 anni la condanna al declino e ai default, serviva necessariamente un altro populismo, simile in alcuni aspetti formali, ma opposto nei parametri essenziali.”
Cambiamenti sociali e deriva a destra delle nuove generazioni
Milei non è un fenomeno piovuto dal cielo, ma il prodotto di un lungo processo di trasformazioni sociali maturato negli ultimi dieci anni, che le forze politiche e in primo luogo il peronismo, tradizionalmente collocato a sinistra, attento al “sociale” e alle sorti delle classi lavoratrici, pur con tutte le sue ambiguità, non hanno saputo cogliere. Non lo hanno visto arrivare. Da tempo numerosi studiosi e accademici denunciano che in Argentina è in corso una “deriva sociologica verso destra”, soprattutto tra le nuove generazioni. Queste hanno assimilato alcuni principi del liberismo come il mercato, l’iniziativa privata e la libertà del lavoro, in contrapposizione alla retorica statalista e assistenzialista, percepita come inefficace e incapace di includerli nel mondo del lavoro. In un Paese dove l’occupazione formale e contrattualizzata è crollata dal 60 al 30 per cento degli occupati, mentre l’informalità e la precarietà sono diventate la norma, molti giovani trovano nelle piattaforme digitali l’unica possibilità di inserimento: spesso un lavoro precario e privo di diritti, ma che garantisce almeno un salario. Così, il mercato appare come uno spazio di opportunità, mentre il settore pubblico è vissuto come assente, lento e inefficiente. Ne è derivata non solo una frammentazione del mondo del lavoro, ma anche un dualismo sempre più marcato tra garantiti e non garantiti: una vera e propria “guerra tra poveri”, tra una minoranza che gode di ferie retribuite, assistenza sanitaria e diritti pensionistici e una maggioranza che ne è esclusa e considera quei benefici privilegi inaccettabili.
A tutto ciò si aggiunge una percezione sempre più negativa dello Stato e del settore pubblico. Uno dei tratti distintivi del kirchnerismo era lo “Stato presente” contrapposto allo “Stato neoliberista assente” degli anni Novanta all’epoca di Carlos Menem. Durante il primo decennio del secolo (2002-2011), dopo la terribile esperienza del default del 2001 e del corralito, il blocco per un anno dei conti correnti in dollari, sotto la presidenza di Néstor Kirchner, l’Argentina visse un boom economico grazie anche alla forte domanda internazionale di soia. Questo periodo permise al Paese di ripagare i debiti con il FMI e, attraverso una redistribuzione della ricchezza a favore dei ceti popolari, portò indiscutibili miglioramenti sociali. Nella retorica del kirchnerismo, quegli anni sono enfatizzati come il “decennio della vittoria”, un periodo breve e ormai lontano, che le giovani generazioni non hanno vissuto e di cui non hanno memoria. Esse conoscono invece bene la realtà di lavori poveri e privi di diritti, di un costo della vita insopportabile e della precarietà di una vita senza futuro.
Interessante la recente uscita della pellicola di successo Homo Argentum, che presenta sedici storie indipendenti sull’argentino medio, ritratto in diverse vignette nella sua arroganza e ipocrisia, con una celebrazione della scaltrezza personale. Si tratta di spine satiriche in cui vengono messi in scena spaccati di vita e linguaggi progressisti, dal femminismo alle popolazioni indigene, dall’ambiente alla giustizia sociale. Il presidente Milei interpreta questo film nella chiave anti-woke, simile a quella adottata da Trump, volgendo a suo favore una sceneggiatura ironica intrisa dell’ipocrisia della classe medio-alta. Per Milei, la giustizia sociale appare come un furto, l’associarsi per protestare equivale a battersi contro un nemico sconosciuto, il mercato rappresenta uno spazio di opportunità, mentre lo Stato ostacola la crescita e finanzia chi non lavora
In Argentina a partire dagli anni 40, l’identità peronista, anche se non espressamente di sinistra, non era un’identità liberale e individualista, bensì collettiva e sindacale. Paradossalmente, nelle pieghe di queste descrizioni, emergono individui che sono diventati il simbolo dell’elettorato di Milei. Tutte visioni su piani diversi di un’Argentina con pochi punti in comune: una visione metropolitana, sociologicamente porteña, che prescinde da ciò che succede nella vasta provincia patagonica ai confini del mondo. Come diceva il grande Luis Borges: “sappiamo che il linguaggio è come la luna e possiede il suo emisfero d’ombra”.
