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Cina: prove di nuovo ordine globale?


Nella città cinese di Tianjin tutto è pronto per accogliere i Capi di Stato di Russia, India, Pakistan, Iran e altri 22 Paesi all’annuale riunione dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (anche nota come Shanghai Cooperation Organisation – SCO), che avrà luogo i prossimi 31 agosto e 1° settembre. Nata nel 2001 come un gruppo per la cooperazione in materia di sicurezza dei Paesi dell’Asia centrale, la SCO è andata man mano allargandosi, fino ad arrivare a comprendere Paesi dal Caucaso, dal Medio Oriente e dal Nord Africa. La riunione annuale è quindi diventata l’occasione per una serie di incontri bilaterali fra Capi di Stato di Paesi non occidentali, e un “modello di nuove relazioni internazionali e cooperazione regionale,” come la descrive il giornale del Partito Comunista Cinese. Alternativo alle organizzazioni a trazione occidentale come G20 o NATO, nelle aspirazioni dei suoi propulsori. L’incontro di quest’anno è presieduto e organizzato dalla Cina, ed è il primo dopo l’insediamento di Trump come presidente Statunitense. Il primo, dunque, nell’era della guerra commerciale che potrebbe aver avvicinato come non mai Cina, Russia e India. Il presidente cinese Xi Jinping presiederà l’incontro di domenica. E la prossima settimana riceverà anche il leader nordcoreano Kim Jong Un per assistere alla parata celebrativa per l’anniversario della conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Nel suo discorso di apertura – secondo Bloomberg – Xi cercherà di approvare la strategia di sviluppo della SCO per i prossimi dieci anni e delineare così una sua visione di governance globale per il futuro. Visione che – nelle parole di Liu Bin, Assistente al Ministero degli Esteri – dovrà superare “guerre culturali e mentalità da guerra fredda”. Ma che questa visione sia in grado di offrire un ordine mondiale realmente alternativo è tutto da vedere.

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La SCO rivendica di rappresentare il 40% della popolazione mondiale
La SCO rivendica di rappresentare il 40% della popolazione mondiale

Una piattaforma cinese?

Nata su impulso principalmente di Russia e Cina e sviluppatasi includendo Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, dal 2017 la SCO ha promosso un rapido allargamento, arrivando a contare nel proprio raggio di influenza 26 Paesi fra Stati membri, Stati osservatori e Stati dialoganti. Oggi rivendica di rappresentare il 40% della popolazione mondiale e circa un quarto del PIL globale. Se all’origine vi era l’obiettivo di cercare un dialogo e un coordinamento per evitare che l’emancipazione delle repubbliche centrasiatiche comportasse problemi di sicurezza, la SCO è oggi proiettata verso una dimensione globale che includa anche il commercio e lo sviluppo economico. Dopo l’invasione dell’Ucraina e con l’aumento delle tensioni fra Cina e Stati Uniti, scrive l’analista Giulia Sciorati, la SCO è poi diventata per Mosca e Pechino un modo per “mostrare all’occidente che nessuna di queste due potenze sarà mai realmente isolata a livello internazionale.” Oggi l’organizzazione costituisce così un’occasione per sviluppare legami bilaterali con altri Paesi, la modalità diplomatica preferita da Pechino. Nonostante la sua rappresentatività, va tenuto però conto che la SCO riunisce anche attori con relazioni diplomatiche storicamente complicate, come India e Pakistan. Ed è proprio attorno alla partecipazione del gigante indiano che si stanno concentrando le maggiori attenzioni. Come sottolinea il Financial Times, in politica estera i simboli contano, e il fatto che il primo ministro Narendra Modi voli in Cina per la prima volta in sette anni proprio la settimana in cui il presidente statunitense Donald Trump ha imposto tariffe al 50% su molti prodotti indiani è certamente significativo.

Cina e India osservati speciali?

Nonostante il governo indiano abbia già smentito qualsiasi collegamento fra i due fatti, è difficile non leggere la partecipazione alla SCO come un duro colpo all’idea statunitense di trasformare l’India in un argine al predominio cinese nell’Indopacifico. Le relazioni fra i due colossi asiatici stanno d’altronde migliorando, dopo aver toccato il punto più basso nel 2020 a causa di una disputa sul confine himalayano, che aveva portato a scontri mortali fra le loro forze militari. A gennaio di quest’anno, Pechino e New Delhi hanno riaperto i voli diretti e deciso di semplificare il rilascio di visti di viaggio. E pochi giorni fa l’ambasciatore cinese a New Delhi aveva dichiarato che la Cina si opponeva ai dazi imposti da Washington, “sostenendo fermamente l’India”. La cui adesione alla SCO ha però portato fino ad oggi a risultati ambivalenti. Da un lato, l’ingresso della quinta economia mondiale ha infatti garantito all’organizzazione un peso specifico maggiore. Dall’altro le divergenze tra India e Cina rischiano di ridurre la capacità cinese di promuovere le proprie iniziative attraverso l’organizzazione. È emblematico, ad esempio, il fatto che -fino al 2017- la Sco aveva adottato varie dichiarazioni a sostegno del progetto cinese della Belt and road Initiative (Bri), mentre nel 2018 il documento finale riportava solo un elenco preciso di stati membri a suo sostegno. Elenco in cui non compariva il Paese di Modi. Anche per questo, il documento che uscirà dall’incontro di quest’anno sarà rilevante per capire gli orientamenti del futuro. Secondo Jeremy Chan, analista di Eurasia Group, “ogni menzione direttamente critica degli Stati Uniti sarà un importante segnale di un significativo avvicinamento di New Delhi a Pechino e Mosca.”

