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Il Search Fund nel diritto italiano: inquadramento, criticità e prospettive


Origine e sviluppo del modello Search Fund

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Il modello del Search Fund nasce negli Stati Uniti alla fine del scorso secolo, inizialmente in ambito accademico, presso la Stanford Graduate School of Business, come strumento innovativo volto a favorire l’imprenditorialità attraverso l’acquisizione di piccole e medie imprese. Diversamente dal tradizionale avvio di una nuova impresa (start-up), il Search Fund consente agli imprenditori, spesso privi di capitali propri ma con una solida formazione manageriale, di raccogliere fondi da investitori istituzionali o privati al fine di individuare, acquisire e successivamente gestire un’impresa esistente.

Il meccanismo si articola in due fasi principali: la prima, detta di “ricerca”, durante la quale l’imprenditore raccoglie un primo round di finanziamenti destinati all’identificazione della società target; la seconda, detta di “acquisizione e gestione”, in cui, a seguito dell’individuazione dell’impresa e della raccolta di un secondo round di capitale, l’acquirente assume la guida dell’azienda con un ruolo attivo e diretto nella governance.

Nel corso degli ultimi due decenni, il modello si è diffuso anche al di fuori del contesto nordamericano, trovando applicazione in Europa, America Latina e, in misura ancora marginale, anche in Italia. Sebbene il Search Fund non abbia ancora trovato un’espressa regolamentazione all’interno del diritto positivo italiano, esso suscita crescente interesse nel mondo dell’investimento privato, ponendo una serie di questioni di natura giuridica, societaria e fiscale che meritano un’attenta analisi.

Il modello Search Fund: struttura e caratteristiche

Le fasi del Search Fund

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Il Search Fund si articola tipicamente in due fasi principali. La prima è la cosiddetta fase di “ricerca”, nella quale un imprenditore (il searcher), spesso con un background manageriale e accademico solido ma privo di capitali significativi, raccoglie fondi da investitori professionali per finanziare l’attività di individuazione di una società target. I capitali raccolti in questa fase sono generalmente impiegati per coprire i costi operativi del veicolo societario, la due diligence preliminare e la ricerca stessa.

La seconda fase, detta di “acquisizione e gestione”, si avvia una volta individuata un’opportunità d’investimento ritenuta idonea. Il searcher sottopone il progetto di acquisizione agli investitori iniziali (e potenzialmente a nuovi soggetti), che stabiliscono, senza vincoli giuridici, se partecipare al secondo round di finanziamento, destinato a coprire il prezzo di acquisizione. Se l’operazione va a buon fine, l’imprenditore assume la guida della società target, spesso con una partecipazione nel capitale sociale o mediante strumenti incentivanti (come earn-out o stock options).

Soggetti coinvolti: imprenditore, investitori, target

I principali attori del modello sono tre:

(i) il promotore del Search Fund, solitamente un professionista con competenze pubblicamente riconosciute in ambito gestionale e finanziario;

(ii) gli investitori, che forniscono il capitale in entrambe le fasi e, in molti casi, svolgono anche un ruolo di supporto strategico e di governance;

(iii) la società target, generalmente una PMI solida, con buona redditività, posizione di mercato consolidata e un imprenditore-fondatore in uscita (owner retirement).

Dal punto di vista giuridico, il searcher agisce attraverso un veicolo societario, di solito una società a responsabilità limitata o una holding di diritto estero (in alcuni casi, una semplice partnership). Gli investitori stipulano accordi di investimento, term sheet e, successivamente, patti parasociali o accordi di governance relativi alla gestione della target.

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Il modello si basa sulla condivisione di una strategia di lungo periodo e di creazione di valore tramite la gestione diretta dell’impresa acquisita. Il rendimento per gli investitori deriva in larga parte dalla rivalutazione del capitale investito in caso di dismissione dell’impresa (di norma dopo un orizzonte temporale di 5-10 anni), mentre il promotore beneficia sia di compensi gestionali sia di una partecipazione agli utili e al capitale (carried interest).