Manovra shock
Milei sostiene posizioni che possono piacere o non piacere, ma che hanno un fondamento economico: non si può fermare l’inflazione se non si taglia la spesa pubblica, ridurre i sussidi, contenere il deficit e fermare la stampa illimitata di moneta da parte della Banca centrale. Lo fa in modo enfatico e violento, adottando un metodo estremista che genera effetti altrettanto estremisti, divisivi, laceranti e alla fine inefficaci. Nel suo caso, il metodo di governo pesa più delle idee e degli slogan; quello di Milei è un approccio sbagliato che finisce per ritorcersi contro di lui, compromettendo anche alcune scelte economiche corrette fatte in questi anni.
Come è noto, Milei ha vinto il ballottaggio contro l’ex ministro dell’economia, il peronista Sergio Massa, con il 56% dei voti, ma il suo partito la “Libertà avanza” sul piano parlamentare ha eletto solo 38 deputati (su 257) e 7 senatori (su 78). Quindi, il suo governo è nato come un governo di minoranza con un grosso deficit di rappresentanza. Per far passare le sue leggi ha dovuto scendere a compromessi e fare accordi con il partito di centro-destra di Maurizio Macri (il PRO – Proposta repubblicana), soprattutto con la fazione più conservatrice quella di Patricia Bullrich, che è diventata ministro della Sicurezza, mentre il grosso del partito con il tempo ha preso le distanze dalle misure più impopolari del governo.
Per fermare l’inflazione, Milei ha tentato un’“operazione a cuore aperto”, difficile da immaginare nella prassi politica argentina. Fedele alle promesse, ha formato un governo di soli nove ministri, rispetto ai diciotto del precedente, selezionandoli tra tecnocrati di fede liberista e antiperonista. Il ministro dell’Economia Luis Caputo, già in carica nel governo di Mauricio Macri (2015-2019), ha annunciato il 12 dicembre il primo pacchetto di misure shock: una svalutazione del peso del 50 per cento, da 400 a 800 pesos per dollaro, per avvicinare il tasso di cambio ufficiale a quello parallelo; un taglio della spesa pubblica di circa il 30 per cento, con la graduale riduzione dell’indicizzazione dei salari dei dipendenti pubblici e delle pensioni, comportando una diminuzione del potere d’acquisto di milioni di pensionati; il licenziamento immediato di 30.000 dipendenti pubblici; la riduzione dei ministeri da diciotto a nove, considerati un serbatoio di posti per i partiti; e l’eliminazione dei generosi sussidi a elettricità, acqua e trasporti precedentemente erogati dai governi peronisti.
Allo stesso tempo il governo si è guardato bene dal tagliare gli aiuti alimentari e i piani sociali per la popolazione più vulnerabile (come il programma Potenciar Trabajo per chi ha perso il lavoro), ma ha eliminato le intermediazioni di organizzazioni, movimenti, sindacati tutti di matrice peronista che lucravano su questa intermediazione, facendoli arrivare direttamente alle famiglie dei beneficiari.
In questo modo ha trasformato in poco più di un anno il deficit fiscale del 2,7% del PIL in un “deficit zero” e l’inflazione che nel dicembre 2023 era del 25% al mese nel giugno del 2024 era crollata al 4% per scendere nei mesi successivi al 2,5%, con una media annua ancora alta ma con le aspettative in netto calo.
Per dimostrare che il governo intende agire con decisione e non si farà intimidire dalle prevedibili mobilitazioni sociali, la ministra della Sicurezza, l’ex centrista Patricia Bullrich, un tempo vicina ai Montoneros, ha presentato un “decreto sicurezza”. Il provvedimento aumenta le pene per una serie di reati e ne introduce di nuovi, tra cui la sanzione anti-picchetti, che dà alle forze di polizia l’ordine di rimuovere blocchi stradali e interruzioni del traffico. Questi ultimi erano una forma di protesta abituale a Buenos Aires, organizzata dai piqueteros, gruppi che nel tempo si sono trasformati in una forza politica in grado di esercitare pressione sui governi peronisti da cui provengono.