Un reale contropotere?

Il summit offrirà poi a Putin l’opportunità di confrontarsi direttamente con Xi e Modi dopo le conclusioni dell’incontro tenutosi in Alaska con Trump sul futuro della guerra in Ucraina. Per il Cremlino, Cina e India rappresentano i due principali partner energetici. Il Centre for Research on Energy and Clean Air ha stimato infatti che i due paesi abbiano comprato oltre la metà delle esportazioni fossili della Russia a partire dal 2023. Secondo Bloomberg, Putin cercherà così di convincere Pechino a impegnarsi ulteriormente nello sviluppo del gasdotto Siberia 2, che dovrebbe trasportare il gas naturale dalla regione di Altai al Nord est cinese. Ma che Xi non ha mai accettato di sostenere. Inoltre, fonti anonime hanno dichiarato a Reuters che Putin avrà come obiettivo quello di rinvigorire il commercio fra i due Paesi. Gli scambi avevano raggiunto livelli da record dopo che Mosca si era trovata isolata a causa dell’attacco all’Ucraina, ma nei primi mesi di quest’anno è diminuito dell’8%. Per la Cina, la sfida sarà invece convincere chiunque che la SCO è oggi in grado di agire sui temi che considera rilevanti. Finora, l’organizzazione non è stata infatti in grado – sempre secondo Bloomberg – di difendere gli interessi dei propri membri, come è accaduto di recente con gli attacchi di Stati Uniti e Israele contro l’Iran. Inoltre, non ha avuto nemmeno voce in capitolo nel dirimere i conflitti interni, come accaduto nel caso dei recenti scontri fra India e Pakistan, e nemmeno fra quelli tra Tajikistan e Kyrgyzstan. “Quando il gioco si fa duro, la Cina è assente anche per i suoi amici, sia su base bilaterale che su base multilaterale,” ha sottolineato Jeremy Chan. Parere condiviso da vari altri analisti internazionali. “Più che offrire un nuovo ordine globale concreto, la SCO ha dimostrato le persistenti difficoltà che poteri anti-liberali come Cina e Russia hanno nel mettersi d’accordo e sviluppare una credibile alternativa,” scrive Stefan Wolff. La sfida a Pechino sembra però avere chiara, tanto che Liu Bin ha dichiarato la scorsa settimana che la SCO deve prepararsi a raggiungere “risultati tangibili” abbracciando “una nuova apparenza, un nuovo ritmo, e un nuovo livello”. I prossimi giorni diranno se sarà davvero in grado di rafforzare un blocco capace di presentarsi come alternativa agli Stati Uniti e all’Unione Europea.

Il commento

Di Paola Morselli, ISPI Osservatorio Asia

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“Come spesso accade in questi forum multilaterali, a contare non sarà tanto il vertice SCO in sé, quanto i bilaterali che si svolgeranno ai margini. Tutti gli occhi saranno puntati su Xi Jinping e Vladimir Putin: il primo, in particolare, sotto osservazione anche per la gestione dei rapporti con l’India. Pechino e Nuova Delhi hanno parzialmente attenuato le tensioni negli ultimi mesi, ma il loro rapporto resta segnato da nodi irrisolti, dal sostegno cinese al Pakistan alle dispute di confine. Inoltre, per l’India il quadro geopolitico ed economico si sta complicando. Se fino a poco tempo fa poteva rivendicare con orgoglio una posizione intermedia tra Occidente e Sud globale – che le garantiva un ruolo privilegiato con entrambe le parti e la collocava tra i potenziali vincitori della competizione tra Stati Uniti e Cina – oggi rischia di trovarsi tagliata fuori dalle partite più decisive. Le nuove tariffe imposte da Donald Trump hanno incrinato la sua relazione con Washington, spingendo Nuova Delhi a valutare posizioni più concilianti con Pechino. Ma sul fronte opposto è proprio la Cina ad avanzare come leader di un possibile ordine alternativo all’egemonia statunitense, limitando l’influenza dell’India in un possibile nuovo sistema internazionale. In questo scenario, l’incognita resta se l’India sceglierà di avvicinarsi alla Cina, o se tenterà ancora di giocare un ruolo di ago della bilancia tra i due ‘blocchi’.”



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