In ambito italiano, la replicabilità del modello richiede un’attenta valutazione della disciplina applicabile sotto il profilo societario, fiscale e contrattuale, trattandosi di un’operazione che non si inserisce agevolmente nelle categorie tipiche dell’acquisizione industriale né in quelle classiche del c.d. private equity.

Il Search Fund nel contesto del diritto italiano

Qualificazione giuridica del veicolo di ricerca

Nel contesto italiano, il Search Fund non costituisce una figura giuridica tipica o espressamente regolata. Si tratta, piuttosto, di un modello operativo che può essere realizzato attraverso strumenti giuridici preesistenti nell’ordinamento. Il veicolo di ricerca viene solitamente costituito sotto forma di società a responsabilità limitata (S.r.l.), in quanto forma societaria flessibile, adatta a strutture partecipative semplici e con margini di autonomia statutaria.

Tale veicolo ha, in questa prima fase, una funzione essenzialmente strumentale e preparatoria: raccoglie capitale iniziale e stipula accordi con i primi investitori. Da un punto di vista giuridico, è fondamentale delineare con precisione i rapporti tra il promotore e i finanziatori mediante patti parasociali, mandati, clausole di esclusiva e obblighi di reporting, così da regolare con chiarezza i limiti dell’autonomia gestionale e i diritti informativi.

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Compatibilità con l’ordinamento societario italiano

Il modello Search Fund, pur essendo estraneo alla tradizione giuridica italiana, può trovare applicazione concreta entro il perimetro dell’ordinamento vigente, a condizione di una corretta strutturazione contrattuale. L’ordinamento societario italiano offre, infatti, strumenti flessibili sia in fase di costituzione del veicolo (come la S.r.l. semplificata o la S.p.A. per operazioni più complesse), sia nella disciplina delle acquisizioni, attraverso le regole sulla compravendita di partecipazioni sociali e la possibilità di ricorrere a leveraged buyout.

Particolare attenzione va riservata ai profili di corporate governance: la struttura di gestione e controllo post-acquisizione deve essere definita in modo da tutelare gli interessi sia del promotore, che assume la gestione della target, sia degli investitori che ne restano soci di capitale. Strumenti come diritti di voto limitati, clausole di graduale vesting delle partecipazioni o patti di opzione possono essere utili per equilibrare potere e responsabilità.

Questioni di diritto contrattuale e responsabilità

Il Search Fund solleva anche rilevanti questioni di diritto contrattuale, in particolare con riferimento alla responsabilità dell’imprenditore nella fase di ricerca. In assenza di una disciplina specifica, i rapporti tra promotore e investitori devono essere regolati attraverso contratti ad hoc, in cui siano stabiliti chiaramente i confini dell’attività di ricerca, i parametri di selezione della target, nonché le condizioni per l’abbandono del progetto (deal break).

Dal punto di vista della responsabilità, in mancanza di specifiche previsioni pattizie, il promotore potrebbe teoricamente incorrere in responsabilità precontrattuale (art. 1337 c.c.) in caso di condotte scorrette o negligenti nella fase esplorativa. Analogamente, è opportuno disciplinare contrattualmente il trattamento dei costi sostenuti in caso di esito negativo della ricerca.

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Aspetti regolamentari e fiscali

Inquadramento alla luce della normativa italiana

Dal punto di vista regolamentare, il modello Search Fund presenta un inquadramento complesso, in quanto si colloca in un’area grigia tra attività di investimento, gestione societaria e intermediazione. In linea generale, il promotore non rientra tra i soggetti vigilati ai sensi del Testo Unico della Finanza (TUF), a condizione che il veicolo non svolga attività di gestione collettiva del risparmio né raccolta di capitale tra il pubblico in senso lato, ma si limiti a operare tramite apporti diretti da investitori qualificati e in numero limitato.