Il ministro Caputo è cosciente che il programma avrà un costo sociale elevato e lo espresso chiaramente. “Non basteranno pochi mesi per vedere i risultati. La svalutazione si trasferirà presto sui prezzi e l’inflazione aumenterà, vi sarà più povertà, più disoccupazione e una caduta del PIL che cercheremo di contenere.” Per ora della dollarizzazione, altro cavallo di battaglia di Milei, non si parla e Caputo afferma che non serve per stabilizzare l’economia, mentre la prima cosa da fare è ridurre il deficit fiscale. Infatti, il 2024 è stato per l’Argentina un ottovolante economico, con cadute e risalite del PIL e di altre variabili economiche. Il PIL reale nel primo semestre è calato del 4,2%, ma nel secondo semestre è rimbalzato del 3,9% recuperando il livello del 2023. La stessa cosa è accaduta per l’indice di povertà. Fino a quando l’inflazione cresceva il tasso di povertà è schizzato di 11 punti arrivando al 53% della popolazione, mentre con la rapida discesa a partire dal giugno 2024 è scesa al 39% nel terzo trimestre e al 34% nel gennaio 2025.
Deregulation e privatizzazioni
Il primo provvedimento ha costituito l’inizio di un pacchetto di riforme più esteso. Un mese dopo è stato varato il Decreto di Necessità e Urgenza (DNU) sulla deregulation e sulle privatizzazioni delle imprese pubbliche, un provvedimento imponente di 664 articoli che mira a derogare circa 300 leggi in vigore considerate ostacoli alla libertà di impresa, al commercio e alle operazioni di importazione ed esportazione. Il decreto stabilisce inoltre che le imprese statali saranno trasformate in società anonime per essere successivamente privatizzate e conferisce al governo il potere di legiferare in regime di emergenza pubblica in materia economica, finanziaria, fiscale, sociale e di sicurezza per un periodo di un anno.
Per ottenere l’appoggio dei settori “dialoghisti”, il governo è stato costretto a fare concessioni e far cadere parti importanti del provvedimento a cominciare dalle deleghe rilasciate al governo. Il testo iniziale prevedeva la privatizzazione di tutte le imprese statali o con partecipazione maggioritaria dello Stato. In sede di discussione il governo è stato costretto ad eliminare fra le imprese da privatizzare la più importante, la holding dell’energia YPF (già privatizzata e poi rinazionalizzata da Cristina Kirchner), mentre per altre lo Stato manterrà la maggioranza azionaria ad eccezione della compagnia di bandiera Aerolineas argentinas, le cui azioni saranno cedute ai dipendenti. Altre concessioni riguardano la ripartizione delle imposte fra lo Stato e le Province per la protesta di quasi tutti i governatori che si sono visti tagliare i fondi che ricevevano dallo Stato centrale e hanno costretto il governo a fare marcia indietro.
Queste misure sono state accolte dai mercati e il Fondo monetario internazionale con favore. Anche il mondo delle grandi imprese e del settore finanziario interno le ha apprezzate, ma non la grande distribuzione e il settore commerciale che hanno sofferto un calo vistoso dei consumi. Non sono invece state supportate dall’opposizione peronista, e da buona parte dei ceti maggiormente colpiti dalle misure draconiane di tagli e deregulation. In particolare dai pensionati a cui Milei ha opposto il veto presidenziale su una legge dell’opposizione che rivalutava le pensioni dell’8,1% per adeguarle all’inflazione. Grazie all’abilità manovriera della sorella Karina Milei, nominata segretaria alla Presidenza (“la Jefa”-“la vera capa”, secondo il presidente), il governo è riuscito a trovare i voti alla Camera dei deputati per bloccare la legge e da qual momento si è innescato un conflitto con i pensionati e i loro sindacati che ha portato a due marce di protesta molto partecipate, in cui si sono verificati scontri con le forze dell’ordine.
