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Iva: costituisce prestazione di servizio la mera cessione di un marchio, in quanto non configurabile come cessione di ramo d’azienda


L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta n. 210/2025 ha fornito chiarimenti in ordine al regime di imponibilità Iva cui assoggettare la cessione di un marchio.

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L’art. 19 della Direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006 prevede che, ‘‘in caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente’’.

La norma conferisce agli Stati membri UE la facoltà di prevedere l’irrilevanza, ai fini Iva, delle operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, conferimenti) attraverso cui la Società cedente trasferisce alla cessionaria il complesso dei rapporti attivi e passivi di cui ha la titolarità, realizzando una continuità dell’attività aziendale.

Il legislatore italiano, avvalendosi di tale opzione, ha recepito la previsione nell’art. 2, comma 3, lett. b), del Dpr. n. 633/1972, stabilendo che non sono considerate cessioni di beni ‘‘le cessioni e i conferimenti in società o altri Enti, compresi i Consorzi e le Associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda’’.

In base all’indirizzo espresso dai Giudici unionali, la finalità di tale disposizione è quella di agevolare i trasferimenti d’imprese, semplificandoli ed evitando di gravare la Tesoreria del beneficiario di una spesa rilevante, che sarebbe, in ogni caso, recuperata successivamente mediante detrazione dell’Iva versata a monte (Sentenze relative alle cause C­17/18, C­497/01, C­444/10).

Per ciò che concerne la nozione di azienda, invece, i numerosi contributi ricavati dalla giurisprudenza dell’Unione Europea e di legittimità, la fanno sostanzialmente coincidere con quella prevista dalla disciplina civilistica.

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L’Agenzia delle Entrate ricorda, in proposito, che l’art. 2555 del Codice civile qualifica l’azienda come ‘‘il complesso dei beni organizzato dell’imprenditore per l’esercizio dell’impresa’’. Da tale definizione si evince che il concetto di azienda si compone di un elemento materiale, rappresentato dai singoli beni, e di un elemento teleologico, che conferisce carattere unitario all’insieme degli stessi in virtù della destinazione loro trasmessa dall’imprenditore, derivandone, così, un carattere di strumentalità ed unitarietà dei singoli cespiti.

Le stesse caratteristiche qualificano anche il ramo d’azienda, quale elemento dotato, all’interno del complesso aziendale, di propria autonomia, considerato che i beni facenti parte dello stesso possono essere di diversa natura, purché accomunati dall’appartenenza alla destinazione produttiva.

Requisito necessario pertanto ai fini della configurabilità di un ramo d’azienda è l’organizzazione, ovvero il collegamento funzionale fra i beni di un complesso produttivo unitario. In altre parole, i beni aziendali si caratterizzano per una destinazione all’esercizio dell’impresa che si traduca in circostanze oggettive, quali, in particolare, la strumentale destinazione di tali beni all’attività produttiva.

La stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, al riguardo, ha affermato che ‘‘il trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una Società di una universalità totale o parziale di beni deve essere interpretata nel senso che in essa rientra il trasferimento di un’azienda o di una parte autonoma di un’impresa, compresi gli elementi materiali e, eventualmente, immateriali che, complessivamente, costituiscono un’impresa, o una parte di impresa idonea a svolgere un’attività economica autonoma, ma non vi rientra la mera cessione di beni quale la vendita di uno stock di prodotti’’ (Cgue, Sentenza 27 novembre 2003, C­497/01, Zita Models).

Per ciò che riguarda il caso in esame, in merito alla distinzione tra una cessione di azienda e una mera cessione di beni, nella Sentenza CGUE C­444/10 i Giudici unionali hanno ritenuto che ‘‘occorre effettuare una valutazione globale delle circostanze di fatto che caratterizzano l’operazione di cui trattasi per determinare se essa rientri nella nozione di trasferimento di un’universalità di beni, ai sensi della VI Direttiva. In tale ambito deve essere accordata particolare importanza alla natura dell’attività economica che si intende proseguire’’.

I principi elaborati dalla Corte di Giustizia UE sono stati recepiti anche dalla Corte di Cassazione. In particolare, quest’ultima, nella Sentenza n. 24913/2008, ha chiarito che si ha cessione d’azienda quando oggetto del trasferimento, anche nelle intenzioni delle parti, è un complesso organico unitariamente considerato, per il quale emerga ex ante la complessiva attitudine (anche solo potenziale) all’esercizio di impresa, ovverosia quando ‘‘i beni strumentali ceduti siano atti, nel loro complesso e nella loro interdipendenza, all’esercizio di una impresa (anche se non si richiede che tale esercizio sia attuale, essendo sufficiente l’attitudine potenziale all’utilizzo per un’attività d’impresa, né che la cessione comprenda anche le relazioni finanziarie, commerciali e personali)’’.