Tuttavia, la struttura può sollevare profili di attenzione sotto il profilo della sollecitazione all’investimento (artt. 94 ss. TUF), qualora la raccolta di capitale venga pubblicizzata senza rispettare i requisiti di esenzione previsti dalla normativa. Pertanto, è consigliabile che la costituzione e la promozione del Search Fund avvengano mediante offerte private e rivolte a investitori professionali, secondo le esenzioni previste dal Regolamento (UE) 2017/1129.

Dal punto di vista antiriciclaggio, anche in assenza di obblighi diretti di iscrizione ad albi o registri, il veicolo e i suoi promotori sono tenuti ad adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela, soprattutto in fase di acquisizione, ai sensi del D.lgs. 231/2007.

Profili fiscali dell’operazione

Sul piano fiscale, il Search Fund può essere strutturato in modo efficiente, ma richiede attenzione nella scelta della forma societaria e nella pianificazione dell’operazione di acquisizione. Il veicolo di ricerca, se costituito come S.r.l., è soggetto alle imposte ordinarie sul reddito d’impresa (IRES e IRAP), anche se in molti casi presenta una marginalità fiscale ridotta nella fase iniziale.

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In fase di acquisizione, è possibile utilizzare strutture di holding che consentano di beneficiare del regime di participation exemption (PEX) (art. 87 TUIR), qualora ricorrano i requisiti di legge (possesso ininterrotto da almeno 12 mesi, classificazione come immobilizzazione, residenza della partecipata in Paesi white list, e esercizio di impresa commerciale). In tal modo, le plusvalenze derivanti dalla futura cessione della società target possono beneficiare di una parziale esenzione (95%) da imposizione.

Per quanto riguarda l’imprenditore, occorre valutare con attenzione il trattamento fiscale dei compensi e degli strumenti incentivanti (es. stock option, quote gratuite o carried interest), la cui tassazione dipende dalla configurazione giuridica del rapporto (lavoro dipendente, amministratore, socio) e dalla natura del reddito prodotto (reddito di lavoro vs. reddito di capitale).

Infine, va considerato l’eventuale profilo di esterovestizione qualora il veicolo sia costituito all’estero ma operi stabilmente in Italia, con conseguente attrazione della residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art. 73 TUIR.

Conclusione

Il Search Fund rappresenta un modello innovativo di imprenditorialità e investimento che, pur nato in un contesto anglosassone, mostra potenzialità concrete anche nel panorama italiano. La sua natura ibrida, a cavallo tra impresa e finanza, tra capitale e competenze manageriali, lo rende uno strumento particolarmente adatto a rispondere a due esigenze emergenti nel sistema produttivo nazionale: la transizione generazionale delle PMI e la valorizzazione del capitale umano imprenditoriale.

Dal punto di vista giuridico, l’ordinamento italiano appare sufficientemente elastico da consentirne l’adozione, anche in assenza di una disciplina ad hoc. Le società a responsabilità limitata, i patti parasociali, le norme sul trasferimento di partecipazioni e la disciplina fiscale vigente offrono già oggi un quadro di riferimento utilizzabile, purché si ricorra a una progettazione contrattuale attenta e personalizzata. Tuttavia, non mancano criticità, soprattutto legate alla mancanza di prassi consolidate, all’incertezza in alcuni ambiti regolamentari e alla difficoltà di reperire capitali in una fase iniziale ad alto rischio.

L’analisi comparata ha mostrato come esperienze straniere — in particolare in Spagna e Francia — abbiano favorito la diffusione del modello attraverso il coinvolgimento di istituzioni accademiche, l’accesso a reti di investitori e una maggiore cultura del passaggio generazionale aperto a soggetti esterni. In Italia, iniziative analoghe potrebbero costituire un volano importante per lo sviluppo dei Search Fund, contribuendo a colmare il gap tra capitale e impresa.

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In conclusione, il Search Fund è un modello giuridicamente possibile, economicamente interessante e socialmente utile. Affinché possa affermarsi anche in Italia, sarà necessario uno sforzo congiunto di operatori, giuristi, investitori e policy makers per renderlo non solo applicabile, ma anche attrattivo e sostenibile nel lungo periodo.



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