Il FMI, nonostante l’Argentina abbia un prestito in corso di 45 miliardi di dollari concesso al governo Macri nel 2018, nell’aprile di questo anno, grazie all’appoggio del segretario al Tesoro del governo Trump Bessent, ha autorizzato un finanziamento di 20 miliardi al governo Milei finalizzato ad un obiettivo preciso: la stabilizzazione del cambio. L’Argentina si è impegnata a far oscillare il peso in una fascia fra i 1100 e i 1300 pesos e ad eliminare le restrizioni (il famoso cepo) che impedivano a imprese e privati di accedere al cambio ufficiale mantenuto artificiosamente basso e al dilagare del mercato parallelo.
La verifica delle elezioni di medio termine
Il fatto sorprendente, tuttavia, è che durante tutto il 2024, con una economia in recessione e gli alti e bassi degli altri parametri, l’indice di gradimento di Milei non è sceso sotto il 50%, segno di una fiducia popolare ancora forte. Solo di recente, nel marzo-aprile del 2025, sono emersi segnali di disaffezione dell’elettorato dovuti soprattutto ai suoi eccessi caratteriali, agli attacchi contro giornalisti e opinionisti sui social, alla nomina di un giudice alla Corte suprema sospettato di corruzione, e alla storia della criptovaluta Libra, che il presidente ha sponsorizzato e dopo pochi mesi è stata ritirata dal mercato, provocando perdite milionarie da parte di investitori argentini e di altri paesi.
Per queste ragioni le elezioni di ottobre appaiono quantomai incerte per la debolezza degli avversari, più che per la forza del governo in carica. Il centrodestra del PRO (Proposta Repubblicana) è praticamente scomparso come forza compatta. Il partito di Macri è frammentato in tre tronconi: la corrente guidata da Patricia Bullrich è stata assorbita nella formazione La Libertà che Avanza; la fazione di Macri appare incerta, condividendo quasi tutte le misure shock del governo, ma non il metodo e lo stile; infine, Horacio Rodríguez Larreta, ex sindaco di Buenos Aires, rimpiange di non essere stato ricandidato alla carica. Nelle elezioni per il rinnovo dell’assemblea legislativa della Capital Federal, tenutesi il 18 maggio di quest’anno, il PRO ha subito una sonora sconfitta.
La capitale federale (CaBa), cioè la città di Buenos Aires, con i suoi 3 milioni di abitanti (escluse le sterminate periferie) è – per la sua composizione sociale – la roccaforte delle forze centriste, oltre al PRO, la vecchia Unione civica radicale, la Coaliciòn civica di Elisa Carriò e altre. Queste forze di fronte al “fenomeno Milei” si sono frammentate. Una parte consistente dei dirigenti e dell’elettorato ne subisce l’attrazione tanto da spingere Milei a lanciare un’Opa su di esse per accaparrarsene i voti, con accuse reciproche di compra/vendita che indebolisce l’insieme delle destre. E con grande sorpresa a Buenos Aires ha vinto il candidato di Milei Manuel Adorni, suo portavoce, col 30% dei voti con grave smacco per il partito di Macri la cui candidata si è classificata terza con il 15%. Il risultato rappresenta un successo per Milei e pone un’ipoteca sulle elezioni di medio termine di ottobre. Allo stesso tempo, tuttavia, costringe Macri a cedere a Milei, annunciando che il PRO si alleerà con La Libertà che Avanza sia nelle elezioni legislative della provincia di Buenos Aires a settembre, sia nelle elezioni di medio termine di ottobre.
Anche il PJ (Partito giustizialista), il più importante dell’opposizione, è spaccato al suo interno. In vista delle prossime scadenze elettorali il partito si sta preparando a scegliere un candidato che sia in grado di competere con Milei nel 2027. Finora l’esponente più in vista che si è autocandidato è Axel Kicillov, (54 anni), economista keynesiano, attuale governatore della Provincia di Buenos Aires, dove vive più di un terzo della popolazione argentina e storica roccaforte del peronismo.