La stessa Corte Suprema, con la Sentenza n. 29203/2021, ai fini del trasferimento di ramo di azienda previsto dall’art. 2112 del Codice civile, rappresenta quale elemento costitutivo della cessione ‘‘l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione’’.

Con riferimento alla nozione di azienda, l’Amministrazione finanziaria ha altresì avuto modo di chiarire che la stessa deve essere intesa in senso ampio, comprensiva anche delle cessioni di complessi aziendali relativi a singoli rami d’impresa, precisando che ‘‘la cessione deve riguardare l’azienda o il complesso aziendale nel suo insieme, intesa quale universitas di beni materiali, immateriali e di rapporti giuridico­-economici suscettibili di consentire l’esercizio dell’attività di impresa e non i singoli beni che compongono l’azienda stessa’’ (vedasi la Circolare del Ministero delle Finanze del 19 dicembre 1997, n. 320, nonché in senso conforme le Risoluzioni 3 aprile 2006, n. 48/E, 13 dicembre 2007 n. 371/E, 31 ottobre 2008 n. 417/E, 10 aprile 2012 n. 33/E).

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La stessa Amministrazione finanziaria, con la Risposta ad Interpello n. 108 del 15 febbraio 2021, ha ricordato che al fine di individuare una cessione di azienda o di ramo d’azienda, ciò che viene ceduto deve essere di per sé un insieme organicamente finalizzato ex ante all’esercizio dell’attività d’impresa, autonomamente idoneo a consentire l’inizio o la continuazione di quella determinata attività, precisando,

inoltre, che ‘‘non si possono fissare in via generale e astratta, quali e quanti beni e rapporti siano necessari a costituire o, meglio, a identificare il nucleo indispensabile per determinare l’esistenza di un’azienda, poiché non assume esaustiva rilevanza il semplice complesso di ‘beni’, in sé e per sé considerato, ma anche i ‘legami’ giuridici e di fatto tra gli stessi, nonché la destinazione funzionale del loro insieme’’.

Anche la Risposta ad Interpello n. 399/2023 ha confermato l’orientamento della giurisprudenza interna e unionale, oltre che della prassi, escludendo un trasferimento di un ramo d’azienda, laddove i beni trasferiti siano inidonei a consentire la prosecuzione o lo svolgimento di un’attività produttiva.

Nel caso in commento, l’Agenzia non ritiene che esista un trasferimento di ramo d’azienda alla luce delle seguenti argomentazioni:

  • ­la cessione di cui trattasi ha ad oggetto elementi patrimoniali isolati, di per sé non idonei a proseguire e/o svolgere in modo autonomo un’attività produttiva;
  • ­non è previsto il passaggio di personale dalla cedente ai cessionari, né risultano cedute le relazioni finanziarie, commerciali e personali, né è previsto alcun diritto di subentro del cessionario nei contratti di acquisto o di vendita del cedente, che restano in capo a quest’ultimo.

Riguardo alla cessione del solo marchio, l’Agenzia delle Entrate, nella Risposta n. 536 del 2021, ha chiarito che la stessa (nel caso di specie unico bene presente in Italia facente parte di un’azienda situata all’estero di proprietà di una società svizzera, priva di stabile organizzazione in Italia) non è idonea a configurare l’esistenza di un complesso aziendale, e pertanto, il trasferimento di tale asset patrimoniale è stato ritenuto qualificabile ai fini Iva come un’autonoma prestazione di servizi, ai sensi dell’art. 3, comma 2, n. 2, del Dpr. n. 633/1972, in base al quale costituiscono prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo, ‘‘le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d’autore, quelle relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne, nonché le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti’’.

Ai fini dell’Imposta di registro, sulla base del Principio di alternatività tra l’Iva e l’Imposta di registro previsto dall’art. 40, comma 1, primo periodo, del Dpr. n. 131/1986 (Tur), quest’ultima sarà dovuta in sede di registrazione del contratto di cessione dei singoli diritti e sarà applicata in misura fissa, pari a Euro 200,00, ai sensi dell’art. 11 della Tariffa, Parte I, allegata al Tur.

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