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La rinascita di Londra parte da un sistema capace di creare 178 unicorni


di
Dario Di Vico

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Il Regno Unito post Brexit surclassa i grandi d’Europa con un numero sorprendente di startup sopra il miliardo Che da noi sono solo tre. Ma com’è successo? Merito di un trasferimento tecnologico che funziona. E delle università, dei fondi che finanziano le aziende innovative. Ma il nodo è l’assenza di attrattiva dell’Ue, divisa su capitali e ricerca

Lo stesso Economist si è sorpreso. Nel momento in cui il reddito pro capite inglese viene sorpassato da quello italiano, la disoccupazione è salita al 4,7%, l’inflazione non rallenta e potrebbe rasentare il 4% e il governo è in difficoltà a impostare la prossima finanziaria, ebbene la perfida Albione spicca nel campo dell’innovazione e delle startup. Parliamo degli stracitati unicorni, le startup con una valutazione di almeno un miliardo, e del numero strabiliante a cui è riuscita ad arrivare l’Inghilterra: ben 178. Più di Germania, Francia, Svizzera e Italia messe assieme.
In particolare il confronto con noi è spietato: nel Belpaese operano soltanto tre unicorni che rispondono ai nomi di Satispay, Scalapay e Bending Spoons. Della Gran Bretagna si dice, a ragione, che abbia di fatto dismesso il manifatturiero, che sia uscita dall’industria e che abbia perso quell’eccellenza del progresso tecnico-scientifico che in passato è stata segnata dai nomi di inventori e scienziati come Thomas Newcomen e James Watt che crearono il motore a vapore, Edward Jenner pioniere dei vaccini e Ada Lovelace che scrisse il primo programma per computer.

Punti di forza

L’Economist li elenca e insieme si sorprende dei nuovi successi inglesi, sottolineando come la loro causa vada rintracciata nelle grandi università britanniche, quelle invidiate in tutto il mondo. Quanto ai punti di forza, il giornale ne individua sostanzialmente tre: manifattura avanzata, scienze della vita e tecnologia. E cita i casi di Tokamak Energy, Exscientia, DeepMind.
«Non c’è da stupirsi — commenta Innocenzo Cipolletta, storico direttore generale della Confindustria e presidente dell’Aifi, l’associazione italiana del venture capital —, è la tradizionale forza del mondo anglosassone che viene fuori da questi numeri. La forza della finanza che investe nella ricerca».
E infatti alcuni di quei 178 sono dei ricercatori e manager di altri Paesi che hanno scelto, però, l’Inghilterra come l’ecosistema più appropriato per le proprie startup.
«Quando si deve passare dalla fase di elaborazione in laboratorio alla trasformazione delle idee in una vera azienda produttiva emerge la forza degli inglesi perché cambia completamente la scala degli investimenti — dice Cipolletta —. È la forza di Londra, ma è anche l’handicap dell’intera Europa».




















































Dalle idee ai fatti

Secondo il presidente di Aifi è stata la globalizzazione a indurre la specializzazione come misura di efficienza e così «le iniziative di successo imprenditoriale finiscono per concentrarsi dove ci sono maggiori possibilità di farcela».
L’Imperial College, ad esempio, fa sostanzialmente trasferimento di tecnologie, «lo fa bene da 50 anni» e non si può pensare che un altro centro europeo sia in grado di replicare quelle performance improvvisando una specializzazione che non ha. Vale per la Francia, la Germania e per l’Italia. «Accade così che molti sviluppatori italiani vadano in Gran Bretagna perché trovano università che li aiutano e capitali di rischio attenti».
Ora è vero che la globalizzazione è in parziale ritirata, ma la specializzazione resta decisiva. Vuol dire, dunque, che i giochi sono fatti e l’Europa comunitaria resta fuori dalle grandi innovazioni e dalla nascita di imprese innovative avendo in passato delegato la finanza alla piazza di Londra?
«No, l’Europa di Bruxelles può ancora muovere — risponde il presidente di Aifi —, ma deve realizzare l’unione dei capitali e l’unione della ricerca e spiegare ai rettori delle università che è necessario che i loro atenei si specializzino e non si creino inutili doppioni».

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Trappola renana

Ma non si era detto che a causa di Brexit l’Inghilterra aveva perso manager e cervelli a favore dell’Europa continentale? «È vero che diversi broker hanno preso residenza in Italia, ma non hanno ricostruito quell’humus che esisteva ed esiste in Gran Bretagna. Qualche impresa è andata anche ad Amsterdam, ma anche in questo caso non si è formata la massa critica necessaria per dar vita a un nuovo potente ecosistema», spiega Cipolletta.
Che racconta anche la sua esperienza in Ubs: le presentazioni delle imprese venivano sempre organizzate a Londra alla presenza di investitori di tutto il mondo ed è un sistema che non si può riprodurre e moltiplicare per altre quattro o cinque città europee.
Molto critico nei confronti delle scelte europee è l’economista industriale Sandro Trento. «Certamente l’exploit inglese è legato alla profonda collaborazione tra le loro celebrate università e il sistema del venture capital. E si spiegano così i 178 unicorni, che quasi sicuramente non metteranno in grado la Gran Bretagna di competere alla pari con Usa e Cina ma che rappresentano comunque una dotazione di tutto rispetto».
E l’Europa renana, cuore della manifattura? «Resta indietro. Rimane dentro la trappola del mid tech senza sapere se in futuro quelle produzioni verranno fatte ancora nei Paesi avanzati o saranno trasferite», spiega Trento.

Credito e sviluppo

La scalata dimensionale che permette a una startup di diventare un unicorno richiede, come detto, la sinergia perfetta di ricerca scientifica e finanza. Sinergia che i renani non riescono a replicare.
«Dei dati forniti dall’Economist colpisce la distanza abissale tra Inghilterra e Germania. I tedeschi hanno un sistema bancario che non è adatto a favorire la nascita di unicorni che invece hanno bisogno di un’altra cultura dello sviluppo imprenditoriale. E sicuramente non della logica prudenziale applicata dagli istituti di credito tradizionali e invece pane quotidiano dei fondi indipendenti».
È evidente che, in scala, le considerazioni che si possono fare per i tedeschi valgono per la seconda manifattura d’Europa, l’Italia. Che presenta, a detta di Trento, gli stessi cromosomi. A cominciare dal sistema bancario.


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