Kicillov è stato il pupillo della ex presidente Cristina Fernandez de Kirchner, fa parte della Campora, la corrente più radicale del kirchnerismo guidata da Maximo Kirchner (figlio di Nestor e Cristina Kirchner) e gode di una fama di essere un abile politico e un buon amministratore, libero da accuse di corruzione. Kicillov cosciente del fatto che i tempi sono cambiati e che i dirigenti politici e sindacali che hanno dominato la scena politica negli ultimi 20 anni hanno perso credibilità e sono screditati, vuole affrancarsi dalla tutela della Kirchner e dimostrarsi indipendente con un discorso politico di rinnovamento più in sintonia con i tempi.
La irriducibile ex presidente non si rassegna ad essere stata esclusa da tutte le cariche elettive dopo la condanna in secondo grado a sei anni di reclusione in una delle 5 cause in cui è imputata per “frode all’amministrazione dello Stato” e cerca in tutti i modi di ricandidarsi, in attesa che la Corte suprema si pronunci sul ricorso da lei presentato e la sentenza diventi definitiva. Accusa i giudici di un uso politico della legge per delegittimare e mettere a tacere la leader dell’opposizione e chiede la solidarietà dell’intero partito. Per queste ragioni, l’uscita di Kicillov l’ha profondamente irritata e, a quanto pare, da pupillo è diventato il suo avversario all’interno del partito giustizialista.
Ma con una sentenza inattesa per la tempestività la Corte suprema ha confermato lo scorso 12 giugno la condanna definitiva a sei anni di carcere e l’interdizione da tutte le cariche elettive per l’ex presidente. Questa sentenza ha suscitato una forte reazione della base peronista, che per settimane ha manifestato con sit-in permanenti sotto la residenza di Cristina Kirchner nel quartiere della Recoleta, ma ha liberato il PJ da una pesante frattura, spianando la strada a Axel Kicillov come candidato presidenziale.
In questa ultima fase della campagna elettorale, vanno registrati alcuni eventi che hanno ulteriormente agitato la politica Argentina. Nella dinamica città di Cordoba, al comizio di Milei, incastonato tra grandi pannelli cartonati che inquadravano i leader della destra populista/sovranista tra cui Trump e la nostra Meloni, bisognava pagare un biglietto di entrata.
Forte è stata una protesta trasversale per la delegazione parlamentare del partito di governo che ha visitato nelle carceri quei personaggi legati alla dittatura militare per cercare di smontare quella memoria che si è radicata nella società argentina. Si rifiutò quel provocatorio paragone tra la documentazione raccolta da Nunca Màs, che indagò sui tanti crimini e innumerevoli desaparecidos negli anni 80, con il decennio guidato dal peronismo dell’ex presidente Néstor Kirchner, reo di aver portato l’Argentina al degrado economico/sociale per i dati prima descritti.
Milei aveva, in questo ultimo tempo, trovato un dialogo positivo con i governatori delle diverse provincie su come ripartire le risorse; ma è saltato e ben 9 di loro hanno formato un nuovo partito, dichiarandosi autonomi sia dal peronismo del passato che dall’attuale governo. È di alcuni giorni fa la notizia che il Presidente argentino ha dovuto lasciare sotto scorta un comizio per manifestanti che lanciavano pietre sull’auto dove era accompagnato dalla sorella Karima, apparsa sulle cronache per corruzione sull’acquisto di farmaci mentre ancora non si era spenta la polemica sulla improprio spazio lasciato alla criptovaluta da parte del fratello.
In conclusione, se l’inflazione scende e non costituisce più un problema per la maggioranza degli argentini e il livello di povertà si riduce, dal punto di vista macroeconomico Milei può considerarsi vincitore della scommessa. L’Argentina si è avviata verso una stabilizzazione economica, con un cambio più stabile e conti pubblici più ordinati. L’OCSE stima una contrazione del PIL del 3,8% nel 2024, seguita da una ripresa del 3,6% nel 2025. Il prezzo per raggiungere questi risultati è stato molto alto in termini sociali, politici e umani, pagato dalla classe media, dai pensionati e dalle fasce più svantaggiate della popolazione, e non dalla casta dirigente. Solo il tempo dirà se questa tendenza sarà confermata e se l’Argentina avrà effettivamente cambiato registro, allontanandosi dalla fama di Paese dei default, dell’iperinflazione e dei cambiamenti repentini ed erratici delle politiche economiche.
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