Tra i buoni propositi al rientro dalle ferie estive ci può essere quello di iscriversi a un fondo pensione magari prendendo spunto dalla novità della Germania che ha deciso dal 2026 di dare 10 euro al mese ai cittadini dai 6 ai 18 anni per avviare fin da piccoli un piano di risparmio a lungo termine. E per chi ha già aderito la ripresa può essere l’occasione per fare un check-up al proprio comparto. A maggior ragione quest’anno sono molti i motivi per riflettere sulla linea scelta e valutare se non sia il caso di cambiare profilo. Da una parte c’è la nuova stagione della politica estera inaugurata dal presidente Usa Donald Trump che ha messo in discussione il ruolo del Paese quale baricentro del mondo creando molta incertezza sui mercati. Dall’altra, guardando la situazione interna dell’Italia, in vista della legge di bilancio a settembre si riapre il cantiere pensioni (si veda altro articolo) e già in agosto ci sono state alcune anticipazioni che hanno acceso il dibattito.
Le risorse del Tfr e l’obbligo di iscrizione
A partire dalla proposta che il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha raccontato in esclusiva a MF Milano Finanza (intervista a pagina 29): l’iscrizione obbligatoria dei neo-assunti ai fondi pensione. Il piano di Durigon prevede anche che tutti i lavoratori possano utilizzare il proprio trattamento di fine rapporto (tfr) come rendita integrativa per raggiungere la soglia minima di pensione richiesta (pari a tre volte l’assegno sociale quest’ultimo è fissato a 538,68 euro al mese, quindi 1.616,04 euro lordi al mese) per anticipare l’uscita dal lavoro a 64 anni con almeno 25 anni di contributi (attualmente questo canale è riservato a chi ha versato nel sistema contributivo puro quindi quelli che hanno cominciato a lavorare dopo il 1996). Per esempio, se a 64 anni, dopo 25 anni di contributi versati, la pensione ammonta a 1.400 euro, con il tfr si potrebbero aggiungere 250 euro al mese, raggiungendo così 1.650 euro e ottenendo il diritto alla pensione anticipata.
Il ruolo ponte dei fondi pensione
Uno strumento pensato per ridurre l’impatto sul bilancio Inps che oggi spende circa 6-7 miliardi annui in liquidazioni da 50-70 mila euro versate una tantum. L’idea è quella di pagarle a rate così da ridurre il peso sul bilancio pubblico e allo stesso tempo garantire pensioni di importo più dignitoso. Il tfr dunque viene visto come sostegno. La manovra dell’anno scorso aveva previsto che questo ruolo di integrazione per i soli lavoratori del contributivo puro venisse svolto dai fondi pensione, ora viene esteso al tfr di tutti gli occupati probabilmente per rivolgersi a chi non ha forme di previdenza. D’altra parte gli iscritti ai fondi pensione, seppur in costante aumento, sono ancora in minoranza rispetto alla platea dei lavoratori italiani: la Covip calcola che a fine giugno sono 10,3 milioni, un dato in crescita di oltre il 3,5% da fine 2024, ma comunque pari a meno della metà del totale degli occupati.
Il calcolo dei rendimenti
Intanto dal lato del lavoratore bisogna considerare che la proposta di Durigon comporta la riduzione, in tutto o in parte, della liquidazione al momento del pensionamento. Se dunque per lo Stato si tratta di una misura che porta benefici, per i cittadini la scelta di avere il tfr a rate non è così scontata. Ma di quale tfr si sta parlando? Quello dei lavoratori delle imprese sopra i 50 dipendenti: solo questi devono versare la liquidazione dei propri lavoratori all’Inps. Le aziende sotto i 50 invece lo possono trattenere. Ed è escluso anche chi ha aderito alla previdenza complementare perché l’iscrizione, dalla riforma del 2005, avviene tramite il versamento della liquidazione (a cui il lavoratore può aggiungere un proprio contributo facendo scattare l’obbligo di versare un contributo anche alla propria azienda). Certo è che la proposta di Durigon riporta sotto i riflettori il ruolo del tfr, un istituto da sempre molto caro agli italiani, e che da 20 anni è anche il pilastro che alimenta i fondi pensione. Il tfr che va ai comparti integrativi si rivaluta in base all’andamento dei mercati perché viene affidato in gestione agli asset manager, in caso contrario, ovvero se resta in azienda (e nel caso delle imprese con più di 50 lavoratori viene girato come si accennava all’Inps), si apprezza dell’1,5% fisso all’anno più il 75% dell’inflazione Istat.
Risultati del semestre a confronto
E nel primo semestre del 2025 il +1,2% netto del tfr è stato superato da diversi fondi negoziali ed aperti, come emerge dalle tabelle in pagina. In media gli oltre 300 fondi pensione aperti sul mercato hanno reso nei sei mesi il 2% e i negoziali l’1,5%.
Anche nel lungo periodo, che è quello più coerente per valutare i rendimenti del risparmio previdenziale, i fondi pensione hanno superato il tfr, soprattutto le linee azionarie. La Covip rileva che nell’intervallo di dieci anni e mezzo che va dall’inizio del 2015 a fine giugno scorso, i rendimenti medi annui composti dei profili a maggiore contenuto azionario si collocano tra il 4,4 e il 4,7% per tutte le tipologie di forme pensionistiche (ovvero i fondi pensione negoziali, gli aperti e i piani individuali di previdenza); per le linee bilanciate, i rendimenti medi sono compresi tra l’1,6 e il 2,7%.
La maggior parte delle linee garantite e obbligazionarie mostra invece rendimenti medi positivi ma inferiori all’1%. Nello stesso periodo, la rivalutazione del tfr è risultata pari al 2,4%. Osservando la distribuzione dei risultati dei singoli comparti tra le diverse tipologie di forma pensionistica e le diverse linee di investimento, tutti i comparti azionari e anche una parte dei bilanciati mostrano rendimenti più elevati rispetto ai comparti obbligazionari e a quelli garantiti oltreché al tfr, osserva Covip.
Il tagliando a seconda dell’età
Proprio da questi dati si può partire per fare un tagliando al proprio portafoglio di previdenza integrativa. A partire dalle linee più prudenti, ovvero quelle garantite. Che dovrebbero essere scelte dalle persone prossime alla pensione per conservare il capitale accumulato nel proprio percorso di investimento, beneficiando anche della garanzia assicurativa che interviene in caso di rendimenti negativi. Ma (si veda intervista nella pagina accanto), in Italia per prudenza si posizionano su questi strumenti molti lavoratori anche giovani che quindi potrebbero optare per una allocazione più spostata sulle azioni: per chi dista più di 25 anni alla pensione l’obiettivo è realizzare, in un orizzonte di medio/lungo periodo, una crescita del capitale attraverso la diversificazione.
Mentre chi è già nel bel mezzo della propria carriera, i profili bilanciati possono rappresentare una soluzione per proteggere i risparmi accumulati negli anni che mancano alla pensione, senza rinunciare ai rendimenti dell’azionario. Quando ci si avvicina al traguardo finale (meno di dieci anni alla pensione) il comparto ideale dovrebbe puntare a un basso livello di volatilità, quindi in questo caso i profili più prudenti. Per approdare infine, con una distanza inferiore a due anni alla pensione, ai garantiti, comparti con copertura assicurativa. quindi orientati alla protezione del montante maturato, prima ancora che al risultato finanziario. (riproduzione riservata)
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