Su Taranto l’accordo al Mimit non risolve nodi chiave, Pomigliano rischia la cassa integrazione per un anno, per l’Iveco divisa in due non si sa ancora se scatterà il Golden power. E in St si teme per il futuro di Agrate. Intanto i prezzi del carrello della spesa salgono, anche se l’indice generale è sotto il 2%
I più preoccupati sono i sindacalisti. L’agenda del mese di settembre è piena di incontri e scadenze ma anche di punti interrogativi. Senza voler sostenere la retorica della desertificazione industriale, gli impegni di cui sopra riguardano tutti le grandi imprese. Si è cominciato già la scorsa settimana con il caso Ilva: Fim-Fiom-Uilm hanno già incontrato i gruppi parlamentari per spiegare la loro posizione.
Non considerano chiusa la vicenda con l’accordo di metà agosto al Mimit perché non avrebbe risolto alcuni dei nodi-chiave del futuro dell’impianto siderurgico e dell’area di Taranto. La nave rigassificatrice che il sindaco della città non vuole. Il sito dove verrà aperto il polo del pre-ridotto. «Noi cerchiamo una soluzione industriale che stia in piedi», dichiara Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim-Cisl. Il tutto in attesa che il 15 settembre sia individuato il soggetto privato che entrerà nel capitale dell’Ilva (Baku Steel? Jindal? Bedrock?) e che risulterà già impegnato a portare avanti la decarbonizzazione.
Il fattore automotive
Dalla siderurgia all’automotive i timori non svaniscono certo. Uliano teme che i volumi produttivi di Stellantis vadano a scendere anche nella seconda parte del 2025. Ed elenca i punti che i sindacati vogliono illustrare al nuovo amministratore delegato Antonio Filosa, che hanno chiesto di incontrare entro il mese di settembre. Il progetto della gigafactory di Termoli non ha gambe su cui camminare e i sindacati vogliono sapere quali produzioni alternative sono previste per il sito che oggi registra 1.823 operai in solidarietà fino all’agosto 2026. Quanto allo stabilimento di Pomigliano, Uliano riferisce timori di una ulteriore flessione della produzione della Panda e di ulteriore cassa integrazione per un anno per 3.750 lavoratori. Da Cassino le preoccupazioni riguardano il lancio ritardato delle nuove Stelvio e Giulia mentre a Melfi stanno partendo due nuovi modelli elettrici e a Mirafiori si aspetta a novembre l’avvio della 500 ibrida. «A Filosa chiederemo di riaprire la discussione sul Piano Italia», anticipa Uliano.
I rappresentanti dei metalmeccanici si aspettano anche entro la prima metà di settembre un tavolo sulla vendita dell’Iveco, passata in parte (difesa) a Leonardo e in parte (veicoli industriali) al gruppo indiano Tata. Non si sa ancora se il governo userà il golden power, non per vietare il doppio deal ma per condizionare alcuni aspetti della riorganizzazione, a cominciare dalle produzioni che l’una parte fornisce all’altra. Per le attività della difesa sono attese risposte anche sull’assetto azionario definitivo: nel capitale entrerà anche la tedesca Rheinmetall, partner di Leonardo, o no? Quarto fronte per Fiom-Fim-Uilm è quello della St. I timori riguardano lo stabilimento di Agrate Brianza di cui si teme un ridimensionamento. Dulcis in fundo l’11, il 18 e il 25 sono già fissati tre incontri tra metalmeccanici e Federmeccanica per provare a far ripartire l’importante contratto nazionale di categoria.
Il nodo dei dazi
E i dazi? Ci vorrà qualche mese per fotografare con una certa sicurezza gli effetti delle decisioni dell’amministrazione americana sulle nostre esportazioni. Al momento le nostre imprese stanno adottando un criterio che può essere enunciato così: fatto 100 il costo dei dazi, 50 dovrebbe gravare sul consumatore americano, 30 sull’importatore statunitense e 20 sull’esportatore europeo. Ma ovviamente sarà poi il mercato dei consumi a stelle e strisce a suggerire adattamenti o nuove strategie. Prosegue da parte delle imprese made in Italy il programma per insediarsi su nuovi mercati — le nuove geografie, come si usa dire —, ma è evidente che non si può sostituire il 12% di export in America con altri Paesi in tre mesi.
Per tutto ciò, settembre non si presenta come un mese particolarmente favorevole alla crescita. Per il terzo trimestre la previsione di Pil che fanno gli analisti oscilla tra lo zero e il +0,1% e a niente vale sottolineare, come fanno da palazzo Chigi, la stima di cui il nostro governo gode all’estero. L’esecutivo presieduto da Giorgia Meloni è apprezzato perché garantisce la stabilità nel medio termine e perché ha dimostrato responsabilità nella gestione della finanza pubblica, ma mercato e analisti bocciano la politica economica come supporto alla crescita. Prendiamo il molte volte citato provvedimento Transizione 5.0, ebbene gli ottimisti sostengono che a fine 2025 le imprese avranno utilizzato un miliardo dei sei messi a disposizione. Poca cosa per una misura-cardine per la ripresa degli investimenti e per evitare ritardi nell’innovazione.
La stagione turistica
Nel corso di questo mese dovremmo saperne di più sull’andamento della stagione turistica. Le notizie che arrivano dalle località balneari non sono particolarmente favorevoli e parlano di un calo vistoso dei turisti italiani, spaventati dai prezzi. Solo la settimana di Ferragosto avrebbe fatto il pienone ma è bene aspettare dati più solidi per emettere giudizi. Sapremo se l’arrivo dei turisti stranieri ha compensato o meno la diaspora interna. Per riprendere il filo della crescita il sistema Italia avrebbe bisogno di una ripartenza a razzo dei consumi ma per ora non se ne rintracciano i segnali. L’inflazione è nettamente sotto il 2% (ad agosto +1,6%) ma la percezione dei cittadini comuni è diversa.
Si aspettano che i prezzi calino e ovviamente ciò è difficile che avvenga e in qualche misura la differenza tra l’indice generale e quello che registra il cosiddetto carrello della spesa (+3,5%, più del doppio dell’indice generale) va a rafforzare quella percezione negativa di cui sopra. E quindi frena i consumi. E rafforza la propensione al risparmio che si aggira oggi attorno al 9%. L’Italia del settembre 2025 appare dunque come un’economia bloccata, unico driver di crescita il Pnrr che grazie alle opere ferroviarie soprattutto dovrebbe garantire attività. Il mondo imprenditoriale privato appare invece spaesato e orientato sul breve: secondo Edoardo Billotto di Confindustria Veneto Est «la propensione agli investimenti delle nostre imprese appare ancorata a valutazioni di ritorno più selettive, con una predilezione per progetti con ritorni rapidi o con profili di rischio contenuti».
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