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INNOVAZIONE & COMPETENZE/ Gli strumenti del cambiamento a disposizione delle Pmi


Anche per le PMI è importante innovare e dotarsi di nuove competenze per affrontare i cambiamenti di mercato

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Oggi le imprese, e non solo loro, devono fare i conti con nuove professionalità, nuove competenze, nuovi modi di lavorare e confrontarsi col mercato. Questo, per la piccola e media impresa italiana, significa trovarsi davanti a un doppio ostacolo: non avere le strutture organizzative interne, né la potenza economica per colmare da sola il divario e riuscire a tenere il passo del “cambiamento che cambia”.



Secondo Istat, in Italia le microimprese (0-9 addetti) sono il 95,1% del totale e occupano il 43,1% della forza lavoro; se aggiungiamo le piccole imprese (10-49 addetti), arriviamo a oltre il 98% delle aziende italiane (Istat – Statistiche strutturali 2024). È evidente che qualunque innovazione, se non raggiunge queste realtà, non raggiunge il Paese.



Il primo aiuto per le imprese arriva dal mercato stesso, chi vende tecnologia, macchinari servizi, deve trovare il modo di adattarla alle micro e piccole realtà, perché altrimenti le macchine non si vendono. Non basta progettare per i grandi, serve “scalare in basso”, semplificare, offrire versioni compatibili con budget ridotti e competenze interne limitate, investendo anche nella formazione del cliente.

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E questa attenzione lo dimostra il bando 2025 Investimenti Sostenibili 4.0 del Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) che stanzia 300 milioni di euro, riservando per la prima volta il 25% alle micro e piccole imprese.



Il secondo step è quello della consulenza. Qui mi sento chiamato in causa, anche se l’innovazione tecnologica non mi vede direttamente coinvolto. Le PMI sempre di più si avvalgono di consulenti. Secondo Mordor Intelligence, nel 2025 il mercato italiano della consulenza manageriale vale circa 7,8 miliardi, con le PMI in crescita del 5,4% annuo, rispetto alla crescita delle grandi imprese.

E poi c’è il fenomeno del “fatto in casa”. Secondo una ricerca di quest’anno, dell’Osservatorio innovazione digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, l’80% delle PMI considera la formazione una priorità e il 51% l’ha formalmente integrata nella strategia aziendale. Quindi, sempre in più PMI, una persona già interna, normalmente con un altro ruolo, viene formata o si forma per assumere anche funzioni nuove: dal social media manager all’addetto alla sostenibilità, fino al referente per la digitalizzazione.

Non è sempre la soluzione perfetta, a volte non funziona, ma contribuisce a far entrare aria nuova in azienda o a scoprire che la propria soluzione non è sufficiente e aiuta a capire cosa chiede realmente il mercato.

Vediamo alcuni esempi virtuosi.

– Sportello Digitale, nato nel 2017, con il supporto del Politecnico di Milano, oggi è una realtà consolidata che ha accompagnato oltre 370 imprese, in percorsi digitali e di sostenibilità e ha organizzato più di 35 tra seminari e webinar. Sono stati tra i primi a partire, questo progetto è cresciuto nel tempo, diventando un punto di riferimento. Secondo i dati del Politecnico, il 31% delle PMI investe in modo significativo sia in digitale che in green, mentre il 67% non ha un referente per il digitale e il 63% non ne ha uno per la sostenibilità.

– Ecomate, start-up milanese attiva dal 2021, offre un software cloud self-service per il calcolo del rating ESG, che è un punteggio che misura quanto un’azienda sia sostenibile e responsabile sul piano ambientale, sociale e di governance. È riuscita a superare le 3.500 adesioni grazie anche alla collaborazione di Camere di Commercio e di Finlombarda. Questo è un esempio di strumento pensato per le PMI, che può aiutare a superare le barriere di ingresso alle pratiche di sostenibilità.

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– Botta EcoPackaging è un’azienda familiare che ha investito nell’innovazione nel settore degli imballaggi trovando soluzioni compostabili e strumenti digitali come il QR code aggiornabile per etichette attente all’ambiente e il Pallet Calculator per ottimizzare la disposizione del materiale sui pallet. Questo esempio unisce artigianato e innovazione ricevendo riconoscimenti internazionali.

Ovviamente non tutti i tentativi hanno avuto successo. Ci sono stati progetti che, pur con idee valide, non hanno trovato continuità per mancanza di risorse, scarso radicamento o scarsa compatibilità con le reali esigenze delle imprese. Ma chi non fa, non sbaglia: anche queste esperienze sono un indice di scoperta, perché il movimento e la sperimentazione generano comunque apprendimento.

Già nel settembre 2023, durante un convegno organizzato a Venezia da Confindustria e Federmanager, si parlava della necessità di circa 4 milioni di lavoratori con competenze green tra il 2023 e il 2026. Un’affermazione che oggi appare ancora più attuale, alla luce della transizione ecologica che continua a essere molto “on fire”.

A confermare questa tendenza arrivano anche i dati più recenti di Unioncamere – Excelsior 2025: entro il 2028 il mercato del lavoro italiano avrà bisogno di 3,4-3,9 milioni di nuovi lavoratori, di cui il 39% in ruoli ad alta specializzazione, soprattutto green e digital.

Anche su questo argomento non possiamo che cercare, ognuno nel proprio ruolo e responsabilità, di essere parte attiva di questo cambiamento. Probabilmente, alcune di queste soluzioni saranno adeguate, altre si riveleranno leggere o non adatte a rispondere al bisogno. Ma nel mare magnum della piccola e media impresa italiana, muovendosi, decidendo, sbagliando e correggendo, si troveranno, com’è sempre accaduto, vie praticabili. Perché, alla fine, il cambiamento cambia e chi saprà cavalcare l’onda sarà parte della direzione in cui andrà.

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