Sembra ancora lontana, ma la scadenza è dietro l’angolo se si pensa agli impegni che comporta per le nostre imprese. Dal 30 dicembre si applicherà il regolamento europeo Eudr che si pone l’obiettivo di assicurare che il commercio europeo sia alimentato da filiere “a deforestazione zero”. Le piccole aziende avranno un po’ di respiro in più: le norme scatteranno per loro dal prossimo giugno. Ma se si considera che dovranno – solo per citare un obbligo – geolocalizzare ogni appezzamento di terreno da cui proviene il legno che compone un comodino che vorranno importare dalla Cina, allora si capisce come l’orologio che segna il tempo utile per non farsi trovare impreparati corra veloce.
Cosa prevede il regolamento Eudr
In sostanza, il regolamento impedisce l’import-export europeo di prodotti che hanno causato la deforestazione o il degrado delle foreste dal 2021 in avanti, oppure che non siano conformi alle leggi dei Paesi di produzione. Le oltre 200mila imprese europee coinvolte «dovranno tenere traccia dell’origine di legno, soia, carne bovina, olio di palma, gomma, cacao e caffè, dimostrando che non si tratta di beni connessi alla deforestazione o al degrado forestale», specifica Sara Armella, esperta doganale e docente alla Bocconi. Interessati «anche i prodotti derivati come compensato, trafilati di legno, casse, fusti, botti, pneumatici, abbigliamento, cioccolato e caffè solubile. A seconda dell’origine doganale di ciascuno di questi beni, ossia il Paese in cui il prodotto è stato interamente ottenuto o ha subito l’ultima trasformazione sostanziale, occorrerà effettuare una due diligence diversa».
I Paesi a rischio
L’Europa ha provato a semplificare la vita delle aziende ordinando i Paesi per grado di rischio di deforestazione: «Per le merci originarie di Nazioni a basso rischio sarà sufficiente effettuare una sorta di due diligence semplificata, con indicazione della corretta origine doganale e della geolocalizzazione del terreno di produzione», spiega ancora Armella. L’elenco va dall’Albania al Vietnam, passando per Cina, Giappone e Turchia tra gli altri. Ma la “dovuta diligenza” sarà massima per import da quadranti ad alto rischio di deforestazione come Bielorussia, Russia, Myanmar e Corea del Nord. Quel che si annuncia è dunque una mole di informazioni da raccogliere, spesso in Paesi del Sud del mondo dove l’operazione non è così scontata, catalogare e caricare su una piattaforma europea che è già attiva in fase test, per prender la mano.
Le imprese italiane in ritardo
Se queste sono le regole del gioco, le nostre imprese sono pronte a scendere in campo? Calcola lo studio Armella & Associati che – nonostante il pacchetto risalente al 2023 abbia già subito un rinvio – solo il 20% delle imprese coinvolte (in Italia si parla di 4mila su 20mila) si sia attivato per non farsi travolgere dalla nuova normativa e andare incontro alle sanzioni, che sono commisurate al fatturato partendo dal 4 per cento. «Il regolamento protegge un bene fondamentale e non è in discussione – premette Lara Ponti, vicepresidente di Confindustria per la transizione ambientale e gli obiettivi Esg – Il problema è la complessità della sua applicazione, lo stesso che riscontriamo per simili iniziative Ue, dalla Csrd alle regole sui certificati di emissione».
Confindustria: “Troppa complessità”
Complessità che, per Confindustria, sono amplificate dalla frammentazione delle filiere interessate in tanti piccoli produttori ed esportatori. «Motivo per cui sarebbe stato meglio anticipare la norma con iniziative istituzionali, piattaforme ufficiali di raccolta dei dati che ne garantissero l’affidabilità evitando di scaricare pesanti oneri sulle imprese», dice Ponti. Che delinea alcuni esisti paradossali: «La norma potrebbe penalizzare gli stessi piccoli produttori dei Paesi in via di sviluppo, incentivando le imprese a rivolgersi ai gruppi più grandi e strutturati nel trasmettere i dati».
La questione dimensionale è dirimente anche dal lato italiano: gli osservatori concordano nel dire che le grandi imprese si stanno preparando, le piccole faticano. Nello studio d’impatto che accompagna il documento, Bruxelles indica che l’impostazione data alle norme porterà a risparmiare 71.920 ettari di foresta, ogni anno da qui al 2030. A corollario, si attende una riduzione di almeno 31,9 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio nell’atmosfera che si traduce in un risparmio economico di almeno 3,2 miliardi di euro annui. A che prezzo? La Ue stima costi una tantum tra 5 e 90mila euro «per stabilire il sistema di dovuta diligenza a seconda della complessità e del rischio associato alla deforestazione delle catene di approvvigionamento dell’impresa», cui si sommano spese ricorrenti tra poche centinaia e oltre 2mila euro.
Più che una questione di costi, Ponti evidenzia però i limiti di come la norma è stata concepita: «Chi importa materiali per testarli, prima di stringere accordi commerciali, è stato esentato solo con una recente revisione del regolamento. Ma ancora oggi non è previsto il riconoscimento delle certificazioni internazionali, come quella Fsc per la carta da foreste sostenibili, quale elemento valido a evitare la raccolta di dati prevista da Eudr. Eppure le imprese hanno investito molto su questi strumenti. O ancora, non è escluso con chiarezza dagli obblighi il materiale di riciclo, con un danno evidente per la circolarità». Buchi che Confindustria spera si possano sanare da qui all’entrata in vigore, ma resta che «le imprecisioni, con continue modifiche alle regole, danneggiano la credibilità delle istituzioni».
I rincari nelle filiere
E che succederà sul mercato? C’è da mettere in conto, dice Armella, «un impatto significativo sui prezzi e l’offerta di materie prime importate dalla Ue». In alcuni casi, «i produttori potrebbero decidere di indirizzare le proprie esportazioni verso altri mercati non regolamentati, riducendo così l’offerta per l’Ue e provocando un aumento dei prezzi», spiega la docente. L’Ue esercita una forte influenza sui mercati di caffè (34,1% delle importazioni globali), cacao (22,4%), palma da olio (16,7%), soia (15,1%) e gomma (14,2%), ma ha una posizione di “leverage” meno forte sui mercati del legno (10,1%) e dei bovini (4,8%). Lecito dunque aspettarsi che «nei mercati in cui l’Ue detiene una quota di mercato maggiore, l’impatto sui prezzi e sulla deforestazione sarà più significativo». Non sarebbe un problema da poco, anche perché alcune di queste materie prime sono già al centro di un trend imponente di rialzi, come il caffè che – ha denunciato l’ad di Illycaffè, Cristina Scocchia – «viaggia a 360-70 centesimi per libbra, tre volte e mezzo il costo storico».
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